Il gioco di Ender
Ender è un bambino. Come tutti i bambini, ama giocare. Ma il gioco che più gli piace è quello della guerra: Ender è infatti una recluta nel programma terrestre di difesa contro gli "Insecton" (con l’accento sulla E, ché mica è un film veneto...). Ed è bravo, tanto che fa rapidamente carriera, fino ad arrivare ad un passo dal guidare la flotta intera, pronta ad un attacco che dovrebbe annullare la minaccia extraterrestre.
Come i bambini della sua età, Ender oscilla tra la bontà e la cattiveria, sentimenti incarnati dalla sorella e dal fratello: si scopre troppo spesso aggressivo come il fratello, mentre vorrebbe essere più compassionevole, come la sorella. Si rende conto che, più conosce il suo avversario, più impara ad amarlo, ed allo stesso tempo ad acquisire un potere smisurato su di esso: impara come annientarlo, come impedirgli di portare un nuovo attacco in futuro. Fino al momento ultimo, quando Ender dovrà scegliere se essere ricordato come un buono, o come un cattivo.
Il film è tratto da un romanzo di fantascienza del 1985 di Orson Scott Card, vincitore di un sacco di premi del settore; l’autore si è poi occupato della stesura della sceneggiatura, apportando (a quanto pare: io il libro devo ancora leggerlo, è lì sul mio comodino da quando Raine me l’ha regalato, e aspetta paziente tempi migliori) delle modifiche che rendono la storia ancora più interessante, almeno per gli spettatori.
A differenza del romanzo, però, il film non ha avuto un grande apprezzamento tra il pubblico (io faccio eccezione, pare: a me è piaciuto), pur sfoggiando un bel cast, begli effetti speciali (molto puliti, senza fronzoli) e una storia che, come ho detto, ha le "spalle grosse". Il motivo, forse, è da ricercare nella struttura stessa del film: noi ormai, forse dai tempi di Guerre Stellari, siamo abituati a film di fantascienza con tante esplosioni colorate, tanti suoni (che nello spazio, in teoria, non si sentono...) e, a volte, una buona storia. Ma questo è un romanzo di formazione, l’età del protagonista e l’ambiente in cui si svolge gran parte degli eventi - una scuola - ce lo testimoniano. E’ una storia con bambini veri, con le loro simpatie ed antipatie, con le loro paure, con i loro sogni e le loro aspettative. E’ un gioco, ma allo stesso tempo non lo è: Ender sa fin dall’inizio quali sono le possibili risultanze della carriera che ha scelto, per cui è stato scelto (addirittura, dice ad un certo punto, "creato"). Come quando deve scegliere tra le due coppe di liquido, una delle quali avvelenata, e si rende conto che la soluzione non è sempre tra quelle proposte, che non tutte le storie hanno un lieto fine.
Il film è costruito, in parte, come un grande videogioco, a cui assistiamo da dietro (o dentro) la testa di Ender. Ecco, questa forse è la sua colpa, ma risulta difficile pensarlo diverso. Forse, se letto per quello che è, questa storia diventerebbe un nuovo Gattaca, o un nuovo Moon, due bellissimi film che narrano di fantascienza senza bisogno di esplosioni colorate. Ma per apprezzarlo bisogna andare a fondo, e individuare i riferimenti (che non sono citazioni, si badi bene!), come il nome stesso del protagonista: Ender, colui che mette fine... ma che fine sarà?
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Commenti
E' dato molto spazio alla formazione del ragazzo che alla fine risulta essere un gioco fra bulletti con il finale scontato; poi il videogioco che alla fine capisci che non lo è e non ci vuole molto a comprenderlo.
Eccettuato il finale ed i sogni del ragazzo, che del finale sono il preludio a mio avviso non ci sono altri spunti da salvare.
No, a mio parere la storia si sviluppa in maniera diversa da quella di Starship Troopers, molto più simile ad un Full Metal Jacket nello spazio che a questo. Ma, certo, il film è rapido, e da quel che capisco taglia molto della storia originale (che, lo ripeto, non ho ancora letto).
E non è neppure scontata la scelta di Ender, a ben vedere. Perché se la sua pulsione è in quella direzione, ha mostrato durante la sua esistenza di non procedere spesso lungo la stessa...
Se poi vogliamo parlare di Ender, beh a me pareva più un giocattolo in mano ai grandi il cui unico obiettivo era vincere e per farlo erano disposti a tutto, compreso utilizzare i ragazzi; meno violento di Blood Diamond, ma in fondo sulla stessa linea.
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inserita il 19/05/2014
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