Umidità panamense
Le luci delle navi in attesa, all'entrata del Canale sulla costa pacifica, paiono lucciole in una notte d'estate.
È questa la vista che mi accoglie, al mio arrivo a Panama, dopo una giornata intera spesa a volare lungo un tragitto che è giustificato solo dall'economicità dello stesso (lo spero per Joaquin, il nostro uomo-voli nell'ufficio JLA, perché se no non c'è ragione per non bruciarlo vivo la prossima volta che lo vedo, nelle più atroci sofferenze): Perù-CostaRica, CostaRica-Colombia e Colombia-Panama. Una "passeggiata de sangue", come direbbe qualcuno, che termina solo a mezzanotte, quando l'ultimo aereo atterra nell'aeroporto internazionale della capitale panamense.
Già all'interno della struttura la temperatura è alta, e l'umidità pure. Ma non è niente rispetto a quello che mi aspetta appena uscito: un muro attraverso il quale si può camminare solo a colpi di machete, che si richiude subito dietro di te.
Resto in attesa per più di 40 minuti del mezzo di trasporto che dovrebbe portarmi all'hotel che ho prenotato. In realtà, scopro poi, è già passato una volta, ma l'idiota dell'autista non ha pensato di farsi riconoscere come avrebbe invece dovuto, quindi io non posso riconoscerlo come tale e resto, impalato più di un impala ugandese, ad aspettare.
L'hotel non è niente di che, cercano di darmi una stanza più piccola della cartella scolastica di mia nipote, per fortuna la tipa della reception è estremamente simpatica e cortese e mi assegna un'altra stanza, più grande, con un bagno in cui riesco persino a girarmi. Provo a dormire, l'ho fatto solo per 6 ore nelle ultime 36, ma molti clienti partono presto al mattino e non si degnano di tenere un profilo basso, quindi alle 7 ho già gli occhi semiaperti (aperti sarebbe chiedere troppo, onestamente).
Colazione estremamente basica, poi lavoro per un paio d'ore al computer, finché la proprietaria dell'hotel non mi dice che mi può accompagnare in aeroporto per prendere una navetta gratuita che mi scaricherà in centro città, dove "sarà questione di un attimo prendere un taxi" per raggiungere l'ostello dove resterò nei prossimi 3 giorni... Le ultime parole famose: una volta in centro, è in corso un'acquazzone talmente violento che nessun taxi vuole fermarsi. La prendo tutta! Per fortuna, la pioggia è tiepida (e come potrebbe essere altrimenti?), ed ho protezioni impermeabili per zaino e zainetto; ma sono troppo stanco/pigro per estrarre l'ombrello, e quindi mi inzuppo per bene.
Finalmente, un taxista si ferma, e per la cifra più onesta del mondo mi porta a destinazione, tra strade lungo cui i grattacieli sembrano sorgere come funghi, inframezzati qua e là da zone piene di fango, immagino frutto dell'alta marea, e qualche catapecchia (ma poche, ché probabilmente da queste parti ogni centimetro quadrato vale un occhio della testa).
L'ostello è ok, sono io che non lo sono. Mi doccio, poi mi butto sul mio letto a castello e provo a dormire, finché il mio stomaco non si appresta a chiamare il pronto soccorso per essere nutrito a forza... lo accontento, ed esco nel tramonto cittadino, alla ricerca di cibo.
Un buon inizio, non c'è che dire...
Il buon ostello in cui ho prenotato per 3 notti, nel quartiere Marbella di Panamà, si chiama Siriri: http://www.hostelsiriri.com/
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inserito il 19/12/2013
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