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Gradini e gradoni

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Il giorno di Natale comincia con le lamentele di chi si è sorbito per tutta la notte le performance erotiche delle coppiette messicane ed i botti dei petardi lanciati da chi, evidentemente, non aveva con chi passare la notte. Proviamo ad immergerci in una abbondante colazione, ma pur trovandoci nello stesso posto che ci era piaciuto alla vigilia rimaniamo scontenti del servizio approssimativo di cui siamo fatti oggetto. Torniamo all’ora all’hotel e, caricati i bagagli sul tetto in un sacco predisposto da Yoni, puntiamo verso il sito archeologico di Teotihuacan, a circa 40 km dalla capitale. Dico "puntiamo" perché quelle erano le intenzioni; in realtà, Yoni non si destreggia bene tra le caotiche strade di Città del Messico e Victor, troppo occupato a darci spiegazioni su quello che vedremo, se ne accorge quanto ormai è troppo tardi e siamo finiti quasi dalla parte opposta di dove volevamo andare. Risultato pratico: nonostante la levataccia, arriviamo con quasi un’ora e mezza di ritardo, che il sole è già alto e le orde di turisti già incombono.
Teotihuacan si articola intorno ad un lungo viale di qualche chilometro, detto "Viale dei morti", forse perché tutti quelli che hanno provato a percorrerlo sotto il sole cocente che ci picchia sulle teste non sono mai tornati indietro per raccontarlo. Seguendo la nostra guida, percorriamo il lungo passaggio ricco di scalinate, basi di edifici e qualche affresco decorativo, fino a giungere all’imponente Piramide del Sole, sicuramente una delle più grandi piramidi al mondo.
Sebbene la forma sia simile, rispetto a quelle egizie questa non serviva come tomba regale ma come piattaforma per cerimonie religiose: una sequenza di scalinate, in alcuni punti ben ripide, portavano ad una sommità livellata sulla quale i sacerdoti officiavano le loro cerimonie. Si arriva in cima col fiatone, e bisogna pure farsi largo tra l’enorme folla - principalmente di messicani - che sta facendo lo stesso, ma la vista che si gode è molto bella. Anche se, procedendo ancora fino al termine del Viale dei Morti, dal primo livello della Piramide della Luna, che è più bassa ma anche meno visitata perché la maggior parte non ne vuole più sapere di gradini, si può contemplare quasi l’intera cittadella, seduti in tranquillità...
Verso le 14 risaliamo sul pullmino di Yoni e partiamo alla volta del sud, lasciandoci alle spalle la frenesia della capitale della federazione messicana. Dopo varie ore raggiungiamo Oaxaca ed il nostro albergo, con la maggior parte delle stanze disposte intorno ad un patio molto carino; fuori, la vita sembra più tranquilla, anche se una puntata allo Zocalo ci fa trovare l’assembramento di sempre. Ceniamo in un locale trovato così per caso, dietro il mercato; si chiama La Rana Feliz, anche se non serve anfibi, e ci mette a posto gli stomaci senza controindicazioni - apprezziamo in maniera particolare il locale formaggio bianco filante, davvero molto buono. Rientrati in albergo, festeggiamo il compleanno di Lorenzo, capo della famiglia che è in viaggio con noi, facendogli rompere una pignatta a forma di pupazzo di neve che avevamo comprato il giorno prima a Città del Messico (e che la moglie ed i figli hanno riempito, sottoponendola ad un delicato intervento di chirurgia urologica, di caramelle e cialde varie); poi tutti a nanna, ché la giornata è stata lunga.
Passiamo la mattinata di Santo Stefano visitando il centro cittadino, molto caratteristico con alcune strade circondate da edifici vivacemente colorati e chiese come quella di Santo Domingo enormemente decorate; tutt’intorno, venditori di souvenir e mercatini di prodotti artigianali, e qualcuno espone pure delle statue fatte di terracotta dai tratti molto bizzarri, sdraiandole per terra intorno al sagrato pieno di piante di agave. Nello Zocalo vediamo la cattedrale, i giardini con un piccolo gazebo centrale - che scopriremo essere un tratto comune a varie città - ed il Palazzo del Governo, contenente alcuni murali sulla storia messicana e locale ed un interessante museo della storia e della scienza. Il pezzo forte però sono i mercati coperti, dove al mattino abbiamo fatto colazione e dove torneremo varie volte in questi due giorni; Giuseppe ed io, ad un certo punto, cediamo alla tentazione e compriamo un sacchetto di "chapulines", insetti simili a cavallette fritti e spolverati di peperoncino rosso, a quanto pare piatto tipico delle zona. Onestamente, non vedo molti locali affrettarsi a farne scorta, ma ci fidiamo delle indicazioni e proviamo a mangiarne un po’: sapore d’erba quasi totalmente mascherato dal piccante, croccanti al punto giusto... se si riesce a ricordarsi che sono insetti non fanno neppure schifo, anche se ho mangiato molto meglio in molti altri posti :)
Il pomeriggio visitiamo Monte Alban, sito in cima ad un monte e probabilmente capitale di una confederazione antica quanto Teotihuacan. L’atmosfera, rispetto a quest’ultima, è completamente differente: l’erba per terra, il sole sicuramente meno forte vista l’ora, la ressa inferiore e il fatto che molti degli edifici disposti intorno alla grande piazza centrale siano ancora in discrete condizioni contribuisce a rendere più rilassante e coinvolgente il tutto, e ce lo godiamo con la calma necessaria mentre sulle vallate intorno a noi volano svariate coppie di rapaci che giocano con le correnti ascensionali.
Alla sera proviamo un altro ristorante, questa volta principalmente vegetariano - non solo, però! -, ma non rimaniamo particolarmente entusiasti del servizio del cameriere/proprietario, che più che servirci approfitta del poco italiano che sa per trattarci in modo troppo... stavo per scrivere irrispettoso, ma è più burlesco che altro. Contento lui... Poi allo Zocalo, di nuovo, ma non facciamo a tempo a vedere lo spettacolo di suoni e luci che dovrebbe dare vita alla cattedrale, quindi ci limitiamo a gironzolare in mezzo a migliaia di altri visitatori.
L’ultima giornata di Oaxaca è in realtà dedicata ad un’altra escursione: camminiamo sotto le enormi fronde del Tule, un cipresso di 2000 anni che a quanto pare è l’albero più grande del mondo (e che se non lo è poco ci manca, perché è davvero immenso), e poi raggiungiamo Mitla, la "terra dei morti", dove bei bassorilievi decorano i resti di alcuni palazzi evocando le leggende sul Quetzalcoatl (il serpente piumato, simbolo della divinità e dell’unione tra cielo e terra). Il sole è allo zenit però, e non è facile girare senza risentirne; il sito poi non è così grande, quindi ben presto ci troviamo a mangiare un gelato ed a visitare una bottega di artigianato locale, dove ci mostrano come tessono al telaio e dove facciamo la conoscenza con l’altro invertebrato locale, il "gusano" o verme, che viene gustato da solo o, preferibilmente, immerso - da morto - in una bottiglia di Mezcal per dargli quel tocco in più... li proviamo (sia il Mezcal, che il verme... che è meno saporito delle chapulines, ma probabilmente perché ha già rilasciato tutto quello che poteva rilasciare, e speriamo non di più, nel forte alcoolico), e poi ne compriamo una bottiglia da portare con noi durante il viaggio.
Quando ormai stiamo arrivando a Hierve el Agua, Victor si accorge di aver perso il suo fedele bastone, al quale si appoggia sempre dopo una caduta di ben 150 metri che l’ha lasciato vivo ma anche un po’ ciompo; presa quindi una scopa dal pullmino, ne stacca il manico, creandosi un nuovo bastone del comando, e con questo ci accompagna dentro quelle che noi credevamo essere acque termali. In realtà, alcune vasche naturali decorate dalle cristallizzazioni dei vari minerali presenti si sporgono a terrazza sulla vallata sottostante e contengono acqua a temperatura ambiente, ma ormai siamo tutti in costume e quindi, vinta la prima ritrosia, ci immergiamo - e la sensazione non è poi così spiacevole, anche se tutti avremmo sperato in qualcosa di leggermente più caldo.
Durante il ritorno facciamo sosta a Mitla, ma del bastone non v’è traccia; poi rimaniamo quasi bloccati da alcuni scioperanti lungo la strada principale, ma il nostro buon Yoni da prova di grande abilità inserendosi in un labirinto di stradine del paesino che stavamo attraversando per uscirne dopo un po’ dalla parte opposta, aggirando il blocco stradale.
Nuovo ristorante, e nuovo tentativo, anche questa volta fallito (spostano gli orari senza saper neppure loro quando) di vedere il famoso spettacolo di suoni e luci; ci arrendiamo, e proviamo a dormire nell’attesa del lungo viaggio che ci aspetta domani.


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inserito il 28/12/2011
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