Aspettando il puma (ed il condor, e il guanaco)
Uno non decide di visitare il parco di Torres del Paine se non gli piace la natura. E le montagne. E i ghiacciai. E quel fresco venticello che di notte, specie se dormi in tenda, lo senti ben pungente. Se ne sta a casa sua, al calduccio. E lascia le fantastiche torri di granito ed il loro intorno a chi, invece, queste cose le gradisce.
Noi, del gruppo Penguin PS207, le gradiamo.
Certo, quel tepore caldo che si sprigiona dal pavimento dei bungalow in cui siamo ospitati, sulle rive del lago Grey, proprio di fronte all'ultima propaggine del Campo de Hielo Sur, da cui ogni tanto si distaccano iceberg più o meno piccoli che ti vien voglia di ripetere la famosa battuta del passeggero del Titanic ("Avevo chiesto del ghiaccio per il mio cocktail, ma qui mi pare che si esageri!"), aiuta. Ma noi, in realtà, siamo decisi a vedere il condor e, per quanto possibile, anche gli altri animali del titolo; e anche se il pavimento non fosse riscaldato, verremmo lo stesso.
Arriviamo al tramonto, dopo aver fatto centinaia di chilometri dall'aeroporto di Punta Arenas in cui siamo atterrati a metà pomeriggio (salutando il capitano che, gentilissimo come al solito, ha più volte inclinato l'aereo per farci godere spettacolari panorami dei ghiacciai e delle montagne), ed aver recuperato la nostra guida Izabela (polacca, voce un pò altina per i miei timpani, molto preparata) che ha, purtroppo, il solo scopo di farci entrare nel parco: hanno cominciato ad essere un pò più strettini con le regole rispetto al passato, ed ora non ammettono gruppi che non siano accompagnati da una guida (ma solo per l'ingresso: poi, la guida può andarsene dove le pare). In realtà, giocando con i tempi concessici, riusciamo comunque a fermarci ad alcuni dei punti di osservazione, e già le bocche dei componenti del gruppo si arrotondano emettendo suoni vocalici d'ammirazione (e se Google Translator riesce a rendere questa parte, bisogna proprio dargli un premio!); quando poi arriviamo all'hotel, dalle cui enormi finestre si vedono il lago e, in fondo, il ghiacciaio, alle vocali si aggiungono pure le consonanti.
Sono oltremodo felice: ho una stanza tutta per me, finalmente, dopo che sia a San Pedro che a Puerto Varas ho dovuto trovarmi qualcosa d'altro (pagato dalla ditta, ci mancherebbe pure) perché gli hotel non ci avevano fornito una camera ad un prezzo umano (o addirittura agratis, come invece era capitato a Santiago); ma il tempo per godermela è poco, perché è già ora di andare a cena, mentre fuori dalle vetrate si fa notte.
Al mattino, abbondante colazione e poi si indossano i giubbotti salvagente per imbarcarsi su Grey II, l'imbarcazione che ci porta a scorrazzare per il lago (per scaramanzia, non chiedo cosa è accaduto a Grey I). Il capitano sa il fatto suo, e si destreggia abilmente tra gli iceberg, avvicinandosi il più possibile alla banchisa; la nostra guida un pò meno, è un giovane al primo giorno di lavoro sulla barca, e sono io a dover fare il terzo grado al capitano e tradurlo per supplire alla deficienza (intesa come mancanza, della guida, ma anche a idiozia di chi ce l'ha mandato senza prima fargli fare un pò di esperienza come aiutante). C'è vento, ma il cielo è serenissimo, e il sole picchia forte sui cristalli di ghiaccio che si sciolgono nel Pisco Sour che ci viene offerto (io sbaglio bicchiere e ne prendo uno di whisky... vi lascio immaginare quanto ne ho bevuto!), e sulle facce dei miei viaggiatori, arrossandole per benino. Il colpo di grazia viene dato dalla camminata che facciamo poi sulla spiaggia, e così quando chiedo chi vuole partecipare alla escursione "opzionale" di qualche ora nel pomeriggio è tutto un fuggi fuggi verso le camere; alla fine, ci andiamo solo in sei su diciassette, e se parti dal più giovane e vai risalendo la lista ti accorgi che siamo proprio i primi (che strano, eh?!).
Camminiamo lungo il sentiero Pingo (e no, non vediamo pinguini!) per un'ora e mezza, in una valle che corre parallela a quella del lago, ma con dei panorami abbastanza diversi, e dei fianchi di montagna scoperti che mettono in mostra gli arrotolamente e le pieghe degli strati che le formano; arriviamo fino ad una cascata, non prima di aver visto tre teschi di... mucca?, azzardo io... e il punto di ritorno decidiamo di chiamarlo "bit", nel senso di quel cincinin che se vai oltre incontri il puma che ti mangia in un boccone.
Cena tutti assieme, nel grande salone, con dei camerieri che gli manca la livrea e poi sarebbero perfetti (e vorrei pure vedere, con i prezzi che ti sparano in questo posto; d'altronde, l'alternativa è uscire a nutrirsi di bacche, ché il più vicino spaccio è ad un'ora e mezza di macchina su strada accidentata). La stessa strada accidentata che percorriamo il giorno dopo: con una dritta di Izabela, ho assoldato un autista e il suo socio che, arrivati da Puerto Natales, ci portino in giro per il parco; soluzione ben più economica, per quanto strano, del trovare un trasporto all'interno del parco stesso.
Abbiamo fortuna: a parte un'altra ottima giornata, e un sacco di sessioni fotografiche man mano che giriamo intorno ai rilievi, ci imbattiamo in centinaia di guanaco (il quarto camelide del Sud America), o meglio negli enormi harem che i pochi maschi dominanti si portano in giro, oche di vario tipo e colore, un gatto selvatico, un imprecisato numero di scorpioni e lucertole, qualche lepre e persino un condor, che vola alto nel cielo ma non sfugge al nostro occhio vigile (e agli obiettivi delle macchine fotografiche). Solo uno, però, ché in alto non c'è il vento che c'è a terra, e i grandi rapaci non gradiscono sprecare le loro energie per procurarsi il cibo a cui possono rinunciare a volte per giorni.
Le cascate, come quelle del Paine e quelle del Salto Grande, attirano anch'esse vari scatti, anche se i più fotografati sono tutti i fiori in cui ci imbattiamo, i magici riflessi delle torri nelle acque della Laguna Amarga, e i bianchi e neri dei resti degli alberi devastati dall'incendio dell'anno scorso (come nel 2006, anche questa volta un'escursionista idiota è riuscito a far prendere fuoco a una buona fetta del parco, che ancora si sta leccando le ferite). Un gran giro, sicuramente ho visto più di quanto fossi riuscito a vedere durante la mia precedente visita, e tutti i componenti del gruppo sono contenti.
E lo sono ancora di più quando, il giorno seguente, mentre sostiamo davanti alla Cueva del Milodonte, una specie di bradipo gigantesco la cui pelliccia, ritrovata nella grotta, aveva fatto poi da calamita per Bruce Chatwin nel suo viaggio In Patagonia, nel cielo compare una coppia di condor, ali spiegate e sguardo attento a scorgere possibili fonti di cibo (io, per non sapere né leggere né scrivere, mi sposto sotto il tetto del centro visitatori...). Ma i vincitori del premio "volatile del giorno" sono i pinguini magellanici che vediamo nella pinguinera di Seno Otway, mentre escono dal mare dopo ore ed ore di pesca e si dirigono, tutti in fila neanche fossero i sette nani, verso i loro nidi scavati nella spiaggia. Scordatevi però le mosse atletiche di quelli di Madagascar: qui di parla di nanerottoli che barcollano e faticano a saltare, impettiti neanche avessero una scopa infilata nel sedere, e che si fermano ogni 3 per 2 a stiracchiarsi, nel contempo aspettando chi è rimasto indietro. Uno spasso, ce ne innamoriamo tutti, e segretamente speriamo che Babbo Natale quest'anno ce ne porti uno. Vivo e barcollante, suppongo.
La sera arriviamo a Punta Arenas, dove godiamo di una buona cena a base di centolla (granchio gigante) e cordero (agnello) e vino a fiumi, e poi con chi resiste al vento freddo raggiugiamo il bordo mare per guardare le stelle; e la Croce del Sud è proprio davanti a noi, confermando che stiamo puntando gli occhi in direzione dell'Antartide.
Domani mattinata libera, poi ritorno a Santiago, e finalmente il rompete le righe. È stato un tour davvero piacevole, persone molto socievoli e spiritose e curiose di conoscere questo lungo e stretto e vario paese; se continua così, mi va di lusso!
Wikipedia fornisce varie ricette per il Pisco Sour: http://it.wikipedia.org/wiki/Pisco_sour
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Commenti
Non è che ultimamente ti stai dimenticando degli studi di Astronomia per guardare troppi pinguini?
La Croce del Sud si chiama "del Sud" perchè si vede principalmente nell'emisfero australe. Come mai allora la costellazione del cigno fatta ugualmente a croce e visibile nell'emisfero boreale non l'hanno chiamata "Croce del Nord"? Suvvia, rispondi alla mia domanda e poi, guardando la Croce saprai la vera posizione dell'Antartide.
Per quanto riguarda l'utilizzo della Croce del Sud come indicatore di quella direzione, ti rimando a Ridpath, Ian; Tirion, Wil (2001), Stars and Planets Guide, Princeton University Press, ISBN 0-691-08913-2, pagg 102-103: "Since the southern sky lacks an easily visible pole star, Alpha and Gamma (known as Acrux and Gacrux respectively) are commonly used to mark south. Tracing a line from Gacrux to Acrux leads to a point close to the Southern Celestial Pole".
Per quanto invece concerne la tua domanda, Cigno è effettivamente nota anche Croce del Nord (vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Croce_del_Nord, per esempio).
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Informazioni
inserito il 15/11/2012
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