Il gentil homo
Mi è capitato di incontrare un tipo incredibile. Vive in una casa enorme, a più piani, dallo stile inequivocabilmente britannico. Faceva l’affittacamere fino a qualche tempo fa, poi il conproprietario ha deciso di vendere il tutto e da allora si trova a fare il custode di una casa quasi vuota, in attesa che la burocrazia permetta loro di alienarla.
Ma la casa non è vuota, perché, oltre ad una vecchia slot-machine (funzionante, a quanto pare!), a tanti libri e dvd, a dei giochi in scatola che non vedevo da millenni, ad alcuni piatti spaiati e tanti altri mobili che non si è riusciti a dar via quando gli inquilini se ne sono andati, c’è lui, Nick. E che ci sia o non ci sia, credetemi, fa la differenza. Perché sono il suo umorismo discreto, la sua calda ospitalità (con un po’ di distacco, ovviamente, perché è bene ricordare che siamo comunque in terra d’Inghilterra), la sua arguta ma non intrusiva intelligenza che fanno dimenticare il freddino che si sente nella grande casa, dove i termosifoni non si sapeva cosa fossero quando l’hanno costruita.
Quando arrivo a casa sua, sta conversando con Anna, russa addetta al marketing della Jameson (quella del whisky) anche lei di passaggio per Londra. Fuori, pioviggina. Ma dentro, nel soggiorno in cui i caloriferi elettrici vanno a palla, a piedi scalzi sull’immancabile moquette, no. E si parla, ed è come se lo conoscessi da tempo; invece, l’ho appena incontrato, ennesima magia del couchsurfing, che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. L’inglese di Anna è bizzarro, ma ancor più lo sono le domande che ogni tanto fa, quasi non fosse mai stata fuori dal suo paese (l’ipotesi di Nick, invece, suffragata per altro da esperienze precedenti, è che sia conseguenza di un modo di pensare che in Russia è abbastanza diffuso); quello di Nick è chiaro, preciso, a volte persino troppo "facile" (in più di un’occasione, mi accorgo che si sforza di rendersi comprensibile, addirittura chiedendo se conosciamo la parola che ha usato... mmm, chissà che gente gli gira per casa, di solito!).
Quello del suo piccolo amico libanese e della di lui enorme morosa(?) bielorussa sono altre sorprese, e cenare tutti assieme in un ristorante vietnamita rende ancor più divertente ed amichevole la serata. Ma fuori continua a piovere, e in più arriva un vento freddo, tanto che persino le due europee dell’est hanno qualche brivido (io meno, ma sono intabarrato dalla testa ai piedi). La notte di Londra è agitata, file di persone davanti ai locali, poca voglia di camminare per le strade.
Il sabato mattina il nostro ospite ci porta a fare un giro per Hampstead, il quartiere in cui abita e che conosce a menadito. Scopriamo così assieme a lui dove Sigmund Freud e il generale De Gaulle vissero per vari anni, o dove Stevenson e Orwell probabilmente scrissero i loro romanzi. E passiamo persino davanti alla casa di Goldfinger, l’uomo che l’inventore di 007 decise di immortalare per sempre in un ruolo negativo a causa di una disputa proprio per la costruzione di quella casa. Ma la sorpresa più grande è il parco in cima ad Hampstead, da cui si domina tutta la città, con una vista stupenda su cui colorati svolazzano vari aquiloni: ci sono dei laghetti all’aperto, dove la gente viene a nuotare (non oggi, ma come dargli torto?!), e prati enormi che, ricoperti di neve negli inverni migliori, si trasformano in eccezionali piste da bob. Panchine, ovunque, offerte da persone che volevano ricordare parenti ed amici che in quel posto amavano andare, per dipingere, per sedere, per riposare. E cani, moltitudini di cani, tutti o quasi rigorosamente al guinzaglio.
Decidiamo di pranzare in un pub, ma c’è talmente tanta gente che Nick scappa al suo appuntamento allo stadio perché non farebbero a tempo a servirlo, e quindi restiamo solo Anna ed io. Poi lei va a esplorare il centro di Londra (in realtà, a fare shopping, come scopriremo solo la sera), mentre io torno a casa a lavorare. E quando il mio ospite rientra, mentre attendiamo la russa ci cuciniamo (anzi, lui cucina, mentre io continuo a spedire email a vari posti in Cile e Brasile) una buona cenetta, a base di molte verdure, un po’ di pollo e mestolate di riso e cuscus.
Anche la domenica, si va a camminare. Ma questa volta in centro, cominciando da alcune cose che sono di strada, come le famose strisce pedonali di Abbey Road, per poi proseguire con una visita guidata all’interno della National Gallery (4 dipinti in un’ora... niente male, e sicuramente non abbiamo rischiato la Sindrome di Stendhal), un bagno di folla nell’antistante piazza di Trafalgar, piena di gente che celebrava il Festival della Luce hindu, e poi un bagno nel vero senso della parola visto che ha ricominciato a piovere, passando davanti ai monumenti più celebri della capitale inglese, scoprendone un sacco di segreti grazie al nostro "insider".
Alla fine, abbiamo voluto terminare con una cena in un pub, e lì sono cominciati i problemi: ne abbiamo dovuti girare otto, in varie zone della città, prima di trovarne uno aperto che servisse del cibo... a quanto pare, la domenica sono o chiusi o strapieni... alla fine, uno vicino a casa ha fatto al caso nostro, e il cortese cameriere italiano (!) ci ha dato delle buone dritte per chiudere in bellezza questa tre giorni.
Domani andrò di nuovo negli uffici della JLA, anche se le mie responsabili non ci saranno, per preparare tutto il materiale che mi serve per il tour, e cominciare ad organizzare quello seguente... poi, Heatrow, Madrid ed infine Santiago del Cile...
Chi volesse vedersi mentre attraversa le strisce come i Beatles, può cercarsi nell'archivio della webcam di Abbey Road, all'indirizzo http://www.abbeyroad.com/crossing
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inserito il 28/10/2012
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