Primati da Guinness
Chi va in viaggio naturalistico in Uganda lo fa, normalmente, con uno scopo principale: addentrarsi nella foresta di Bwindi e incontrare i gorilla di montagna. Ovviamente, noi non ci siamo sottratti a questa felice incombenza, però i gorilla non sono stati gli unici primati a cui ci siamo avvicinati: prima di loro, è toccata agli scimpanzé.
Un viaggio davvero terribile, cominciato alle 4 del mattino nel buio più assoluto e senza colazione a causa dei deficienti dello Yebo Camp (vedi racconto precedente) su cui sarebbe meglio stendere un sepolcro pietoso, per strade di terra argillosa rossa mentre il nostro autista Hassan cerca di uscire dal labirinto del parco basandosi solo sulla sua memoria (non ci sono cartelli in giro, e l’unica persona in cui ci imbattiamo scappa via pensando che gli si voglia fare chissacosa... strani, questi turisti, che girano a queste ore della notte, invece di starsene a dormire o nella discoteca che da un villaggio vicino ha allietato il nostro sonno!).
Arriviamo a Kibale al Primate Lodge (posto fichissimo, davvero, che pare ancora più lussuoso dopo quello che c’è stato prima) giusto in tempo per lasciare giù gli zaini e cambiarci, ché c’è da correre al centro visitatori della riserva per ricevere le istruzioni sul trekking che faremo alla ricerca di scimpanzè. Ci dividono in due squadre, e cominciamo a camminare nel bosco. Dal momento in cui avvistiamo il maschio alfa (dominante), scatta il cronometro per i 60 minuti che abbiamo a disposizione. Il mio gruppo se ne resta con Alfa, che se ne sta pacifico in cima agli alberi a mangiucchiare foglie, mentre l’altro si sposta un po’ per vedere se hanno più fortuna.
Ad un certo punto, con gran tremor di foglie e rumore, Alfa scende dal suo albero, forse attirato da qualcosa di imponderabile per noi (oppure, più prosaicamente, dalla vista del petto della nostra ranger, che si è tirata giù un poco la cerniera della giacca); c’è vicinissimo, ma nessuno si azzarda ad avvicinarsi ancora di più, che queste simpatiche bestioline non son nuove a attacchi ai disturbatori. Lui si guarda intorno, cambia posizione, pare pure che si metta in posa, mentre noi scattiamo decine di foto; ma la luce è terribile, prevale l’ombra, e riuscire a fotografarlo senza l’aiuto del flash è davvero arduo. Poi, come era venuto, decide di andarsene; noi lo seguiamo, finché resta a terra, ma poi dobbiamo arrenderci col naso all’insù quando comincia a scalare un nuovo albero, in cima al quale ci sono delle femmine del suo gruppo. Siamo tutti lì, ora, sperando che qualcuno si decida a scendere di nuovo, ma non è giornata, e dobbiamo accontentarci di avvistare altre scimmie dalla coda rossa e dai ciuffi bianchi intorno alla testa, sempre lontane, sempre seminascoste tra le fronde.
Il giorno dopo dedichiamo quasi tutti la mattina al riposo, mentre Arianna e Patrizia scelgono di cogliere la proposta di Aldo (l’intrepido Aldo!) di chiamare due motorini boda-boda e farsi portare al vicino villaggio, dove avranno una mattinata divertente tra incontri con i bambini locali e sfide a biliardo (per la cronaca, Italia 1-Uganda 0). Nel pomeriggio, invece, approfittiamo della possibilità di effettuare una visita guidata alla vicina palude ed ai suoi dintorni, e facciamo davvero bene: la camminata è molto interessante e la guida esperta, vediamo un sacco di scimmie ed uccelli e aiutiamo al contempo la comunità locale che si divide i guadagni di queste attività. La cena a lume di candela è deliziosa, come quella della sera prima: è difficile trovare un neo a questo Primate Lodge.
Il mattino dopo si riparte, e sono ancora un sacco di chilometri fino al lago Mburo, dove alloggiamo in una sorta di campeggio con capanne abbastanza malridotte (per quanto pulite), e dove facciamo una bella navigazione su di un barcone il cui capitano si prodiga con grandi manovre e virate per far vedere a tutti la sfilata di uccelli ed animali semiacquatici che vivono nei pressi delle rive. Aquile pescatrici dalla testa bianchissima, un sacco di martin pescatori, qualche bufalo e molti ippopotami ci guardano, ci osservano, e noi li ricambiamo. Nei pressi dell’imbarcadero c’è poi un ristorantino semplice semplice, dove ceniamo alla sera con l’unico rumore degli ippopotami che si aggirano in cerca di quei 40 kg di vegetali che costituiscono il loro pasto quotidiano. Nel campo, da una parte i ranger e gli inservienti, intenti a giocare all’onnipresente biliardo o ad ubriacarsi, dall’altra piccoli gruppetti di facoceri che dormono in buche scavate nel terreno ed ai quali bisogna fare attenzione nel muoversi di notte.
Poi, è discesa verso la montagna. La parte sud-occidentale dell’Uganda, lungo la linea curva della Rift Valley, è caratterizzata da montagne sui 2000 metri, non particolarmente alte ma a sufficienza per offrire un clima differente dal caldo secco della savana e un habitat perfetto per un altra specie di primati molto simili a noi: i gorilla. Nella riserva di Bwindi si trova una foresta, definita "impenetrabile", in cui poco meno della metà dei 720 gorilla di montagna esistenti vive, divisa in famiglie a capo delle quali c’è un maschio dominante, detto silverback dal colore argenteo della sua schiena (non è che il maschio dominante sia l’unico che ha la schiena argentata; ma, essendo questo un tratto caratterizzante i maschi sessualmente maturi, quante chance pensate ci siano che un altro silverback viva nello stesso gruppo familiare? In realtà, qualcuna c’é: si sono osservati gruppi di più individui silverback, ma ovviamente solo uno era il dominante mentre gli altri tacevano, silenti). Dopo una notte passata al Mist Camp (altro posto ultrafigo, ci mettono persino la boule dell’acqua calda nel letto, e credetemi serve perché fuori la sera fa freschino), ci rechiamo al centro visitatori della riserva e qui, con un po’ di buona diplomazia da parte di Hassan e mia, riusciamo a farci riassegnare ad una famiglia di gorilla per la quale si possa restare uniti nel gruppo (c’è un numero limitato di persone che possono visitare i gorilla ogni giorno, e il rischio era che ci dividessero in due gruppi). Aspettiamo poi pazientemente che i "cercatori" avvisino i ranger della posizione dei gorilla: ogni mattina, all’alba, partono in direzione del luogo in cui i gorilla hanno dormito la notte, e poi cercando pazientemente le tracce del loro passaggio trovano dove si sono spostati per mangiare. E’ lì che li troviamo, dopo un’ora e mezza (ci è andata bene! A volte sono anche 4, le ore di cammino...), insieme alla nostra ranger e alle due guardie armate che ci accompagnano (a quanto pare, armate in caso di incontro con bracconieri... ma non si sa mai...).
Per un paio d’anni, alcuni ranger li hanno abituati pian piano alla presenza umana, recandosi sempre alla stessa ora e con le stesse persone nelle loro vicinanze, facendo finta di mangiare come loro, o di prepararsi un giaciglio come loro. Poi, lentamente, hanno cominciato ad aggiungere nuove persone, ed ora i gorilla tollerano la presenza di umani estranei come noi per circa un’oretta, purché non gli si rompano le scatole. E di rompergli le scatole noi non ci sognamo assolutamente: 240 kg di peso, molti dei quali muscoli, per quanto nascosti sotto la simpatica frangetta che hanno in faccia ci fanno comunque mantenere la distanza di sicurezza di 7-8 metri, e soprattutto fanno sì che non guardiamo direttamente negli occhi il capofamiglia, che potrebbe prendere la cosa come una sfida e agire di conseguenza (ad un certo punto, decide che per qualche motivo deve spiegare qualcosina ad un altro maschio giovane, e lo carica improvvisamente spingendolo giù dalla china della montagna! Noi, ovviamente, zitti e mosca...).
Epperò ti viene da guardarli: sono così belli, così maestosi, e allo stesso tempo così simili a noi, tanto che una madre per allattare il figlio si volta per avere un po’ di privacy, ed il silverback si acquatta per terra imitando il gesto che ho fatto io per fargli una fotografia. I piccoli son piccoli, poi, e passano tutto il tempo a giocare sugli alberi o vicino agli adulti, mentre tutti li tengono sott’occhio per assicurarsi che non gli succeda niente. E’ un momento in cui parliamo poco, godendo il piacere di un’esperienza che forse non capiterà mai più, e che ci lascia il segno (e un po’ di puzza nel naso: mangiando prevalentemente fogliame e avendo una digestione lenta, spesso i gorilla lasciano partire delle scoreggie tremende, ma noi abbiamo già fatto il callo a quelle degli ippopotami e quindi non ci infastidiscono troppo).
Dopo un’ora, i saluti. I cercatori resteranno nei pressi, per vedere dove se ne andranno a dormire i gorilla, ma noi dobbiamo ritornare, e per sentieri tagliati con il machete uscire dalla foresta impenetrabile e tornare al lusso delle docce calde del Mist Camp.
I link ai siti dei due lodge sono rispettivamente http://www.ugandalodges.com/primate/index.php?page=primatelodgekibale e http://www.gorillasafarilodges.com/uganda/gorilla-mist-camp.html; maggiori informazioni sulla famiglia di gorilla che abbiamo visitato (Kyagurilo) si trovano invece su http://bwindiresearchers.wildlifedirect.org/2009/07/03/kyagurilo-gorillas-the-best-known-gorillas-of-bwindi/
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inserito il 28/07/2013
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