Preparandosi al gran finale Maya
Lungo la strada che mi porta da Dangriga a San Ignacio, quasi al confine con il Guatemala, passo per il parco nazionale del Blue Hole, e vi faccio una breve sosta. Da non confondersi con l'omonima fossa nel mare belisiano, meta di migliaia di sommozzatori, questo buco azzurro è in realtà sono un laghetto di acqua limpida che arriva da un sistema di grotte e va in un altro sistema, uscendo alla superficie solo per qualche decina di metri, spazio nel quale si possono vedere vari pesci ed alcuni turisti che, vinti dalla calura, si rinfrescano un pochettino. Tra di questi, io, ovviamente, anche perché poco prima sono andato a visitare le grotte di St. Herman, facendomi prima a piedi i 40 minuti di sentiero che collegano le due cose in una foresta estremamente verde, estremamente umida ed estremamente infestata di zanzare: prima che riesca a spalmarmi l'Autan Sterminator che mi porto dietro fin dal giro del mondo (in realtà non si chiama Sterminator, ma mi piacerebbe che sì), vengo colpito almeno una decina di volte. Le poche centinaia di metri di grotte visitabili non sono granché, e come detto pure lo specchio d'acqua non dovrebbe essere una delle 6 cose raccomandate dalla mia guida Footprint in tutto il paese, ma almeno valgono a spezzare la monotonia del viaggio, e poi volete mettere il credito acquisito presso la Società Zanzare Anonime per la mia involontaria donazione?
Dopo un cambio a Belmopan, arrivo alle città gemelle - collegate da un ponte normale ed uno di chiatte, entrambi a senso unico - di Santa Elena e San Ignacio, e mi metto a cercare un alloggio. Il tempo non butta proprio al meglio, anzi diciamo che è nuvoloso andante, e anche il terreno è umido, segno che di pioggia ne è già caduta in questi giorni, così opto per una soluzione un pò più comoda del solito, anche se mi costerà la bellezza di 40 svanziche (circa 16 euri) al giorno. Però c'ha internet aggratis, e pure un frigo che subito riempio con 3 bei litrozzi di latte e una scatola di cereali con uvetta sultanina (quando ce vo', ce vo'!); e un balconcino carino, che in realtà non è solo mio ma che da tutti viene interpretato così, tanto che una coppia mi chiede se possono sedervicisi a leggere ("prego, fate pure, solo per favore non fumate ché tutto il fumo passa dalle lame di vetro delle finestre e s'infila nella mia camera").
Il centro città vive di escursioni, principalmente, sia ai numerosi sistemi carsici della zona, che si possono esplorare in canoa o su camere d'aria galleggianti, sia ai vari siti archeologici lasciati dai Maya, che pare si divertissero a fondare un sacco di città nella zona. I prezzi sono abbastanza omologati, quindi la differenza la fanno le guide e l'abilità personale nel contrattare; io mi limito ad una perlustrazione superficiale, tanto il giorno successivo ho deciso che andrò a visitare quelli nei dintorni, per mio conto. La perlustrazione mostra anche che le alternative per mangiare sono o dei ristoranti cinesi o dei ristoranti turistici che propongo cibo locale e internazionale, praticamente lo stesso dei cinesi ma ad un prezzo superiore; ovviamente i locali, i visitatori a lungo termine ed io puntiamo sui cinesi, che se solo imparassero ad addobbare un pò meglio le sale da pranzo - estremamente tristi e spoglie - e migliorassero il troppo apatico servizio certo guadagnerebbero punti in paradiso, se non anche clienti. Ma ormai la città sembra quasi colonizzata dagli orientali, anche i supermercati sono quasi tutti loro... Come riconoscere un supermercato cinese: grandi monitor a circuito chiuso che tengono sotto controllo i corridoi e gli scaffali, etichette sul prezzo di quasi ogni cosa, personale belisiano che s'occupa di sistemare gli scaffali e pulire per terra, cassiere o cassiera rigorosamente cinesi perché fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Per contro, tutte le agenzie di viaggi sono tenute da locali, o da stranieri ormai naturalizzati: si saranno spartiti il mercato...
Il mattino successivo, vado alla stazione provvisoria dei bus per raggiungere Xunantunich e qui trovo il tipo belga che avevo conosciuto a Campeche, ancora con la sua panzetta ed il suo piede dolorante; assieme saliamo sul bus (scolastico, come tutti), assieme attraversiamo il fiume sul traghettino operato manualmente, assieme facciamo a piedi i due chilometri (in salita, e non vi dico che pena per il belga!) fino all'ingresso del sito. Lì lui collassa su una panca, io lo precedo dentro, e faccio bene perché in giro ci sono ancora solo alcuni operai e due o tre visitatori, così mi godo in pace questo posto che ha effettivamente un grande fascino; il Castillo, in particolare, era ritenuto la più alta struttura del paese prima che fosse misurato il Palazzo del Cielo di Caracol, ma ancora dalla sua cima si gode un'ottima vista della giungla, dei fianchi azzurrognoli delle Maya Mountains e delle pianure del Péten, oltrefrontiera. Uscendo, reincontro il belga, che dopo aver visitato metà del parco ha deciso di uscire quando ha vistro approssimarsi le prime camionate di gruppi turistici. Tornati in città, ci salutiamo: lui va a riposare, io vado a mangiare e, poi, dopo una breve sosta in hotel (beh, doveva essere breve, ma devo rispondere ad alcune e-mail di lavoro e quindi perdo più tempo di quel che pensavo), mi incammino per raggiungere Chaal Pech, altro sito questa volta sulle colline alla periferia del villaggio. Salitozza niente male, e poi muoversi di nuovo nel bosco con strutture in molti casi dilapidate che sorgono qua e là sotto la cappa plumbea del cielo... tutte cose che mi fanno sudare come una capra (ma le capre, suderanno?), per fortuna di zanzare non paiono essercene in giro...
Mentre ritorno in città comincia a piovigginare, noncurante estraggo l'ombrello e prendo il percorso più lungo per esplorare un pò le parti non cambiate dal turismo; intorno a me, gruppi di supporter dei vari partiti politici "abbelliscono" pali della luce e case con bandiere inneggianti ora ad un candidato ora all'altro, in vista delle prossime elezioni. Anche se mancano più di due settimane, direi che c'è già abbastanza tensione nell'aria, quindi mi rimane il dubbio di cosa succederà nei giorni immediatamente precedenti il voto... un pò sono contento di non dover essere presente.
In centro rigiro per le agenzie visitate il giorno prima, con l'obiettivo di trovare un'escursione a Caracol che non mi dissangui il portafoglio: il prezzo medio che ti sparano, così di primo acchito, è 85 USD a cranio, incluso trasporto guide pranzo ingresso e due soste extra lungo il ritorno. Dopo aver avuto un pò di dritte dal cortesissimo inglese dei Pacz Tours, che però non può scendere sotto i 75 "giusto per me", convinco Albert di BZM Tours a offrirmi un posto a 65, purché paghi in anticipo in contanti e non dica niente agli altri; verifico le referenze della sua agenzia, che da fuori non sembrerebbe nulla di che, su TripAdvisor, e scopro che in realtà tutti ne parlano bene, quindi torno, pago e mi faccio pure prestare un libriccino in spagnolo ed inglese sulle rovine di Tikal. Cena al cinese, ovviamente, anche se questa volta rimango un pò deluso, perché - causa mia ignoranza - ho ordinato un ham-burger con patatine e mi arriva un panino (aperto nelle sue due metà) con un paio di grosse fette di prosciutto cotto, oltre a verdure e salsine varie... vabbè, è saporito, e poi ho pranzato solo qualche ora prima abbondantemente quindi non rischio di morire di fame...
Puntuali alle 7:30 (quasi) si parte con Albert al volante ed un altro tipo come guida che, durante il viaggio di circa due ore e mezza su una strada in gran parte sterrata, già ci da un sacco di informazioni sulle zone climatiche che attraversiamo (il Mountain Pine Ridge, poi il fiume Macal, infine la foresta di latifoglie), sulla storia locale, sul modo di vita della gente di qui. Ma è Caracol, fondata nel 300 a.C. e che vinse una guerra contro Tikal, l'obiettivo del giorno, e che obiettivo! Il sito è ancora sottoposto a studi ed esplorazioni, c'è persino un campo fisso di archeologici all'interno di uno dei grandi spazi verdi che dividono le enormi strutture, e la nostra guida vi si muove con grande conoscenza facendoci apprezzare ogni cosa nel giusto momento, con il suo giusto tempo, senza mai fare fretta a nessuno dei 6 componenti del gruppetto. Dalla cima dei 42 metri del Palazzo del Cielo la vista è ancora migliore di quella di Xunantunich, anche se viene da chiedersi perché i Maya costruirono qualcosa di così grandioso in questo luogo così povero di acqua (ma forse povero adesso: può benissimo essere che il terreno, molto poroso, abbia fatto sparire pian piano quella che magari un tempo abbondava). Pranziamo al centro visitatori mentre fuori pioviggina un poco; poi, lungo il ritorno, visitiamo la Rio Frio Cave, una grotta non particolarmente lunga ma in cui incontriamo un fiume di formiche assassine che pare stiano traslocando, e guai ad interromperne il flusso: si allargherebbero a ventaglio, scarnificandoci lentamente... meglio non rischiare, le scavalchiamo facendo molta attenzione! E, poi, una piccola sosta ad una serie di cascatelle e piccole polle d'acqua sempre sul Rio Frio, che a dispetto del suo nome non è così freddo (ma io sono l'unico di tutto il gruppo che vi si ammolla, più per il gusto di scendere lungo le piccole rapide che per nuotarvi veramente).
Torniamo che ormai è buio da un pezzo, siamo stati via ben dodici ore e sia l'agenzia che la nostra guida si meritano i nostri più vivi complimenti; vado a cenare rapidamente, e torno in albergo presto per finire di mandare un pò di cv ad altre agenzie turistiche e poi andare a letto, ché la stanchezza un pò si fa sentire...
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Informazioni
inserito il 09/02/2012
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