Al telefono con Papa Francesco
Passato lo spavento per i prezzi eccessivamente alti che hanno raggiunto le deliziose pietanze di Buenos Aires, frutto anche di una sciagurata politica economica messa in piedi da un governo abbastanza populista che ha preferito tagliare quasi tutti i ponti con le monete (e le economie) straniere, ottenendo come risposta una enorme diffusione del cambio illegale (qui detto "cambio azul") di dollari a tassi quasi doppi di quelli ufficiali, e partiti i passeggeri del mio ultimo tour, mi sono dedicato a riscoprire parti di una città che ha sempre esercitato un grande fascino su di me: l'aria intellettuale di cui si ammanta, misto a musiche che sanno di corteggiamento e alla presenza di tradizioni che lentamente, purtroppo, si vanno perdendo, la rende speciale, come una donna che ti ammalia senza dover necessariamente scoprire tutte le sue carte (e le sue grazie) al primo appuntamento.
Non è stato facile, però: tutto quanto era in subbuglio a causa della notiziona del secolo, l'elezione di un religioso argentino al soglio di Pietro. La faccia di Papa Francesco ha, da subito, fatto la sua comparsa ovunque, dai megaschermi pubblicitari ai poster ed ai souvenir venduti per strada, dai manifesti che mani anonime appiccicano sui muri approfittando delle ombre della notte alle copertine dei giornali, tutti usciti con edizioni speciali che cantano le lodi di questa persona che, fino a qualche settimana fa, molti ignoravano, a volte intenzionalmente come la presidentessa Kirchner che, a quanto pare, gli aveva negato varie volte udienza (e che si è poi affrettata a volare al suo cospetto, a Roma, sperando di approfittare di una "rinnovata" amicizia per le sue mire politiche o, forse, solo per saziare una volta di più il grande ego di cui sicuramente è dotata, secondo in estensione solo alle sue proprietà nella Patagonia).
Mi hanno aiutato Marina, la guida che aveva accompagnato il mio gruppo durante il "city tour", e Mariella, la ragazza che mi ha ospitato per alcuni giorni grazie a CouchSurfing: assieme abbiamo percorso le strade di quartieri che solitamente sono snobbati dai turisti, un pò per ignoranza e un pò per mancanza di tempo, ché quando si hanno tante cose da vedere e poche ore a disposizione si devono necessariamente fare delle scelte. Oppure ci si lascia trasportare dalla corrente... mi sono così ritrovato per le strade secondarie di Palermo, quartiere "bene" talmente grande da suddividersi in sottoquartieri (Palermo Soho, Palermo Hollywood, ecc.), a mangiare ravioli seduto ad un tavolino all'aperto, mentre un più che discreto venticello ci faceva rabbrividire un po', segno che l'estate lasciava il posto ad una nuova stagione; e a visitare la tomba di Carlos Gardel, "la" voce del tango argentino, in un cimitero che ricorda quello ben più famoso di Recoleta per la maestosità di alcune delle sue tombe ma che non gode certo delle stesse cure... una tomba sulla quale abbondano le placche lasciate da fan innamorati della sua voce trillante, i garofani sempre freschi, le sigarette nella mano della sua statua, che sembra vegliare benignamente sulle tombe circostanti. La casa di Gardel, nella zona di Abasto, è decorata in stile bohemienne, e ricorda un pò certe cose che si vedono a Parigi, mentre su quelle circostanti ci sono interi spartiti di canzoni e grandi mosaici che raffigurano il suo viso.
Nel centro culturale Borges assistiamo ad uno spettacolo di tango, differente da quelli tutti luci scintillanti e lustrini che fanno da sfondo a cene sontuose e, a ben vedere, costose che i turisti solitamente prediligono: qui due ballerini mettono in scenda tre storie d'amore, per le strade della vecchia Buenos Aires, con una scenografia ridotta all'osso per non distrarre dalle vere protagoniste, la musica e la danza. E nella sede del gruppo esperantista locale partecipiamo ad una lezione di balli folclorici, tenuta da una signora tanto inflessibile quanto vetusta, che però sa sorridere e congratularsi quando capita (e capita di rado, ma capita) che si faccia bene l'esercizio proposto, e prepariamo poi delle empanadas, che una volta cucinate non sopravvivono molto alle nostre fameliche bocche.
Rimane il Papa, incombente: mentre la Coca-Cola si congratula con un messaggio gigantesco presso l'Obelisco, che nel frattempo è stato ricoperto da enormi bandiere bianco-gialle, e la presidentessa gli regala un mate in segno di amicizia e comunione (ci cascherà il vecchio gesuita? ho i miei dubbi, e forse dovrebbe averne anche lei), noi passiamo la notte nella Plaza de Mayo, dove dalle 22 del giorno precedente alla cerimonia di insediamento del cardinal Bergoglio sul palco davanti alla cattedrale si alternano gruppi musicali religiosi (compresi grandi nomi come "padre Cesar e i peccatori"), mentre migliaia di persone sventolano bandiere argentine e vaticane; mentre le ore passano, e i boy-scout preparano bevande calde che poi si tengono per sé, alcuni se ne vanno mentre molti altri arrivano, e la piazza non si riempie come mi sarei aspettato ma sicuramente c'è un bel pò di gente a sfidare il fresco della notte. Venditori di carabattole e souvenir, tutti rigorosamente con la faccia sudamericana del papa impressa rapidamente (i souvenir, non i venditori!), fanno affari d'oro, ma quelli che guadagnano di più sono i venditori di bandiere, che per 8 dollari ti danno un pezzo di stoffa colorata neppure tanto grande attaccata ad un'asta che, in meno di 4 ore, si sarà spezzata almeno in due punti. Ad un certo punto, ecco la sorpresona: dagli altoparlanti si sente un telefono suonare, ed è il Papa in tutta la sua infallibilità che chiama il suo popolo, per ringraziarlo di essere ancora lì al freddo (saranno circa le 3 o 4 del mattino, è buio pesto, e molti come me hanno già fatto un pisolino sdraiati sull'erba delle aiuole); boati scuotono la piazza, si svegliano pure i piccioni, la gente è strafelice di sentire la voce del Papa (chissà se sta chiamando a carico del destinatario, penso io... ah, l'agnosticismo, che bella cosa!), è un'iniezione di energia, che li porta fino all'inizio della messa a San Pietro, trasmessa sui 5 megaschermi sparsi per tutta la piazza. La gente segue le immagini di una Roma assolata, mentre qui è appena l'alba, e sebbene non capisca una mazza di quello che dicono (lingue parlate durante la messa: italiano, latino, greco, russo, inglese e francese... solo un'orazione in spagnolo, ma si perde nel resto della cacofonia) esplode in applausi ogni volta che viene inquadrato papa Francesco, ed è contenta così (cerco che anche lui, avesse detto almeno un "hola a todos!"...); e si fermano pure i tizi che stanno andando al lavoro con la loro borsa piena di documenti, e le suore cilene sono contente di esserci, e decine di ragazzi cantano e si fotografano col cellulare per poi mettere il tutto su Facebook e raccontare agli amici "io c'ero", e anch'io posso dirlo che c'ero in questa piazza così piena di storia dove, ancora, le madri e le nonne dei desaparecidos si trovano per camminare assieme ogni giovedì pomeriggio, da più di trent'anni, perché nessuno dimentichi che questa non è solo la terra di Diego e di Jorge Maria...
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inserito il 22/03/2013
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