Accoglienza rossa in Uganda
Dopo un paio di voli con Emirates, passando per Dubai che non si capisce esattamente perché si debba passare per Dubai se si va in Uganda (ma ce lo facciamo andare bene lo stesso ché la pappa è buona, mentre i film, invece, fanno schifo), il mio gruppo Vagabondo ed io siamo arrivati a destinazione, ovvero all’aeroporto di Entebbe.
28 gradi centigradi, un bel sole, ma niente rispetto all’estate che ci siamo lasciati alle spalle in Italia. Eppure fa caldo, o forse è solo la nostra sensazione.
Gli ugandesi, irreprensibili, girano tutti con pantaloni lunghi e camicia, pulitissimi, nonostante la coltre di terra rossa che pare ricoprire tutto. Quasi argilla, ma più polverosa, e ovunque, tanto che ti immagini come sia la situazione quando viene una delle due stagioni, quella delle pioggie, con fiumi colorati che scorrono ovunque entrandoti tra le dita dei sandali, schizzandosi sulle portiere delle macchine e sulle basi dei muri, macchiando tutto ciò che è bianco... che di bianco, e soprattutto di bianchi, non ce n’è poi molti, da queste parti: noi, che siamo in otto, sembriamo essere il gruppo più consistente già mentre facciamo una fila interminabile per il visto all’aeroporto; per il resto, qualche sparuto viaggiatore, e il personale delle Nazioni Unite, che sembra essere presente in più punti della città, aggirandosi sui suoi 4x4 Toyota bianchi con le due lettere UN sulle fiancate. La popolazione è di varie sfumature di nero e marrone, e pochissimi indossano quegli abiti colorati che, ti rendi conto, sono più un cliché che qualcosa di reale, almeno da queste parti.
Non c’è illuminazione stradale a Kampala, la capitale; e le buche sulle strade sono più devastanti dell’acne sul viso di un adolescente. Come facciano a non incidentarsi di continuo è un mistero, e la già prudente attenzione che poniamo nel camminare sui bordi della strada nel pomeriggio diventa, col calar delle tenebre, una necessità per mantenerci in vita, mente i "boda boda", mototaxi per una o più persone, piroettano intorno ad automobili e furgoncini spesso rischiando di venirci addosso. Ma non lo fanno, per fortuna, e noi continuiamo esplorando la zona sita intorno all’hotel dove ci ha portato Hassan, il tipo che ci farà da guida e autista per i prossimi quattordici giorni, portandoci in giro per il suo paese a scoprire quello che appare chiaro essere l’unico motivo per dei "turisti" per venire qui: la Natura.
Vedremo, con un po’ di buona sorte, rinoceronti, leoni, gazzelle, ghepardi, iene, zebre, giraffe, elefanti e scimpanzè, oltre a centinaia di specie di uccelli, a volte enormi come la gru coronata ("coronina", avrebbe detto mio nonno Nino, credendo prendendo in giro me - ma non ne sono sicuro, non gliel’ho mai chiesto) o il marabù. E, se le cose andranno davvero come speriamo, avremo il privilegio di incontrare una famiglia di gorilla di montagna, in un parco ai confini sud-occidentali di questa piccola nazione piazzata un po’ a destra del centro dell’Africa, quasi sul suo cuore...
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inserito il 18/07/2013
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