C'è Guevara? No, è uscito a fare la rivoluzione
Salto a pie' pari Camaguey, un errore di pianificazione nel mio gironzolare per Cuba, tanto poco mi ha interessato la città definita "intellettuale" da molti dei cubani con cui avevo parlato (degni di nota: la casa particular con terrazza, la più economica che ho trovato fino ad ora durante il viaggio, e nonostante tutto ottima sistemazione e con proprietari loquaci che mi hanno illuminato ulteriormente sulla società insulare; lo zucchero filato acquistato per strada e che mi ha fatto ritornare bambino per un po'; lo sposalizio a cui partecipavano sì e no 20 presenti, e dove all'arrivo della sposa non c'era uno straccio di persona ad attenderla sulla porta della chiesa; la carovana di bicitaxi che portavano in giro, di notte, una sfilza di turisti americani con la loro guida), e arrivo di filata a Santa Clara, forse una delle città più iconiche della rivoluzione cubana.
Perché è la città di Ernesto Che Guevara, anche se lui - argentino - non ci era nato, non ci ha mai vissuto ed ora ci riposa solo perché, quando finalmente i suoi resti sono stati riesumati in Bolivia dove era stato ucciso nel 1967, il suo amico Fidel Castro ha deciso di erigergli un mausoleo gigantesco.
Qual è il nesso, allora, tra il famoso guerrigliero e questa città sonnolenta di giorno e attiva culturalmente di notte? Presto detto: un bel giorno, le truppe al comando del Che riuscirono a far deragliare un treno blindato carico di armi e soldati che il dittatore Batista stava muovendo lungo la strada ferrata principale del Paese. Quell'atto, assieme alla presa (o liberazione, a seconda del lato da cui si guarda) di Santa Clara, diedero la spallata finale a Batista, che di lì a poco se ne scappò dall'isola, portando con sé un po' di fedelissimi e moltissimi soldi.
La Battaglia, dunque, con la B maiuscola. Finemente orchestrata da Guevara, che da medico si era trasformato in comandante rivoluzionario anche grazie agli insegnamenti di un partigiano italiano (interessante intervista riuscita su L'Espresso recentemente, in occasione della morte di Fidel) che gli aveva mostrato come sparare, con quelle sue mani ancora use solo al bisturi e alle pinze.
Il monumento alla presa del treno, con dei vagoni in posizione barcollante e con tutta una serie di scatti fotografici e oggetti e lettere e messaggi realtivi a quell'azione è ora meta di pellegrinaggio di turisti stranieri (sgammo persino un gruppo di Grand Circle!) e locali (un'intera delegazione del sindacato dei contadini vi sta tenendo una cerimonia in onore del lider maximo, quando ci arrivo io), e fa bella mostra di sé il bulldozer giallo che fu usato per scardinare i binari. Non lontane, una statua con Che Guevara che marcia tronfio portando in braccio un bambino (simbolo del futuro), così piena di dettagli in miniatura che solo grazie alla brochure esplicativa prestatami dalla custode dell'edificio riesco a individuarli e comprenderli tutti, e la collina dalla quale gli insorti studiarono il piano di attacco alla città.
Aprendimos a quererte / desde la historica altura / donde el sol de tu bravura / le puso cerco a la muerte.
Ma è il mausoleo la vera chicca: nel museo dedicato alla vita dell'argentino, dalla sua nascita alle ultime azioni in Bolivia, mi faccio l'idea di una persona sorridente, scherzosa, cameratesca (ben diversa da quella tratteggiata da Benicio del Toro nei due film di Soderbergh dedicati a Guevara); qualcuno a cui la divisa di ministro e capo della banca centrale stavano strette, e che aveva bisogno di azione, di sudore, di sentirsi davvero utile. A fianco, giacciono i resti suoi e dei suoi commilitoni morti nel paese Sudamericano, in una stanza semioscura con piante e rigagnoli che, credo, debbano far pensare alla giungla. Fuori, al sole, la sua statua enorme sovrasta degli altorilievi che raccontano i fatti salienti della sua vita, mentre le parole della lettera che scrisse a Fidel quando gli annunciò che voleva andarsene luccicano davanti alla piazza di cui il popolo dei selfie sembra aver preso possesso. Fu Fidel a volerselo togliere dalle scatole? O fu lui a voler continuare la lotta? Io propendo per questa seconda ipotesi, anche se può darsi che la verità stia nel mezzo... temo non lo sapremo mai, e comunque poco importa.
Aqui se queda la clara, / la entranãble trasparencia / de tu querida prensencia, / comandante Che Guevara.
Per il resto, Santa Clara è una città abbastanza tranquilla, anche se io (e le due ragazze scandinave - Ana e Luvisa - che avevo conosciuto alcuni giorni fa e che ho reincontrato nel parco centrale) capitiamo in un momento in cui la vista - specie di sera - sembra fervere: saggio di danza all'aperto per due serate di seguito, musica nella rotonda al centro del parco, concerto di vari musicisti alla Casa de la Trova... insomma, c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Festeggiamo il mio compleanno con una cena in un ristorante sontuoso (i prezzi sono invece normalissimi; è il pregio di vivere in un Paese fermo agli anni '50, dove ogni palazzo sembra essere stato destinato in passato ad altri fasti) e poi con un gelato da Coppelia, prima di andare al concerto; ed io mi faccio pure un regalo speciale: due giorni di mare su uno dei cayos (isolette vicino alla costa) non lontani da Santa Clara, cercando di approfittare di questi ultimi scampoli di isola caribica dove ho fatto più l'acculturato che il vacanziero.
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Commenti
@Massielena: ma non cresci mai?! :)
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inserito il 16/12/2016
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