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Pasqua (e non solo) di passione

[8 aprile 2008] Il testo arriverà nelle prossime ore, se non mi addormento prima alla tastiera...

...

[9 aprile 2008] Ok, lo ammetto: mi sono addormentato. Ora, però, sono sveglio, quindi... si comincia!

Magari qualcuno di voi aveva letto il post potevo rimanere offeso, scoprendo che la mia appendice aveva deciso di infiammarsi di brutto (aveva i suoi buoni motivi, immagino) e che i medici dell’ospedale di Noventa Vicentina avevano deciso che era giunto il momento che la poveretta abbandonasse questa valle di lacrime prima che fossi io a farlo.
Nei giorni che avevano seguito la mia dimissione dall’ospedale, ero lentamente tornato alla vita normale, trascinandomi però delle fitte che mi colpivano nel momento in cui... ero occupato in sedute di gabinetto. Al momento della visita di controllo, ho fatto presente la cosa al medico di turno, il quale mi ha controllato un po’ e poi mi ha rassicurato con un "non c’è nulla che non va, non si preoccupi"...

Le ultime parole famose
Due giorni dopo, dopo avermi sottoposto ad un po’ di prelievi di sangue, qualche radiografia ed una ecografia (che mi ha rassicurato in parte: non ero incinto!), venivo ricoverato di nuovo nel reparto chirurgia, con febbre, globuli bianchi in quantità 220% maggiore del normale e fitte sempre più dolorose. Sfiga ha voluto che si trattasse del venerdì santo, quando anche il personale dell’ospedale comincia ad assottigliarsi alla chetichella. Il risultato è stato che, fino al martedì, a parte prelievi di sangue in quantità notevoli (riempivano solitamente due brick da succo di frutto, per farne delle bioculture, dicevano... la mia teoria è che il vampirismo sia una piaga non ancora del tutto sconfitta...) e boccette di antibiotici a go-go, nessuno si sbilanciava sul mio conto. La febbre, intanto, saliva; anche se ricordo benissimo che a domanda un’infermiera mi aveva risposto che fino a 40.5 non dovevo cominciare a contattare l’impresa di pompe funebri!

Svolta all’anice
Finalmente, martedì decidono di sottopormi a TAC per scoprire cosa c’è di così bizzarro in me. La fissano per il giorno dopo, però, primo mattino. Ora, dovete sapere che per fare la TAC devono inserire nel tuo corpo, per fortuna per via orale, un liquido contenente degli elementi di contrasto, che servono a vedere il tuo interno. Peccato però che, pensando di fare cosa gradita, lo insaporiscano all’anice. Io ODIO l’anice. Cioè, non ho nulla contro di essa, semplicemente mi disgusta. Quindi, mettetevi nei miei panni: dopo 4 giorni e mezzo di ospedale, dolorante, vengo svegliato a mezzanotte (!) per bermi mezzo litro di liquido al sapore di anice... non so davvero come ho fatto a non vomitare! Al mattino, poi, subito prima della TAC, altro mezzo litro, stesso gusto. Perchè?, chiedo io. Perché non gli si può dare lo stesso gusto dell’aspirina, o dei complessi multivitaminici, quel vago sapore di limone o arancio a cui siamo abituati fin da piccoli?
Niente da fare. Mi portano alla TAC, e qui scopro che si sono evolute: non sono più quei lunghi cilindroni che si vedono nei film e che ti fanno pensare alla claustrofobia o, nel mio caso, ad un possibile schianto con la testa sulle pareti metalliche nel caso di sternuto particolarmente potente: ora c’è un anello, e il lettino si muove avanti ed indietro sotto i comandi dell’operatore. Un’infermiera mi spiega ogni singolo dettaglio della procedura, dimenticando solo di avvertirmi che verrà ad un certo punto iniettato un altro liquido con una velocità tale da far sembrare che ti abbiano sparato al braccio con un fucile laser... OUCH!
Risultato: nessuno. Tutto a posto. Ma è evidente che non è tutto a posto, se no i miei globuli bianchi non starebbero facendo un rave party dentro di me. Il dubbio deve venire anche al medico che mi ha fatto la TAC, che nel pomeriggio mi fa riportare giù per un esame differente.
"Devo bere di nuovo quella schifezza?", chiedo io.
"No, questa volta il liquido te lo buttiamo dentro da un’altra direzione", mi sento rispondere.
"Dal naso?", chiedo ingenuamente speranzoso.
"No, con un bel clisterino...", è la terrificante risposta.
Sapete come funziona un clistere? Mai fatto? Ok, ecco che ora lo scoprite: ti infilano una cosa che assomiglia ad una carota su per il buco del c**o, poi con un tubetto gonfiano un palloncino che sta in punta della carota e che espandendosi fa da ancora (così che la carota non si stacchi, rendendovi una novella Fontana di Trevi), infine buttano dentro liquido (acqua, suppongo, ma non ci giurerei... potrebbe pure essere Idraulico Liquido, per quel che ne so). Di nuovo avanti ed indietro attraverso l’anello, "respira forte e trattieni... ok, respira di nuovo", insomma tutta la trafila già fatta. Alla fine, sgonfiano il palloncino, estraggono la carota, e mi invitano a rivestirmi.
Io faccio un paio di conti e li avverto che non credo di arrivare a fare più di dieci passi, quindi punto diretto al bagno, dove rilascio e l’acqua e molte altre cose che si nascondevano dentro di me. 5 minuti buoni, forse anche 8. Si vede che molte cose si nascondevano.
Nel frattempo, l’infermiera informativa mi avverte che questa volta hanno trovato qualcosa: parrebbe una sacca di pus pigiata tra due anse dell’intestino. Eureka?

Eureka!
Dopo neppure un’ora, viene il primario a comunicarmi allegramente che "come sa, l’abbiamo trovata [la causa]; urge operazione, in laparoscopia".
"Stessi buchi dell’altra volta, dottore?", chiedo io, preoccupato di trasformarmi in un gruviera.
"Sì, stessi buchi, se possibile".
"Degenza prevista?"
"Mah, 5-6 giorni, normalmente".
(segnatevi quest’ultima frase)
Mia madre, santa donna, che è venuta ogni giorno a trovarmi, propone che magari mi dia una lavata, capelli compresi (ormai comincio a puzzare un po’, ma ricordatevi che con flebo attaccate ovunque e dolori che ti tengono a letto è difficile dedicarsi alla toeletta personale). Ovviamente, mentre mi sta asciugando i capelli, arrivano gli infermieri per portarmi di corsa in sala operatoria (ma preavvisare un quarto d’ora prima pare brutto?); chiedo un time-out, ma poi con i capelli ancora un po’ umidi cedo alle pressioni e mi faccio portare via.
Le mie ultime parole in sala operatoria, prima di cedere allo stordimento, le ricordo esattamente: "dottore, per favore, questa volta pulite per benino, mi raccomando!".

Urla nel silenzio
Mi risveglio urlante. Un dolore terribile mi sta lancinando. Probabilmente, l’anestetico è terminato prima che l’antidolorifico cominciasse a fare effetto. Un dolore enorme, mai provato prima, piango da quanto mi fa male. Poi, lentamente, si cheta. Ma la notte è terribile, mia madre resta al mio fianco, io già dormirei poco e lo faccio ancor meno perché mi preoccupo che lei stia scomoda su quella seggiolina del menga che le hanno dato.
Però, la notte passa.
Sveglia "ufficiale" alle 6, per misurare la temperatura. Poi, verso le 6:45 passano a fare le pulizie in stanza. Poi, solitamente contemporaneamente, arrivano gli infermieri che rifanno i letti e, se necessario, ti danno una lavata, e le colazioni. Io, le colazioni me le sognerò per un bel po’: sono sottoposto a digiuno completo, non posso neppure bere acqua (al massimo, umettarmi le labbra con un panno inumidito, ma niente più). Poi, i dottori fanno il giro delle visite, tra le 9 e le 10. A volte sono 2 o 3, a volte ce n’è uno solo, accompagnati da un infermiere che spinge il carrello con tutte le cartelle cliniche, tutti i dati di noi infermi (ai piedi del letto, ormai, rimane solo un foglietto con nome e cognome, son passati i tempi dei grafici delle temperature consultabili da chiunque passasse di lì). Si soffermano al mio capezzale, mi dicono di avermi dovuto rivoltare un po le interiora per raggiungere quel brutto ascesso, ma che adesso sono proprio pulito. "Speriamo", aggiungo silenziosamente.

Time after time
Le giornate passano lente, stanche, scandite dai ritmi dei cambi delle boccette di antibiotico, dai prelievi di sangue, dalle misurazioni della pressione (un po’ bassetta, direi). I miei si alternano per venirmi a trovare, al mattino mia madre ed al pomeriggio mio padre o Chiara (a volte con Anna, anche se dopo l’incidente del giorno di Pasqua - di cui parlerò in altro post - la tendenza è quella di lasciare a casa la mia nipotina). In stanza, c’è un signore anziano, Mario, il quale è accudito amorevolmente mattina e pomeriggio dalla moglie, che tenderebbe a sostituirsi a medici ed infermieri in qualsiasi cosa (diagnosi, somministrazione delle cure, decisioni sulla dieta ecc.); sono una coppia buffa da osservare, lei tenta benevolmente di ucciderlo varie volte (lui è a digiuno, lei gli porta le caramelle, lui ne mangia una e subito quasi sviene; non deve prendere medicinali tranne quelli somministrati, e lei gli porta il Tavor per dormire, e lui ne prende anche due pastiglie a sera perché si è dimenticato di averne già presa una; gli portano il cibo, e lei con la scusa di aiutarlo gli divora praticamente tutto il secondo ed il dolce mentre lui è ancora alle prese con la minestrina; e così via...). Gli altri compagni di stanza (ci sono 4 letti) entrano ed escono con tale rapidità da farti invidia e da non permetterti di studiarli per benino. Andrea e Vale mi portano una carrettata di film da vedere col computer, ma i primi giorni non mi va di fare altro che giacere sul letto, sbirciando fuori dai finestroni per vedere le cime degli alberi scosse dal vento, o la luna che sorge e tramonta durante le notti insonni. Alcuni cari amici mi chiamano al cellulare (che sì, tengo acceso; ma per non disturbare lo lascio solo in vibra, e capita più di una volta che io sia in bagno mentre mi cercano e me ne accorga solo ore dopo - non che io esca dal bagno ore dopo, intendiamoci, è solo che non guardo continuamente il display del telefono), qualcuno addirittura mi manda un sms per chiedermi se mi può chiamare... ach, diafoli di perbenisti!
Ogni tanto, ho delle allucinazioni; una volta, apro gli occhi e mi ritrovo ai piedi del letto, tutte in piedi a guardarmi, le varie ragazze/donne che ho conosciuto durante la mia vita; è incredibile, sono tutte lì, anche facce che non ricordavo assolutamente; quella, e quella, e anche quella... in ordine sparso, tanto che a volte le piccole saltellano per guardare oltre le spalle delle grandi; ne manca solo una, poi giro lo sguardo verso la finestra e la vedo lì, seduta sulla seggiola del visitatore non estemporaneo, incurante delle altre... allucinazioni: nessuna ex-amante è venuta a trovarmi. E’ venuto Max (ma Elena ti assicuro che non c’è mai stato niente tra di noi!), mi fa piacere vederlo, anche se si pappa uno dei due cioccolatini a forma di pecorella che nascondevo dietro il cuscino (anch’esso a forma di pecora) portatomi da Anna (è vero, il cioccolatino glielo ho offerto io, ma lui doveva avere il buon gusto di rifiutare adducendo qualche futile scusa...). I giorni passano, i dottori continuano a dirmi che ho la pancia un po’ gonfietta, mi chiedono se vado di corpo, io gli rispondo "dottore, sono giorni che mi tenete a digiuno, dopo un clistere ed un’operazione... cosa dovrei c**are, secondo lei?"... il sole si mostra dopo giorni di nuvole, ogni tanto un infermiere tornato in turno passa e, vedendomi, mi dice "ma come, sei tornato a trovarci?", ed io "sì, mi son trovato così bene l’ultima volta...".
Al sesto giorno, finalmente, si decidono a permettermi di bere del te - non sanno quanto ho benedetto quel momento (tra l’altro, il te che ci portano durante il giorno è delizioso, zuccherato al punto giusto, caldo e pacificatorio). La temperatura ormai è stabilizzata, la pressione quasi, io riesco a passare un po’ di tempo seduto in poltrona o camminando (col trespolo delle flebo, ovviamente, al quale aggiungono una pompa per tenere aperto il canale collegato al mio collo). Un giorno divoro il fumettone di Watchmen (di Moore, quello di V per Vendetta; stupendo, immaginifico, da leggere prima che ne esca il film l’anno prossimo), dal mattino alla sera sono lì che assaporo ogni singola pagina, è la prima volta che riesco a convincere la mia testa a stare sveglia per così tanto tempo di seguito. Mi passano a dieta liquida semplice, ovvero brodino, poi il giorno dopo già a dieta solida leggera, purè e ricotta con mousse di mele ma niente pane, solo grissini; credo si sian resi conto che se vogliono che produca devono introdurre materia prima.

And, finally, ...
Chiara ha tenuto i contatti con l’esterno: passava al setaccio la mia posta, stampandomi quella ritenuta importante, e soprattutto mi ha aiutato con lo spettacolo che avevo organizzato per il 29 con il gruppo esperantista e che, ovviamente, mi son perso (mannaggia!). Per fortuna che alcuni membri del gruppo, Vittoria in testa, hanno saputo proseguire e gestire la cosa senza di me, così alla fine tutto è filato liscio. Dopo Watchmen, ho ripreso il mano il portatile, ed ho cominciato a guardare un po’ dei film che mi avevano portato. Non mi ha preso come al primo ricovero, quando facevo scorpacciate di Farscape, ma insomma un po’ di lungometraggi son riuscito a vederli. Quando mia madre mi ha portato il mouse ho potuto anche fare qualche partitina a RedAlert2 e WormsArmageddon, ma devo dire che preferisco le partite con altri umani, le trovo più avvincenti, le intelligenze artificiali di questi giochi pur buone non sono abbastanza creative.
Ho cominciato a tenere una lista dei cibi di cui avrei voluto fare scorpacciata non appena uscito dall’ospedale: dai primi, come il risotto con i funghi o le fettuccine al pesto o i canederli in brodo, a secondi come la tagliata al pepe verde o le crocchettine di riso, a dolci entusiasmanti, alle semplici tartine o ai toast con prosciutto formaggio e peperoni. Mi facevo aiutare dagli altri presenti nella stanza, ed intanto la bava alla bocca cresceva.
Quando mi hanno messo a dieta libera, ho tirato un sospirone di sollievo: mi avevano elevato al più alto livello culinario, e nuovi mondi mi si dischiudevano davanti. Pasticcio alla bolognese, pastasciutta, tacchino ai ferri, patate al rosmarino... chi dice che in ospedale si mangia sempre male non è mai arrivato alla dieta libera, credetemi.
E, con la dieta libera, anche il mio corpo ha cominciato a liberarsi: finalmente avevo sostanza da produrre, volevo quasi raccogliere in un vasetto la mia prima produzione per mostrarla entusiasta al primario (il quale, invece, mi ha creduto sulla parola... mah!).
Così, un altro paio di giorni di controllo, giusto per sicurezza, e poi a casa. Finalmente! Dopo 18 giorni (di cui 5 praticamente sprecati), potevo ritornare all’aria aperta. Nel vero senso della parola: lunedì pomeriggio c’era davvero un bel tempo, un sole caldo, poca aria, ed ho passato più di un’oretta a piedi nudi in giardino assaporando l’erba e bicchieri di latte e giochicchiando con la mia nipotina. Aaaaaah!

Spero che questa cosa finisca qui: lunedì prossimo ho la visita di controllo, mi auguro che vada tutto bene; ho ancora un leggero dolorino nella zona dove avevo il tubo di drenaggio, ma i dottori dicono che è normale... speriamo sia vero il famosissimo detto "non c’è uno senza due" (perché è questa la vera versione, e non venitemi ad importunare da quella falsa che gira da tempo), e che i miei rapporti con l’ospedale noventano (ottima struttura, ottimo personale, nulla da dire) si interrompano per mutuo e tacito accordo. Nel dubbio, continuo con le terapie (integratore multivitaminico al mattino, iniezione antitrombotica - termine che avevo malinterpretato, all’inizio - al pomeriggio, pastiglia proteggi-stomaco alla sera), e terrò le dita incrociate ancora per un po’.

Commenti

Il giorno 10/04/2008, Lidia ha scritto:
Accidenti, che storia... E io che ti immaginavo su qualche spiaggia assolata! Ecco perchè quando chiamavo a casa tua non trovavo mai nessuno... erano tutti in ospedale a vegliarti! Mi fa piacere comunque che questa brutta avventura non ti abbia fatto perdere il senso dell'umorismo! Speriamo che stavolta sia davvero finita però!
Il giorno 10/04/2008, Daniele ha scritto:
Complimenti, sei arrivata in fondo! Sei la prima, meriteresti un premio... vediamo, dovrei aver conservato da qualche parte un pezzo della mia appendice... può interessare?
Il giorno 10/04/2008, Lil ha scritto:
che avventura! dopo il viaggio in giro x continenti hai deciso di addentrarti a fondo del mondo della sanità vedo...ho letto anche l'altro post sulle regole "variabili"...già viste altre volte purtroppo. Buon recupero, spero breve! :-)
Il giorno 10/04/2008, Lidia ha scritto:
No grazie, della tua appendice ne faccio volentieri a meno! Sono molto incuriosita però dalle allucinazioni... c'ero anch'io? Elisabetta poi sarà stata sicuramente una di quelle che saltellavano!
Il giorno 10/04/2008, Daniele ha scritto:
Lidia, il "conosciuto" era in senso biblico... e, a meno che la memoria non mi inganni, non abbiamo mai spinto la nostra amicizia fino a quel punto... :-)
Il giorno 11/04/2008, Lidia ha scritto:
Aaaah, "conosciuto" in senso biblico? Scusa, non avevo capito. Allora sono sicura che non c'ero! Però è preoccupante quel "facce che non ricordavo assolutamente"...
Il giorno 11/04/2008, Daniele ha scritto:
Lo so, è la stessa cosa che ho pensato anch'io, al momento. Beh, puntualizzo, allora: "conosciuto" intendeva da "baciate" a oltre, quindi ovviamente il campo si allarga. Cmq sì, ci sono donne/ragazze che avevo baciato in passato e di cui non ricordavo più le facce... è grave? Alla mia età, intendo? Credo ci possa essere di peggio, come scordarsi (o fare finta di farlo) delle persone che sono state veramente importanti per te...
Il giorno 26/10/2008, Daniele ha scritto:
Ho ritrovato la scheda che riguarda l'"asportazione dell'appendice vermiforme", datami dall'ospedale prima dell'operazione.
Tra l'altro, vi si legge: "Una leggera infiammazione può regredire spontaneamente, ma l'infiammazione acuta dell'appendice vermiforme è una malattia potenzialmente seria [...] Complicanze molto serie che possono compromettere le funzioni vitali (cuore, circolazione, respirazione, reni) e danni permanenti (p.es. a carico del sistema nervoso o dei reni, paralisi) sono molto rari"... yuhuuuuu!

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inserita il 08/04/2008
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