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Spiagge e pallone, le due parole chiave

immagineMentre andavano avanti i festeggiamenti carnascialeschi, Rio offriva a chiunque volesse approfittarne anche altre interessanti diversioni, non meno note: spiagge e pallone, un binomio sicuramente non estraneo a chi pensa al Brasile.

Copacabana e Ipanema (quella della "garota", resa celebre dal samba di Antonio Carlos Tom Jobim e Vinìcius de Moraes) sono sicuramente i due nastri di sabbia bianca, dei molti che segnano il confine tra l'Oceano Atlantico e la metropoli brasiliana, che la gente conosce di più. Non so dire, onestamente, se siano anche i migliori, in quanto non ho avuto tempo di visitare gli altri; ma l'assembramento di asciugamani ed ombrelloni, i corpi messi in mostra quanto più possibile senza scadere nell'osceno, i ragazzi che con le loro tavole di materiale plastico (ed io con loro, senza le tavole ed usando solo quella macchina perfetta che è il mio corpo...) si lanciavano sulla cresta delle onde, il continuo passare di venditori ambulanti e di raccoglitori (immancabili, questi, a Rio!) di lattine, il ronzio sommesso delle pompe elettriche che risucchiano in profondità l'acqua messa a disposizione nelle varie docce, e la sporadica presenza di qualche maschera in costume (da bagno) contribuivano a realizzare un quadro sicuramente peculiare. In fondo, quasi a voler delimitare la scena, tutti quei blocchi di roccia granitica che spuntano dalla terra e dal mare come panettoni (noti per spuntare dalla terra e dal mare...) di cui il Pao de Azucar è il più famoso. Dicono che Ipanema sia la meta dei gay, ed io in realtà ho visto alcune coppie omosessuali scambiarsi le stess effusioni di altre coppie etero; ma, più che altro, al tramonto, quando il mare e la spiaggia restavano dominio solo di quelli che non necessitano obbligatoriamente dell'abbronzatura per goderseli.

"Olha que coisa mais linda
Mais cheia de graça
É ela menina, que vem e que passa
Num doce balanço a caminho do mar

Moça do corpo dourado
Do sol de Ipanema
O seu balançado è mais que um poema
É a coisa mais linda que jà vi passar"

L'altro eroe muto della fantasia popolare è il Maracanà, questo enorme stadio che nei suoi momenti di gloria poteva contenere almeno 180mila persone (poi, si sono resi conto che per motivi precauzionali - e per comodità - era meglio ridurre il numero degli spettatori e aumentare quello dei seggiolini). Il nome (che è un soprannome, perché in realtà lo stadio è intitolato ad un giornalista) gli viene da un rigagnolo che scorre nei pressi, ed è davvero buffo pensare a questo gigante che si inchina al nanetto al suo fianco.
Una partita al Maracanà, anche per chi come me del calcio apprezza solo il giocare qualche partitella con gli amici e vedere gli stessi esasperarsi mentre gioca la Nazionale, è un'appuntamento immancabile, e se poi si ha la fortuna di vedere una classica è d'uopo approfittarne. Ecco quindi che, con molta fortuna (a causa di una informazione errata fornita dall'Ufficio Turistico), riesco ad arrivare a qualche minuto dal fischio d'inizio alla biglietteria, e ad acquistare un biglietto di tribuna centrale per 15 Reales (circa 6 euri). La partita è Flamenco-Botafoco, due dei quartieri (e delle squadre) storiche della città. Mi ritrovo in mezzo ai tifosi rossobianchi della prima, in numero straboccantemente superiore (pare che il Botafogo non fosse particolarmente interessato al risultato finale), e sebbene il gioco non sia dei migliori assisto ad un altalenante partita durante la quale la palla ben scalda la passione dei miei vicini di seggiola. La mitica "ola", ovvero quel sincrono alzarsi in piedi a braccia levate uno dopo l'altro lungo tutto il perimetro dello stadio, più volte ci coinvolge, e il risultato finale di 3-2 lascia apparentemente tutti contenti ed incolumi. Resto dentro fino a che praticamente tutti sono usciti, rimangono solo alcuni turisti interessati come me a vedere questa enorme scodella vuota e sileziosa... fa effetto anche così, credetemi!

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inserito il 01/03/2006
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