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Montezuma comincia a colpire

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Costretto ad arrendersi e fatto prigioniero dagli spagnoli, il sovrano azteco Moctezuma II (noi, per non rischiare di sputare ogni volta che ne pronunciamo il nome, soliamo sostituire con una "n" la "c") si ammalò e morì qualche mese dopo, lasciando non pochi problemi da risolvere agli invasori d’oltremare. Tra questi, si dice, anche una maledizione: chiunque avesse viaggiato per queste lande avrebbe prima o poi dovuto temere le ire di un nemico inesorabile, il Grande Squaraus!
Per noi, il fatidico giorno arriva alla vigilia di Capodanno, quando stiamo preparandoci a partire per Palenque: Anna non sta bene, ha rimesso tutta la notte e al mattino ha ancora la febbre; dopo un piccolo consulto, decidiamo di dividere in due il gruppo, lasciando partire i sani (o presunti tali) e restando Elisa, la figlia ed io a San Cristobal per qualche altra ora, per vedere se la situazione migliora. Mentre la ragazza dorme, la madre ed io passiamo la mattinata a chiacchierare, mentre fuori il solito sole sembra voler spaccare le finte pietre della pavimentazione di questa bella e colorata città, e passa una processione di pick-up carichi di gente, di suonatori, di rami di palme e di riproduzioni di santi e madonne, accompagnati da continui lanci di petardi.
Verso mezzogiorno sembra che Anna stia meglio, quindi grazie all’aiuto di Sergio, l’attento proprietario dell’agenzia che ci ha organizzato il viaggio, partiamo all’inseguimento degli altri con un altro furgoncino dei suoi ed un autista, David, che sebbene vorrebbe tornare in tempo per fare la festa di capodanno con la sua famiglia è felice di avere ricevuto un lavoro anche così all’ultimo minuto e ci tratta con una cortesia incredibile. E guida pure bene, il che sulla strada per Palenque è una necessità, specie quando comincia a piovigginare: la via di per sé non è molto lunga, un paio di centinaia di chilometri, ma in molti punti è danneggiata o franata e, soprattutto, è costellata di dossi più o meno ufficiali che rendono impossibile l’affrettarsi. Arriviamo poco dopo le 18, dopo cinque ore di viaggio, e troviamo Victor e Yoni che ci accompagnano nel villaggio immerso nella foresta in cui alloggeremo, mentre David incassa una lauta mancia da Elisa e riparte a tutta velocità verso casa.
El Panchan pare essere una meta molto appetita, sia dai turisti messicani che da quelli internazionali: una serie di capanne di differenti qualità immerse nella giungla più fitta, collegate da dei vialetti che non saprei dire se siano più scivolosi o male illuminati; un ristorante ed un bar completano la dotazione. Fortunamente abbiamo riservato un tavolo per la cena, perché davvero c’è un sacco di gente, anche non alloggiata nelle capanne ma nella non troppo distante cittadina di Palenque; i camerieri sembrano smarrire la strada tra i molti tavoli, mentre alcuni artisti giocano facendo roteare fiamme e suonando musica e le cataratte del cielo sembrano aprirsi, liberando buona parte dei tremila mmc di pioggia che cadono qui annualmente. Questo, se possibile, aggiunge caos al caos: almeno un terzo dei presenti devono spostarsi di corsa per non rischiare di annegare (e vedere annacquati i loro drink), e questo comporta una compressione dei volumi umani ancora maggiore di quella presente all’inizio della serata. Mangiamo discretamente, il costo non è neppure eccessivo rispetto a quello che temevamo, ma Anna non partecipa e anche Luca comincia a dare qualche segno di cedimento: subito dopo la mezzanotte, e l’accensione di una carpa di cartapesta imbottita di petardi, sparisce assieme a Giuseppina - noi ovviamente pensiamo che vogliano solo godersi la notte, ma Moctezuma è in agguato...
Il primo giorno dell’anno prevederebbe la visita del grande sito archeologico di Otutum (Palenque, che in spagnolo vuol dire palizzata, è un nome che gli hanno dato gli spagnoli), ma alla fine partiamo solo in 6: Luca è caduto sotto i colpi dell’azteco, Giusy rimane per assisterlo, Anna non si muove e Carlo anche lui non si sente molto bene.
Nonostante sia mattina, e nonostante sia festa, sciami di persone stanno già scorrazzando per i prati intorno agli impressionanti edifici quando arriviamo; il luogo, comunque, lo merita, perché è esattamente quello che nella fantasia di molti rappresenta il ritrovamento di un antico tempio nella foresta: ogni edificio è letteralmente circondato da alberi verdissimi, le pareti sono umide e scivolose e quelle non esposte al sole sono ricoperte di muffe e licheni, gli scalini che portano in cima alle costruzioni sono spesso molto insidiosi... ricorda in qualche modo alcuni dei templi khmer di Angkor, ma forse li supera quanto meno nel farti sentire un Indiana Jones.
Victor sembra essere più a suo agio in questa occasione, e ci descrive a mio parere bene le cose che stiamo vedendo; per alcuni degli altri non è così dettagliato come altre guide locali, che subauscultiamo mentre passiamo loro accanto, ma io continuo a fare mia la filosofia di De Saint-Exupery, che nel Piccolo Principe ricorda come in realtà siano più importanti le senzazioni che i numeri e le date, per descrivere - e capire - le cose ed il mondo.
Terminata la visita, riportiamo Elisa e Lorenzo al villaggio, controlliamo le condizioni degli altri e poi ripartiamo per tentare un’impresa: avvistare dei lamantini. Quando ancora ero a città del Messico, Socorro mi ha parlato di questo posto, Catazajà, non lontano da Palenque, dove in una laguna molto ampia vivono questi deliziosi mammiferi acquatici che avevo conosciuto in Brasile. Accollandoci le varie spese, essendo una cosa non compres nel programma, abbiamo quindi deciso di partire in 4 (più Yoni e Victor) alla volta della laguna, dove abbiamo noleggiato una lancia a motore compresa del suo pilota. Per due ore e passa, assieme anche a tre svizzeri che abbiamo aggregato al gruppo al molo, vaghiamo per la laguna, ma dei lamantini nessuna traccia; in compenso, però, vediamo da vicino centinaia di uccelli acquatici (compresi dei bellissimi becco-a-spatola dalla sfumature rosastre), gigantesche iguane aranciate, una intera famiglia di scimmie urlatrici e persino un istrice, che sembra convinto di essere perfettamente mimetizzato tanto ci ignora mentre lo fotografiamo. Un piccolo incidente, l’elica della lancia che comincia a girare a vuoto, ci fa temere di non riuscire a tornare a riva prima che si scateni un altro diluvio, ma il capitano si rivela anche un discreto meccnico e riesce a riportarci a riva mentre cominciano a cadere i primi goccioloni.
Altra cena al Panchan, in posizione più riparata e centrale della sera prima anche se, per il momento, le nubi sembrano tenere... ma è un’illusione: verso le 23, comincia a piovere ancora più forte della sera prima. E noi, alle 4 e mezza, dobbiamo ripartire... :|


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inserito il 01/01/2012
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