Il vostro uomo a La Havana
Il giorno dopo, il sole brilla! Io, abbastanza riposato, mi metto alla ricerca di un altro alloggio, e lo trovo a qualche isolato di distanza, con frigorifero in camera e finestra che non da sulla strada, in una casa che non sembra stare in piedi per puro miracolo. Mercanteggio un po' sul prezzo, ottengo un dignitoso 25 CUC, e mi ci trasferisco: sarà la mia base per le prossime 3 notti. La posizione è ottimale, vicino al vialone che divide la zona di Habana Vieja (dove ci sono molti dei palazzi storici, piazze con chiese, vicoletti carini... insomma, dove i turisti tendono a riversarsi in frotte, specie quelli appena scesi da una delle enormi navi di crociera che attraccano al porto) da quella di Habana Centro, con i grandi alberghi che son invece meta di un altro tipo di turisti; devo dire che più ci resto, e più scopro che mi è andata davvero bene.
Esco, ed è un nuovo mondo. Qui il trucco, come dice la mia padrona di casa, è "imparare Cuba", ovvero scoprire come funzionano le cose, ché se no l'unica alternativa è affidarsi alle cure dei grandi alberghi succitati. La colazione, per esempio: uno magari si aspetta di trovare caffetterie ovunque, invece la gente fa la coda davanti a delle aperture nel muro dove vendono succhi di frutta e panini (tostati o non) con salame prosciutto pomodoro e, se si è disposti a spendere un po' di più, un formaggio alquanto strano. La coda c'è anche davanti ai (pochi) uffici di cambiavaluta, sempre che non si voglia rischiare di farsi dare una sola dai cambiamoneta illegali che vi attendono ad ogni angolo di strada (altre cose che vengono offerte: sigari, tour, compagne/i per una notte, ecc.; niente droga, apparentemente, ché qui le leggi al riguardo sono molto rigide). E la coda c'è pure dentro i minimarket (che vanno scovati anche quelli, perché solitamente non hanno un'insegna all'esterno), per comprare quelle poche cose che risultano in vendita e che hanno esistenza più effimera di quella di una farfalla: gli scaffali sono perlopiù desolatamente vuoti, in negozi enormi fanno invero il loro effetto.
Se Cristo si è fermato ad Eboli, Cuba deve essersi fermata agli anni '50: lo stile sontuoso dei palazzi ricorda, a me che non li ho vissuti, i film di quei tempi. Pare che l'arrivo dei Barbudos (così erano chiamati Fidel e i suoi rivoluzionari, perché il signor Gillette non l'avevano mai conosciuto) abbia cristallizzato il tempo, lasciandolo padrone dell'architettura urbana e della vita dei suoi abitanti. Così, piante di fico si mangiano lentamente balconi e tetti che nessuno ripara, le strade si rompono lentamente e i lavori di sistemazione vengono portati avanti con la lentezza di Matusalemme, le vecchie Ford e Plymouth in deliziosi colori pastello sono le regine delle strade (per la gioia dei turisti, che non vedono l'ora di farci un giro). Emblematico il caso del palazzo del Capitolio, copia del Capitol Building di Washington, sottoposto ad opera di restauro da tanto tempo che era già chiuso al momento di andare in stampa della guida Lonely Planet del 2011 prestatami da Duncan, e che ha ancora il suo bel quantitativo di impalcature all'esterno (la custode all'ingresso mi ha detto, con un sorriso sarcastico, che ci vorrà ancora "un po' di tempo" per finire).
Il silenzio la fa da padrone, perché il lutto nazionale per la morte di Fidel ha, tra le sue conseguenze, la proibizione di fare musica. E, senza di essa, La Havana non è del tutto La Havana. Io mi aggiro per le strade assolate, soprattutto guardandomi attorno; l'unica vera concessione che faccio al turismo "obbligatorio" è la visita al Museo de la Revolucion, dove mi permetto pure il lusso di una guida, sperando di scoprire un po' di più su quello che ha significato l'esperimento socialista portato avanti da Fidel Castro ed i suoi seguaci. In realtà, il palazzo pur interessante non mi colpisce come quello più scrauso ma verace del partito di Ortega a Leon, in Nicaragua; quando invece mi siedo fuori a prendere un po' d'aria e chiacchierare con la mia guida, ecco venire alla luce quell'indottrinamento acritico che un po' temevo un po' mi aspettavo, con lei che non riesce a parlare dei periodi storici pre-rivoluzionari in modo obiettivo perché tutto (o quasi) prima di Fidel era il male assoluto.
Continuo a passeggiare macinando chilometri, e mentre vedo la situazione di questa capitale mi chiedo se Ernesto Guevara non fece bene ad andarsene, magari non volendo fare parte di questo tipo di società. Una società in cui quelli che si possono permettere l'acquisto delle carte per accedere ad internet devono poi ridursi a sedere nei parchi o nelle vicinanze dei grandi hotel, unichi luoghi in cui possono avere accesso ad una connessione wifi; una società in cui vuoi comprare del latte fresco e non lo trovi, perché gli scaffali sono vuoti e, anche quando sono pieni, quello che ti vendono è latte in polvere; una società in cui la gente si ingegna a fare qualsiasi lavoretto, e cerca di spremere dai turisti quanti più CUC può per campare dignitosamente; una società in cui molti vivono con quello che i loro parenti gli mandano da Miami.
Che Guevara mi guarda solenne da ogni maglietta, ogni quadro che si vede in giro (Fidel ha sempre dichiarato di non voler celebrazioni iconografiche, e pare l'abbia ribadito anche in punto di morte; non che l'argentino abbia avuto tanta scelta...); lo stesso guardo che ritrovo nell'enorme ritratto metallico presente sulla facciata di un palazzo in Plaza de la Revolucion. O forse non guarda me, ma le donne riccamente vestite con in bocca un sigaro che aspettano gli scatti degli americani di passaggio, o i pittori improvvisati, o i musicisti nascosti nei parchi perché, se vengono sgamati dalle telecamere, rischiano una multa di 60 CUC.
Ah già, dimenticavo: la musica è tornata, ora che il lutto è finito, ed ogni ristorante ha la sua banda che suona i classici, per la gioia dei viaggiatori che senza si sentivano nel posto sbagliato.
La musica nelle orecchie mi porta fino al Malecon, il lungo lungomare da dove penso che potrei persino vedere la Florida se solo volessi, e dove la brezza di mare attenua un po' il calore del sole tropicale e porta via i fumi che escono dalle vecchie macchine che lo percorrono, cariche di sognatori e di soldati dell'esercito dei selfie.
Domani viaggerò a Cienfuegos, e chissà di non trovare qualcosa di diverso.
Casa particular a La Havana: signora Nurmis Borges, calle Virtudes 65 tra Prado e Consulado; tel. 7860 9291, e-mail pajonsuarez@informed.sld.cu (oggetto: para Nurmis)
Racconti che potrebbero interessarti
Lascia un tuo commento
Informazioni
inserito il 05/12/2016
visualizzato: 1488 volte
commentato: 0 volte
totale racconti: 562
totale visualizzazioni: 1435758
Cerca nel diario
Cerca tra i racconti di viaggio pubblicati nel diario di bordo:
Ultime destinazioni
Racconti più recenti
- Sequoie secolari e vite corte come fiammiferi accesi
- Ponti e isole che compaiono dalla nebbia
- Chi l'ha (il) visto?
- Incontri d'anime grandi e piccole in India
- Hampi, imprevisto del percorso
Racconti più letti
- Storie di corna
- La mafia del fiore rosso
- Pulau Penang, ultima tappa
- I 5 sensi
- In missione per conto di Io
Racconti più commentati
- E dagli col tecnico berico dal cuore spezzato... (15)
- In missione per conto di Io (14)
- Sono zia!!! (12)
- 4 righe da Tumbes (10)
- Aspettando il puma (ed il condor, e il guanaco) (10)
Ultimi commenti
- massielena su Sequoie secolari e vite corte come fiammiferi accesi
- Mariagrazia su Fare le cose in grande
- Mariagrazia su Grandi masse rosse
- Massielena su Fare le cose in grande
- Daniele su Fare le cose in grande