L’altro giorno, leggendo il menu di un ristorante cileno, mi è venuto in mente mio padre: proponevano risotto coi funghi, e subito la memoria mi è tornata ai tempi in cui andavamo tutti in montagna, e mio padre spariva per ore a cercare funghi. E ne trovava pure una quantità indescrivibile, che se andavi a camminare con lui tornavi schiumante di rabbia dalla frustrazione perché lui sollevava una foglia e tac, eccoti un fungo! Spostava un ramo e tac, eccoti un altro fungo! E tu invece niente, al massimo i resti di qualcuno che era passato prima di te.

Come facesse, non lo so. Ho pure sospettato che andasse a piantarli il giorno prima, o almeno che uscisse in ricognizione in anticipo. Sarà stata pure fortuna, ma sicuramente sapeva come guardare. Anzi, sapeva osservare... Una cosa che, al giorno d’oggi, è un po’ caduta in disuso, e ci si limita a guardare, a volte senza neppure collegare il cervello.

E così i funghi sfuggono, e poi passano quelli come mio padre e li trovano, li puliscono, li seccano e ci fanno un buon risotto, di quelli che ti piace sentirne l’odore mentre ancora non sei entrato in cucina, e poi ti siedi a tavola e la salivazione aumenta a dismisura neanche facessi parte di un esperimento di Pavlov. Una spolveratina di formaggio, più per abitudine che per necessità, e poi immergi la forchetta, e la vita è degna di essere vissuta di nuovo.

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Mi accorgo ora che il dolore per la perdita di mio padre sta lasciando, lentamente, il posto a ricordi come questo, dolci e gustosi. Forse, era giusto così. Ne ho molti. Sono fortunato.