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Bombay mix
Finalmente, India. Dopo essere stata per molti anni nella lista dei 3 paesi che volevo assolutamente visitare (negli altri due, Cina ed Islanda, ci avevo viaggiato nel 2017), l'occasione è arrivata per una serie di fortuite circostanze, e così son riuscito a ritagliarmi due mesi di tempo per, almeno, cominciare ad aggirarmi in questo immenso paese che, non a caso, chiamano "subcontinente".Per farlo, ho deciso di seguire la formula che in molti casi mi ha portato fortuna, ovvero quella di prendere una mappa, marcarvi i luoghi che, per mia conoscenza o per suggerimenti di vari amici o per averlo letto in qualche racconto di viaggio, paiono interessanti e, poi... provare a connettere i puntini, sapendo già che sarebbe impossibile e, forse, anche inutile andare dappertutto. Trucchetto finale: entrare da un punto, ed uscire da un altro, così dovrò quantomeno muovermi dal primo al secondo.Bombai, dunque. O Mumbai, come si chiama ora, in base a quel principio revisionistico che tutto quello che hanno portato i colonizzatori è male e dev'essere per forza cancellato (salvo poi tenersi le ferrovie, la sanità pubblica, eccetera eccetera).Sceso dall'aereo all'alba, il primo impatto è normale, almeno se comparato con altri paesi in cui sono stato: non ci sono le folle oceaniche, non ci sono le persone ricoperte di polveri colorate, non ci sono ovunque gli odori di spezie esotiche. Al contrario, l'aeroporto è abbastanza ben organizzato, ed incontro persino qualcuno che mi offre un cambio molto favorevole, sicuramente più di quello dei cambia valuta (ho deciso che proverò ad evitare i bancomat per un po', per vedere come va). Prendo un taxi per l'ostello dove ho prenotato e, mentre questo si immerge nel traffico ancora non destatosi, riesco ad intravedere qua e là, quasi ad interrompere una infinita teoria di palazzoni grigi e sovraffollati, edifici che raccontano di epoche passate, un misto di colonialismo inglese e di eclettici stili tipicamente indiani... questo viaggio promette bene.In ostello ci sto poco, il tempo di aspettare che il mio letto in camerata sia pronto e di darmi una lavata, e poi subito fuori, a fare le prime commissioni. La prima cosa da fare è acquistare una sim telefonica locale, ed è un bene che comincia da questa perché ci vorranno comunque delle ore perché la attivino; scelgo uno degli operatori più diffusi, Airtel, e ottengo una coperture per tre mesi con chiamate illimitate e 1,2 GB di dati al giorno (!) per l'equivalente di 8,5 euri (comprensivi del costo del servizio di attivazione, gentilmente fornito dal giovane Ashraf). Poi, dritto in stazione centrale, a prenotare i biglietti per gli spostamenti dei prossimi giorni. E qui, il primo incontro/scontro con la burocrazia e le complicazioni: ci vogliono 20 minuti solo per capire a quale ufficio andare e, una volta trovatolo (sportello dedicato ai viaggiatori stranieri), cercare di capire - nell'ordine - che c'è un modulo da compilare per ogni biglietto, dove trovare il modulo ché allo sportello paiono finiti, perché quello che hai scritto sul modulo non è abbastanza, che tipo di posto vuoi, ecc. ecc.; il tutto favorito, aiutato nonché facilitato (!) da un addetto superlento (i bradipi della Motorizzazione di Zootropolis sono delle schegge, in confronto) che stenta a farsi capire nel suo inglese con marcato accento locale, comprensivo di scuotimenti di testa che significano tutto ed il contrario di tutto. Risultato pratico: 1 ora e mezza della mia vita perduta per comprare tre biglietti del treno. Ma, almeno, è fatta, e posso dedicarmi a scoprire la città.Comincio dal cibo, di cui sono completamente ignorante, e, incurante di tutte le indicazioni (sensate) che vengono date ai viaggiatori, mi fermo a due chioschetti lungo la strada e, quando viene il mio turno (è sempre buona cosa andare da quelli affollati, ché o son buoni o son economici o son tutte e due), mi sparo due bicchieri di chai (té) caldo e dolce al punto giusto e poi un thali, ovvero un piatto fatto di riso e varie salse del giorno, con ceci e verdure. Si mangia con la mano destra, mischiano il riso alle salse, e poi ce la si pulisce con l'acqua di una tanica a dispozione dei clienti; e ci si siede dove si può, ché dei bambini giocano con gli sgabelli di plastica forniti dal chioschetto e mica puoi sottrarglieli, no?!La parte sud di Mumbai, in cui risiedo, è ricca di templi e palazzi, ma sono le ghirlande di fiori colorati quelle che maggiormente attirano la mia attenzione: gialle verdi e bianche, perlopiù, sono appese ovunque, ma specialmente agli alberi, solitamente in compagnia di candele, quadretti di divinità ed altri ammennicoli. E, poi, ovviamente il cricket, uno degli sport più incomprensibili al mondo, con partite che durano svariati giorni; passo dal campo dove si allenano le squadre giovanili, e mi imbatto per puro caso nella finale di un torneo scolastico, e così mi infiltro, parlocchiando con i ragazzini che, però, sono più interessati a farsi dei selfie con me che a spiegarmi cosa cavolo ci trovano di appassionante in quel gioco (anzi, credo che non capiscano davvero la domanda); però è bello vedersi entusiasmarsi e tifare per i loro compagni, senza lanciare oggetti o intonare cori contro gli avversari.Ci sto tre giorni, a Mumbai, e così ho tempo di visitare vari mercati, dove trovo abbondanza di tutto in labirintiche conformazioni di stretti vicoli, tranne quello che cercavo: un paio di pantaloni lunghi di tessuto leggero, per non dover indossare i caldi jeans ogni volta che visito qualche luogo sacro. Ma i cosiddetti "abiti tradizionali" sono invece ormai i blue jeans, le magliette con i nomi delle squadre di cricket e di calcio, le felpe con griffe le più false possibili: anche qui è arrivata la modernità! Cammino chilometri, dal solido portale detto Gate of India alle spiagge mefitiche perché punto di uscita di tutti i liquami della città, dalla moschea posizionata su un isolotto collegato da uno stretto molo alla terraferma al tempio giainista in cima ad una collina, dal luogo dove si lavano (e si stendono in file infinite) tutti i panni sporchi della città fino ai vari monumenti semiabbandonati ai fondatori della patria (ché, ormai, chi ci fa più caso?). E riesco pure a godermi una visita guidata attraverso una delle baraccopoli rese famose dal film "Slumdog millionaire", dove apprendo come un milione e più di persone vive in uno spazio limitato tirando a campare o, anche, lavorando nel riciclaggio di tutti i materiali che vengono scartati dai loro fratelli dell'era moderna; l'agenzia che organizza queste visite reinveste l'80% dei guadagni nella stessa baraccopoli, principalmente in progetti di istruzione, e questo era già un buon motivo per affidarmi a loro, ma sicuramente senza una guida sarei ancora a cercare una via d'uscita dagli intricati e strettissimi vicoli che nascono e si evolvono come una creature vivente a seconda delle necessità degli abitanti.Ma Mumbai non è l'India, mi dice più di una persona con cui parlo, e quindi dopo tre giorni, come il pesce, parto.
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inserito il 10/01/2019
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