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Ritorno in Messico, quatto quatto, prima che ci arrivi il Papa

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Ho come l'impressione di essere seguito... e quell'impressione ha le fattezze di un uomo con un berrettino bianco in testa, un simpatico accento argentino, e una voglia di mandare a gambe all'aria non solo le suore, ma la Curia tutta... boh, magari è solo un'impressione!

...

Finalmente, dopo un paio d'anni che gli facevo la posta, sono finalmente riuscito a farmi assegnare da Journey Latin America un tour Eagle, che vuol dire una sola cosa: Messico, a tutto peperoncino! Andale, andale, arriba arriba arriba!

Ero già passato in tutti i luoghi che tocca l'itinerario alcuni anni fa, quando avevo portato in giro un gruppo di Vagabondo, riempiendomi gli occhi e la testa di templi antichi, campi per il gioco della pelota, piramidi azteche e non, canyon con i coccodrilli di plastica, strade fiancheggiata da decine di case colorate, gente che balla nelle piazze, iguane colorate, ecc., per poi allargare la cosa anche agli altri sensi, come il (dis)gusto per la continua presenza di peperoncino, la croccantezza delle cavallette cotte al forno (o saranno fritte? Difficile a dirsi: sanno di poco, se non di erba), i petardi scoppiati per ogni occasione, le trombe a volte stonate ma sempre sonore dei mariachi... Insomma, tutto il colore ed il gusto di un paese che, noi italiani, spesso conosciamo solo per i cartoni animati di Speedy Gonzales, per le puntate di Zorro e per un certo film di Salvatores, tutte cose che nutrono ed amplificano i nostri stereotipi (ce l'avete presente quello del sombrero? No? Beh, sombrero in spagnolo significa "qualcosa che fa ombra", ovvero un cappello... ogni cappello, non solo quello di paglia a tesa larga sotto cui ogni buon messicano fa la siesta - altro stereotipo: la fanno solo nelle parti obbrobriosamente calde del paese).

Ritornarci è stato quindi un po' come quando vado a Valdivia da Marcos e famiglia, ché ormai il posto lo conoscono e non devo necessariamente fare il turista e posso godermi tutto il resto (dico "un po'" perché, dopo tutto, ero lì per lavoro, e il mio gruppo di viaggiatori sì che voleva fare le cose turistiche). E mi ha permesso di vedere come sono cambiate le cose, o come stanno cambiando.

Città del Messico è sempre caotica, ma un po' più pulita dell'altra volta (che, già, era meglio di quel che mi aspettassi... eccolo lì: altro stereotipo); sicuramente ha contribuito la prossima visita di quel tipo di cui dicevo all'inizio, ché qui stanno tirando a lucido tutto quello che possono tirare a lucido - maniera messicana, ovviamente: non aspettatevi il tipo chino a pulire le piastrelle con lo spazzolino da denti!.

Il mole di Puebla, una salsa ricca in cioccolato e peperoncino, copre sempre nella maniera migliore un petto di tacchino (ricetta originale, si dice delle suore che attendevano l'arrivo del vescovo Palafox), ma il mio favorito si conferma il formaggio filamentoso di Oaxaca, di cui compro un paio di esemplari che poi condivido sull'autobus (eh già, ché non l'ho detto: per uno strano scherzo del destino, stiamo girando su un grosso autobus, uno di quelli da 50 posti con bagno a bordo e televisori che scendono ogni volta che infili la chiavetta USB nell'autoradio; comodi comodi, con un rapporto passeggeri/sedili di 1 a 5 circa).

San Cristobal de las Casas è ancora fredda e colorata, perfetta antitesi di quel che ci aspetta a Palenque, nella giungla, dove il verde è dominante e il sudore che imperla la fronte non te lo togli di dosso neppure con due doccie ed un tuffo nella favolosa piscina del resort (eh già, ché non ho detto neppure questo: il tour è uno della serie Classic, quindi le sistemazioni sono molto buone dove non sfacciatamente lussuose).

Il Chiapas, invece, è in tumulto: gli abitanti della zona non sono mai stati particolarmente tranquilli, ma ora si son messi a fermare gli autobus che passano su alcune strade e, a volte, a bruciarli, il che ci fa saggiamente prendere una strada alternativa, grazie alla quale finiamo nello stato di Tabasco, regno incontrastato (in passato) degli Olmechi, quelli che han lasciato quelle grandi teste rotondeggianti tipo Charlie Brown per intendersi. Noi ne vediamo alcune in un parco archeologico vicino a Villahermosa, dove hanno portato quanto ritrovato nel sito de La Venta prima che la PeMex non cominciasse a trivellare alla ricerca di petrolio; e sono un bel vedere, finalmente qualcosa di nuovo anche per me. Ringrazio silenziosamente chi ha avuto la bella idea di salvare questo tesoro.

I gradini e gradoni da scalare son proprio come me li ricordo, le facce di Tlaak il dio della pioggia pure, anche se il fatto di avere tante guide diverse (chissà che fine avrà fatto Victor, il tipo che ci accompagnò durante il tour di Vagabondo), ognuna con il suo modo di spiegare e anche le sue idee su cose di cui non abbiamo idea alcuna (per dirne una: l'onnipresente gioco della pelota), rendono tutto un po' differente, con le sue 50 sfumature di grigio (della pietra).

A Mérida visitiamo una hacienda di henequen, dove ci spiegano come un tempo si creavano cordami e tessuti dalla fibra presente nelle foglie di questa pianta simile all'agave, e dove viaggiamo su vagoncini trainati da muli tra chilometri di piantagione fino ad un cenote (caverna carsica piena d'acqua) delizioso, sotterraneo, dove ovviamente facciamo quasi tutti il bagno catturati dalla bellezza della volta da cui spuntano decine di stalattiti.

E non è quello l'ultimo cenote: ne visitiamo altri tre, che riesco ad individuare lungo il percorso del nostro autobus, ogni volta applicando la mia opera persuasoria al buon Martin, l'autista che ci accompagna da Tuxla Gutierrez fino a Cancun, dove la maggior parte dei miei viaggiatori prende il volo di ritorno per l'Europa, con ancora negli occhi lo spettacolo di luci colorate a cui abbiamo assistito nel sito di Chichen Itzà l'ultima sera (il pregio di avere l'hotel giusto fuori dal recinto delle rovine...), uno spettacolo intitolato "Las Noches de Kukulkan" in omaggio al grande serpente-piumato, dio creatore e distruttore di tutte le popolazioni pre-colombine del territorio messicano.

Io me ne resto qualche giorno in più, a trovare amici a Isla Mujeres e poi di nuovo a Città del Messico, dove mi raggiunge Denis al termine del suo periplo attraverso il Centro America (ma gli manca ancora tutto questo paese; per fortuna che gli avanza un mesetto di tempo...).

Tra qualche giorno, prima che arrivi il buffo omino argentino, ripartirò per l'America del Sud, per un altro nuovo entusiasmante viaggio. Pronti? Io sì...


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inserito il 08/02/2016
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