Orcinus orca
Terminato il tour Charito, mi son preso una vacanza (ebbene sì, capita anche a me). Ovviamente, una vacanza per uno che del viaggiare ha fatto la sua vita, o almeno parte di essa, non può che essere un viaggio, quindi ho deciso di visitare una parte dell'Argentina che non ero mai riuscito a vedere prima: la penisola di Valdes.
Si tratta di una formazione geologica alquanto bizzarra, una specie di fagiolo di terra nell'Atlantico connesso alla costa argentina da un sottile istmo; ai due lati del fagiolo due baie, la più grande delle quali, quella di Puerto Madryn, forma un luogo ideale per le balene che vogliono dare alla luce i loro cuccioli.
Ma questa non è stagione di balene. Questa, almeno in teoria, è stagione di orche: i grossi cetacei bianconeri (nulla a che vedere con l'idiota col vizietto dello sniffo, o con il suo parente ancora più cretino, che eredita la FIAT da suo nonno e poi si permette di dare lezioni ai "giovani d'oggi") vengono a nuotare nelle acque antistanti la penisola, in attesa di cuccioli di leone ed elefante marino che si avventurino un pò troppo impavidamente lontano dalla riva. E se loro non si avventurano abbastanza, ci pensano le orche ad andarli a prendere: aspettano sul fondale vicino alla costa, e quando il loro sonar individua delle possibili prede si lanciano, spesso arrivando a spiaggiarsi per riuscire ad addentare un croccante snack.
Con la speranza di vederle, son riuscito a convincere la mia dama bianca ad accompagnarmi e, con venti ore di autobus, abbiamo raggiunto Puerto Madryn da Buenos Aires. Venti ore passate abbastanza in fretta, con una gradita sosta notturna in una stazione delle corriere dove ci hanno offerto un abbondante piatto caldo, incluso nel prezzo del biglietto, e con dei sedili che se non fosse che sono un pò corti per le mie dimensioni "olimpiche" sarebbero perfetti, grazie alla possibilità di sdraiarsi quasi a 160 gradi e alla comodità delle imbottiture. E poi, vuoi mettere la gioia di vedere per ben due volte di seguito un film su una bambina che accompagna in volo delle oche canadesi durante la loro migrazione annuale, dopo averle cresciute ed accudite come una madre?
Puerto Madryn sembra una Rimini d'inverno, ora che l'alta stagione - febbraio è periodo di vacanze per gli argentini - è appena terminata, e quella delle balene è di là da venire: molti hotel e ristoranti sono chiusi, e sulle porte di alcuni già si è accumulata la sabbia, spinta da un vento incessante. Esploriamo un pò la zona, troviamo un hotel dove lasciare le nostre quattro cose ed andiamo a cercare un'auto da noleggiare, la più piccola ed economica che ci sia ché, tanto, siamo solo in due (Camillia, la mia amica uruguayana, all'ultimo ha declinato per motivi fisico-sanitari). Decidiamo per una Ford KA, che subito ribattezziamo "Kop Kun" (chi è stato in Thailandia capirà il perché), dotata di un ambio bagagliaio e, soprattutto, di un cavo per connettere qualsiasi chiavetta USB all'autoradio, indispensabile perché le strade da queste parti sono assai dissestate ed il lettore CD sarebbe davvero un supplizio.
Il pranzo va in un ristorante di pesce (e no, non mi sono convertito: io ho mangiato pasta in salsa formaggiosa; ma devo pur concedere ogni tanto, no?!), la cena invece nell'unico tenedor libre esistente, ovviamente gestito da un cinese che non fa che parlarmi della fortuna dell'italiano che non è salito sul volo scomparso in Malesia, mentre io cerco di convincerlo a mettere sulla griglia un altro paio di salsiccette. Per il dopocena facciamo un errore madornale, decidendo di andare a sentire un concerto di chitarra: per carità, il giovane musico è davvero bravo, ma la maggior parte dei brani hanno su di me l'effetto di un narcotico, ed è un miracolo se non mi metto a russare in sala. Molto meglio sarebbe stato l'allegra sarabanda che c'è in un locale sul lungomare, davanti al quale passiamo sulla via del ritorno: gente che balla, complessino che suona e canta, vita insomma!
Il mattino dopo, ritiriamo la macchina, facciamo la spesa al supermercato e partiamo. Sono circa 97 chilometri fino a Puerto Piramides, l'unico centro abitato nella penisola e all'interno della riserva naturale; lungo il percorso, ci fermiamo a pagare il biglietto d'ingresso, 130 pesos argentini, e a raccogliere informazioni al centro visitatori. Ci dicono che l'ultimo avvistamento di orche è stato un paio di settimane prima, e ci invitano a fare molta attenzione lungo la strada, per la presenza di animali che amano soffermarsi con istinti suicidi sul ciglio. Ed è così: durante i tre giorni che seguono, ci tagliano la strada nandù, guanaco, pecore, armadilli e tanti uccelli buffi (li chiamiamo così, "funny bird", perché non riusciamo a ricordare il loro nome, e perché hanno un ciuffetto in testo), dal colore uguale uguale all'asfalto, che se non si muovono proprio non li vedi.
Puerto Piramides è un buco ancor più piccolo di Castegnero, su una baia con una spiaggia immensa. Lasciata la nostra roba all'ostello Aloha, dove abbiamo prenotato una stanza privata per tre giorni, andiamo subito ad esplorare la vicina colonia di leoni marini. Esplorare è però una chimera, più che un eufemismo: per limitare il contatto tra umani e specie protette, i vari punti di osservazione all'interno del parco si trovano ad una discreta distanza dagli animali; in questo caso, in cima ad una scogliera che sì da direttamente sui sacchi di pelliccia che paciosamente sonnecchiano al sole, ma non così vicino da potergli contare i peli nelle orecchie... oh, beh, ce ne facciamo una ragione e ci godiamo lo spettacolo dei cuccioli che giocano nelle pozze d'acqua lasciate dall'alta marea, mentre i parenti appunto ronfano.
Un bel cielo stellato si staglia sopra di noi (con la Croce del Sud in bella vista, ovviamente), la sera, mentre visitiamo uno dei ristorantini rimasti aperti dopo che il grosso dei turisti se ne è andato; mentre attendiamo la cena (io polpette di zucca e formaggio, lei gnocchi ripieni di zucca... la zucca va forte, da queste parti), le insegno a giocare a Yahtzee con i dadi che ci presta gentilmente la proprietaria, mentre i nostri vicini di tavolo sono intenti in una disfida a Backgammon. Vita semplice, in vacanza...
Le orche, quando attaccano, lo fanno approfittando dell'alta marea; sapendo che il primo giorno sarà alle 18:10, decidiamo di fare un giro largo, e ci dirigiamo prima a Punta Cantor, sul lato esterno della penisola. Per arrivarci, ci sono circa 80 chilometri di sterrato, che affronto ai 50 all'ora per evitare danni da sassetti volanti o ribaltamenti del veicolo, o l'ancor più temuto scontro con un guanaco, sul quale tutti gli affitta-auto facevano del vero terrorismo psicologico. Tanti animali, quasi nessun'altra automobile, un'ora e mezza di strada polverosa interrotta soltanto dalla griglie posizionate ai limiti delle proprietà, per impedire alle pecore di andarsene dove vogliono. Arrivati sulla costa, visitiamo una zona che da su una colonia di pinguini... totale pinguini avvistati: 3; e sono giovani ancora coperti dal piumaggio grigio in attesa del ritorno dei genitori dalla pesca. Non promette bene...
Da Punta Cantor si può vedere per buona parte della sua estensione la "Caleta Valdés", una sorta di insenatura naturale lunga svariati chilometri. Soprattutto, si può ammirare nella sua magnificenza una colonia di elefanti marini, simili ai leoni marini ma dal corpo più liscio e dalle abitudini riproduttive leggermente differenti, tanto che vediamo solo madri con figli abbastanza adulti, mentre i padri, dal caratteristico nasone che da il nome alla specie, non arriveranno che tra qualche mese.
Riprendiamo la strada verso Punta Norte, dove arriviamo poco dopo le 14 e pranziamo, finalmente. Un paio di piccoli armadilli, che qui chiamano "peludo", simili a robot telecomandati per la maniera in cui si muovono, vengono a farci visita, ma non sembrano per nulla interessati alle briciole di pane che facciamo cadere per terra, mentre prepariamo i deliziosi sandwich a base di formaggio olive pomodoro e salamino che ci daranno le energie necessarie a restare, per ore, a guardare la costa, e a tener d'occhio la colonia di leoni marini, nella speranza di avvistare il nostro obiettivo, le grandi orche. Ma non è giornata, c'è molto vento e i cuccioli sono restii ad entrare in acqua, quindi quel che vediamo è solo (solo...) un gran giocare lungo la costa, con le alghe, con gli altri cuccioli, con gli adulti della colonia, con i gabbiani... insomma, con tutto quello che capita a tiro.
Verso le 7 di sera ripartiamo, e sono altri 80 chilometri di sterrato, che il tramonto rende al tempo stesso più godibili ma anche più pericolosi. Arriviamo però senza incidenti, facciamo il pieno giusto per precauzione e poi ceniamo in ostello con un altro pò delle nostre vettovaglie, per andare a letto presto. Il mattino dopo, infatti, ripartiamo alle sei e mezza, per tornare a Punta Norte per la marea del mattino, che questa volta è alle 8. Il mare è calmo, perfetto; i cuccioli sono in acqua, e fanno un casino bestiale. Aspettiamo con ansia, noi e gli altri sei mattinieri che sono giunti nello stesso posto con la stessa speranza. Ma niente, non succede niente.
Sicché, dopo un paio d'ore passate a osservare degli animali comunque interessanti, salutiamo i "peludo" che sono tornati a trovarci e ripartiamo verso Puerto Piramides, con una breve sosta in una estancia per vedere se ci fanno visitare la colonia di pinguini - anche qui poca fortuna, la prossima visita è prevista in un paio d'ore. Torniamo all'ostello, quindi, e poi andiamo in spiaggia, a prendere il sole ed a tentare un approccio con l'acqua, troppo fredda però per i nostri gusti.
Ultima notte, nuovo ristorante (anche perché gli altri paiono tutti chiusi) con un gatto che cerca di farsi amici tutti gli avventori, e poi una buona notte di sonno prima di tornare a Puerto Madryn, riconsegnare la macchina, spedire un pò di cartoline e comprare un paio di souvenir... ed ora, mentre sto scrivendo, è di nuovo autobus, verso la capitale, per le ultime 24 ore prima di tornare in Europa.
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inserito il 13/03/2014
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