Sequoie secolari e vite corte come fiammiferi accesi
Ci lasciamo alle spalle le nebbie e i su e giù di San Francisco, recuperiamo la Chevrolet che avevamo noleggiato e partiamo verso sud, in direzione della seconda meta, il bosco di Sequoie Rosse gigantesche.
La macchina ha il cambio automatico, e già quello rappresenta un'impresa, ché la nostra esperienza in materia è quasi nulla. La teoria è semplice: devi far finta di non avere il piede sinistro, e dimenticarti quasi completamente della leva del cambio. In pratica, anni ed anni di doppiette frizione-acceleratore e innesti di marcia hanno a volte il sopravvento e la mano corre a cercare la quarta e la quinta mentre la macchina ha improvvisi sussulti non capendo se deve fermarsi o proseguire. La sfida più grande è però quella di percorrere le grandi strade americane, a cinque o più corsie dove è permesso superare sia a destra che a sinistra. Occhi ovunque, quindi, e tu cerca di tenerti all'interno della tua corsia che, poi, si vedrà.
Le strade hanno numeri e punti cardinali per identificarle, le uscite anche sono indicate da numeri; a volte sembra un sudoku, ma se stai attento a non confondere il 6 con il 9 di solito riesci a imbroccare quella giusta.
Si va. La California sfila ai nostri fianchi, nomi come Cupertino e Palo Alto e Mountain View ci riportano in mente cose che abbiamo sempre e solo sentito nominare in tv, sui giornali e, ovviamente, su internet. Ci fermiamo per fare la spesa, e soprattutto per acquistare due cose fondamentali: una valigia-frigo (non mi viene in mente, al momento, come tradurre propriamente in italiano "cooler", ma si tratta di uno di quei bussolotti in plastica con maniglia che fanno tanto vacanze al mare), comprensiva di pacchetti refrigeranti da rigenerare ogni giorno nel congelatore, e una sim telefonica locale, per attaccarsi ad internet quando serve (le mappe le abbiamo prescaricate sui telefoni, che nessuno voleva spendere un paio di centinaia di dollari per noleggiare un navigatore satellitare) e per fare telefonate ai vari hotel, centri visitatori e compagnia bella senza spendere una fortuna in roaming. Per supermarket scegliamo un Wallmart, e scopriamo subito che perdercisi non è solo facile, ma praticamente obbligatorio: corridoi lunghissimi, organizzati con ripiani di cibo molto ripetitivo e spesso superfluo, mentre la zona ortofrutta è più limitata di quella del negozio di Villaganzerla e di formaggi hanno solo cheddar e mozzarella di dubbia provenienza; dosaggi di bevande e cibi che farebbero felice un cambusiere dell'esercito; carbonella carbonella carbonella come se piovesse, per i barbeque, ma poi se cerchi gli zampironi contro le zanzare non sanno neppure cosa siano...
Ripartiti, proseguiamo sulla interstatale fino a prendere la deviazione che ci porterà verso il parco Sequoia, lasciandoci alle spalle le zone più antropizzate e addentrandoci nella grande, e fertile, campagna di uno degli stati più ricchi e produttivi dell'Unione. Chioschetti che vendono ciliegie e meloni, gommisti e pompe di benzina, furgoni e macchine 4x4 ovunque. E poi qualche cartellone pubblicitario, ma proprio col contagocce, ché in confronto le strade italiane sembrano una rivista di quelle economiche, tutte piene di annunci.
Uno ci colpisce più di tutti, parla della Gilroy Garlic Festival, Valentina che sta facendo pratica di inglese chiede cosa sia 'sto "garlic" (=aglio) e così cominciamo ad ipotizzare il tipo di cibo e divertimenti che ci saranno. Per qualche attimo, contempliamo l'ipotesi di fermarci e visitarla, poi guardiamo l'orologio e essendo in ritardo di un paio d'ore sulla tabella di marcia decidiamo di proseguire.
Arriviamo infatti al parco verso le 17:30, acquistiamo la tessera annuale per visitare i parchi nazionali (gli 80 dollari meglio spesi della storia delle tessere annuali!) e raggiungiamo velocemente il parcheggio da cui iniziare la nostra escursione; intorno a noi gli alberi cominciano ad aumentare di dimensioni facendosi altissimi, già lungo la strada di avvicinamento sporgiamo ovunque la testa dai finestrini, col naso all'insù. Camminare tra quei giganti mentre le luci del giorno lentamente si colorano di rosso, lo stesso colore della cortecce che da centinaia di anni attirano l'attenzione dei visitatori, fa letteralmente impressione; non si riesce neppure a descriverla con la macchina fotografica, che non riesce a racchiudere tutto nel limitato spazio del proprio obiettivo. Nel parco non c'è quasi più nessuno, il tramonto non è lontano e noi camminiamo come se fossimo i proprietari di questo luogo gigantesco in termini verticali, sicuri che prima o poi incontreremo un orso. Invece, appare un cervo, forse anche lui confuso dalla nostra presenza. Mi chiedo come ci si senta ad essere un picchio o uno scoiattolo, da queste parti: scegli un albero, e avrai abbastanza da arrampicarti e/o mangiare per tutta la vista... che diamine, persino intere generazioni potrebbero averne a sufficienza!
Poi, si fa buio, per davvero, e noi raggiungiamo il nostro motel senza pretese (ma dai letti molto comodi) a Reedley, ed è lì che scopriamo di essere vivi per miracolo: alla Fiera dell'Aglio di Gilroy, oggi, c'è stata l'ennesima strage causata da un pazzo armato come solo qui negli Stati Uniti d'America accade, a dispetto di tutte le stronzate dette dai vari presidenti e in ossequio al Secondo Emendamento della Costituzione. Ci fossimo fermati a visitarla, forse ora non sarei qui a scrivere queste parole. Non c'è molto da aggiungere, credo.
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inserito il 29/07/2019
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