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Nandu 2020 - profondo sud

(continua il nostro viaggio virtuale in America del Sud)

In fondo, c'è il fondo. Cioè, quando uno scende a sud lungo il continente sudamericano, prima o poi si trova che la terra finisce, e poi c'è solo tanta acqua, peraltro fredda. Le stesse acque di Magellano e Pigafetta, e sì, le stesse acque di Fitz Roy e Charles Darwin (oppure no, se si vuole credere ad Eraclito).

Prima dell'acqua, però, c'è ancora una città: Ushuaia, capitale del freddo e del sud, città più australe del mondo se solo i cileni non avessero elevato allo stato di città il piccolo porto Williams (questi cileni, sempre pronti a fare lo sgambetto agli argentini...)

Di nuovo un hotel piccolo e quasi tutto per noi, a pochi passi dal centro. Passi in discesa, ché qui Ushuaia è come Valparaiso ed è tutta discesa verso il porto (ciò comporta, ovviamente, che il ritorno sia in salita). Ci accoglie Marcelo, con il suo solito grande sorriso ed il suo bus mezzo scassato ma dignitoso e caldo, offrendoci un cioccolatino passandolo come preservativo (appunto personale: devo spiegare a Marcelo che ormai lo scherzetto è datato...).

C'è aria, e c'è pure un bel freschetto; d'altronde, l'Antartide non è poi così lontano, vediamo un sacco di gente con i giacconi che probabilmente gli "regalano" quando spendono almeno 7000 dollari per un viaggio di andata e ritorno verso il continente ghiacciato. Di posti da visitare ce n'è, il museo storico del Precinto (il vecchio carcere) è uno dei miei suggerimenti, ma in realtà per tutti è un pomeriggio di calmo aggirarsi e fare un po' di shopping, in attesa di una prima serata a colpi di pesce (eh, il merluzzo nero da queste parti è famoso; domani proviamo con il granchio reale!).

Il giorno successivo lo dedichiamo ad esplorare il parco nazionale Tierra del Fuego. Marcelo è la guida giusta per questi luoghi, perché conosce ogni singola pianta, e te le presenta e fa capire così bene che poi non avrai più dubbi sulla teoria evoluzionistica di Darwin (Charles, di nuovo), sui ghiacciai, sui boschi, sui picchi e persino sui castori. Parla in spagnolo, e per fortuna, ché dopo tutte le volte che ho dovuto districarlo dalle frasi in inglese in cui riusciva ad avvilupparsi davvero avevo bisogno anch'io di un po' di chiarezza; io mi limito a tradurre i passi più tecnici, ma mi pare che ormai un po' tutti non abbiano più problemi, dopo tanta pratica, con la lingua castigliana.

Siamo fortunati, vediamo anche una coppia di picchi, ma sono i panorami e la vegetazione quelli che ci resteranno più in mente, credo. E la centolla della sera, dopo una coda infinita per entrare in quel maledetto ristorante che non accetta prenotazioni...

E il giorno dopo c'è lei, la navigazione. Sul canale di Darwin. Ma soprattutto, ci sono loro: le otarie ed i pinguini. Attesi, agognati, aspettati, sia dai bambini che dagli adulti; e finalmente eccoli qui. Il catamarano corre decentemente rapido sulle acque che dividono l'Argentina dal Cile, sfiorando i vari isolotti mentre prosegue in direzione del faro. Quando avvistiamo la colonia di leoni marini tutti si posizionano dove gli ho consigliato per fare un po' di foto, ma soprattutto per guardare i piccoli che sfidano i maschi adulti o si rifugiano sotto le pinne delle madri, macchie di pelo marrone sdraiate al sole sulle rocce che, di tanto in tanto, grugniscono.

Ne vediamo alcuni nuotare, lo strato di grasso li preserva dall'intenso freddo mentre girano intorno all'imbarcazione, ed allora è un "rompete i ranghi" e ognuno li insegue da ogni fiancata. Anna ricorda la foto che ha in camera, io le dico in quale punto l'ho scattata, lei cerca di farne una simile anche se stavolta ci sono solo due animali; nel mentre, Marco ed Adele ridono al guardarli sbadigliare, e sembra quasi scommettano su quali si azzufferanno poi. Elena è dentro al calduccio, davanti ad una buona cioccolata; le basta sapere che il resto della famiglia se la sta godendo...

Il catamarano prosegue e raggiunge il faro. Le isole intorno sono piene di cormorani, il capitano ci fa fare un giro extra intorno per permettere a tutti di vedere, e i turisti sono entusiasti. Il faro mi ha sempre impressionato: le volte che riesco a fotografarlo con delle nubi minacciose dietro mi fa venire alla mente un gigante monocolo ma buono alle porte dell'immensità.

Rispiego le posizioni migliori da tenere per quando arriveremo all'isola dei pinguini, e suggerisco a tutti di stare dentro a riscaldarsi un po'; Francesco e Massimiliano restano però fuori, questo viaggio li ha avvicinati ancor di più, e allora li raggiungo, e parliamo di questa esperienza fantastica che stiamo vivendo assieme. Poi, ad un mio cenno, un paio di minuti prima che la guida annunci la cosa, ecco le mie truppe che occupano le postazioni "giuste", e quando arriviamo alla spiaggia sono pronti per godere dell'incontro di centinaia di pennuti in frac che ci guardano, incuriositi, per qualche minuto, per poi riprendere le loro strambe attività. Paiono camerieri nani all'interno di una comica degli anni ruggenti del cinema: ci son quelli che si inseguono, quelli che non vogliono entrare in acqua perché è troppo fredda, quelli che inciampano, quelli che ti fissano agitando le ali, quelli che si scambiano dei bacetti (saranno davvero dei bacetti?); e, poi, c'è la grande maggioranza, che si limita a stare sdraiata sullo stomaco, possibilmente offrendo la minor superficie possibile al vento.

Ce li godiamo, e i sorrisi vanno da un lato all'altra delle facce di tutti. Poi rientriamo per pochi minuti, ché c'è da recuperare i bagagli prima di scendere all'estancia Harberton. Fondata dai primi colonizzatori di quest'area, gli eredi l'hanno aperta ai visitatori per mostrare, per quanto possibile, come fosse la vita di più di un secolo fa, così isolati e così dipendenti dalle proprie capacità. La guida è brava, la visita al cimitero di famiglia è quella che più fa effetto ma un po' tutta l'atmosfera è magica. La mia preferenza va però al museo di animali marini, messo assieme con tutti gli scheletri rinvenuti sui litorali e davvero ben fatto: un modo per capire un po' più a fondo la biologia di mammiferi ed uccelli che ci hanno accompagnato in questo viaggio.

Una fettona di torta fatta in casa presa alla caffetteria dell'estancia sigilla questa grandiosa giornata, poi il ritorno in autobus è un'occasione per tutti di schiacciare un pisolino (sì, lo so, c'è il luogo degli alberi piegati dal vento... non me lo faccio scappare, e scorro la lista di quelli che mi han chiesto di essere svegliati... ehm, solo due, va bene lo stesso...). Serata ad un tenedor libre, giusto per poter mangiare tutti un po' di tutto. E camminata serale lungo il porto, a sognare un'altra volta l'Antartide, prima di volare domani a Buenos Aires.


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inserita il 29/12/2020
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