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Il sogno dell'Inca addormentato

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Fate una foto alla cittadella Inka di Machu Picchu, magari da uno di quei punti ottimali che si incontrano lungo il Cammino Inca che scende dall’Inti Punku, la "porta del sole", e poi ruotatela di 90 gradi in senso antiorario...

Lo vedete anche voi, quel profilo di un Inca addormentato? Il Wayna Picchu gli fa da naso, lungo ed appuntito come sono i nasi di coloro che vivono sulle montagne peruviane; più indietro la testa, mentre davanti si scorgono le labbra e il mento.

Ogni volta che arrivo a Machu Picchu, l’Inca è sempre lì, addormentato, ad attendere le migliaia di visitatori che ogni giorno, a bordo di uno degli autobus guidati da autisti pazzi o arrivandoci con le proprie gambe lungo l’Inka Trail, arrivano a Machu Picchu, restando a bocca aperta. Dorme, e forse sogna.

Sogna della civiltà antica, ormai scomparsa da secoli, che ha trasformato la pietra della montagna in una città spettacolare. Una città in cui le case ed i templi sono rimasti pressoché intatti, grazie alla foresta che l’ha nascosta agli sguardi pieni di cupidigia dei conquistadores spagnoli. Una città di cui gli studiosi ancora oggi non sanno dire a cosa servisse, ognuno con la sua teoria e le prove che la confortano, e le prove che smentiscono le teorie degli altri (se chiedete a me, vi racconterò della mia convinzione che fosse una specie di villaggio vacanze per le autorità dell’impero che non era un impero).

Dibattiti accademici di cui all’Inca addormentato non importa nulla, preso com’è dal contemplare le nuvole che, rapide, gli passano davanti agli occhi, gettando luci ed ombre sulla sua cittadella. Sotto le nuvole, le rondini si lasciano trasportare dalle correnti d’aria, riposandosi di tanto in tanto, per poi gettarsi di nuovo in picchiata per acchiappare al volo qualche insetto.

Volano libere, le rondini; e l’Inca addormentato le aggiunge al suo sogno, assieme alle nuvole. Gli uomini continuano ad aggirarsi sul suo viso, a volte scalandone il naso, a volte semplicemente sedendosi su quella pelle che pare fatta d’erba, per contemplare lo stesso panorama che i primi esploratori giunti dal Qosco apprezzarono così tanto da scegliere questo luogo per costruirvi l’ottava meraviglia dell’umanità.

Intorno, la vita scorre come sempre, come il sacro fiume Urubamba: il villaggio di Aguas Calientes si riempie e si svuota di turisti, come un polmone d’aria; e noi approfittiamo di una interruzione negli acquazzoni che accompagnano l’arrivo della primavera per camminare fino alle cascate di Mandor, lungo la strada ferrata, e poi andare a vedere i colibrì che fluttuano quasi immobili, mentre suggono l’acqua zuccherata dalle mangiatoie appese ai rami degli alberi.

Altri portatori arrivano carichi come muli, mentre chi li ha ingaggiati è ancora lassù, a molestare il sonno dell’Inca. Che non se la prende, e continua a sognare.


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inserito il 01/10/2014
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