L'oasi che si taglia con un grissino
Devo avere un buon kharma, ultimamente: la giornata potenzialmente più complicata del viaggio si è risolta ottimamente, alla fine. Da Aleppo volevo passare per Al Rasafa, una specie di cittadella circondata da possenti mura semisperduta nel deserto, prima di arrivare a Palmyra, ma il problema è che, sceso ad Al Mansoura dal bus che avevo preso di prima mattina (mentre Anas ancora dormiva il sonno del giusto prima di prepararsi al suo ritorno in Italia), dovevo trovare un sistema per raggiungere il sito che non svuotasse il mio portafogli, essendo assenti nella zona i mezzi pubblici; soprattutto, dovevo trovare un qualunque mezzo a motore che mi portasse poi nella seconda parte del tragitto, dove se passa un'auto ogni mezz'ora si è fortunati.
Le cose si fanno una volta, mi hanno insegnato, quindi mi sono incamminato lungo la strada, utilizzando il pollice opponibile nel chiaro gesto di chi desidera un passaggio. Man mano che avanzavo, le case si diradavano, ma lo stesso gruppetti di bambini mi raggiungevano al grido di "hello, hello" per sfoggiare il poco inglese che conoscevano davanti ai compagni e, ovviamente, salutare lo straniero (nulla di male, ovviamente, se non fosse che a volte diventando insistenti al punto che se non li caghi quanto vorrebbero ti cominciano ad insultare; e, poi, c'è sempre la possibilità che comincino a chiederti soldi/caramelle/penne, e se io potessi prendere tutti quei turisti che li corrompono gli infilerei le loro penne su per il didietro). Passavano mezzi di ogni tipo, ma nessuno si fermava, dovendo proseguire per poco o essendo già carichi. Finalmente, un camioncino che trasportava tondini di ferro - qui costruiscono come pazzi, ci sono case iniziate per ogni dove - mi ha caricato, e trasportato fino all'ingresso delle rovine.
In realtà, l'ingresso vero e proprio non l'ho trovato, e quindi sono entrato da un varco nelle mura (suppongo ci fosse pure una biglietteria da qualche parte...), e lo spettacolo che mi son trovato davanti era effettivamente quello descrittomi da Massimiliano a Wadi Rum, e che mi aveva spinto a inserire questo posto nel mio itinerario: una distesa vastissima di sabbia e rovine, interamente circondata dalle mura, ed in mezzo i resti di un paio di basiliche più altre cose... quando si parlerà in futuro di "cattedrali nel deserto", di certo questo posto sarà il primo che mi verrà in mente. E c'è pure poca gente: colgo voci francesi, poi italiane, la maggior parte appartengono ad un paio di gruppi che vedo a qualche distanza (il posto è vasto, dopo tutto). Insomma, santa pace, finalmente, senza venditori di cartoline e ninnoli.
Mi apposto sulla strada che punta nel deserto, aspettando. Si ferma un autobus turistico, di uno dei gruppi che stavano dentro alle rovine, e divengo gradito ospite del Gruppo Archeologico di Latina... ebbene sì: connazionali, per giunta nel giorno della festa per l'unità d'Italia... ottimo modo di celebrare, specie per me! Vanno a Palmyra, e stanno facendo una versione ridotta e velocizzata del mio viaggio, con una guida archeologa siriana ed un'accompagnatrice italiana. Rispondo alle loro incuriosite domande, ma soprattutto mi godo in silenzio il tappeto giallo di sabbia che si snoda ai bordi del ristretto nastro d'asfalto che il nostro autista sta seguendo. E la sorpresa che la guida ha organizzato, ovvero una visita lampo ad una fortezza nel deserto di un qualche califfo, davvero bella ma che noi ci limitiamo a fotografare.
Accolti dai palmeti che le rendono onore, arriviamo nell'enorme oasi di Palmyra (pronunciato Palmera, come la nota marca di tonno in scatola), nota ai locali come Tadmor (è il nome che dovete pronunciare, se non volete che vi guardino con la faccia di uno che si sta chiedendo da quale pianeta provieni) quando manca ancora un'oretta al tramonto. Saluto e ringrazio i miei salvatori, e vado a cercarmi un posto dove passare qualche notte. Cosa non difficile, se si ama farsi spennare: qui sembrano tutti organizzati, ristoranti compresi, per prelevare quanto più denaro possono dai turisti, stranieri ma anche siriani, che accorrono a frotte, specie dal giovedì sera al sabato (ricordo che il giorno festivo qui è il venerdì, e non la domenica come da noi). Alla fine ne trovo uno di onesto, il Palace, che a dispetto del suo nome non è niente di incredibile ma che è gestito da un ragazzino molto simpatico e informativo, e decido di fermarmi per tre notti: sono ancora in anticipo sulla tabella di marcia, il che mi permetterà di tornare a Marmusa per fermarmi un po'. Anche per il mangiare, basta applicare la regola di Venezia, ed allontanarsi un pò dal centro, e subito si trova cibo a prezzi normali... La sera però vado a dormire presto, la levataccia di stamattina si fa sentire.
Il venerdì, con un sole solo parzialmente velato da nuvole, lo dedico interamente ad aggirarmi per le rovine di Palmyra, città che le carovane commerciali e l'esenzione dalle tasse concessa dai Romani hanno fatto grande, fino al punto in cui la regina Zenobia ne dichiarò l'indipendenza e cercò di farla diventare capitale di uno stato che si estendeva fino all'Egitto (ovviamente, i Romani non la presero bene, e ben presto le fecero pagare l'impudenza, distruggendo la città e portando lei in catene a Roma). Quello che gli archeologi sono già riusciti a tirar fuori dalla sabbia, e continuano a tirar fuori, è entusiasmante, probabilmente anche grazie alla coreografia di palme ulivi e melograni che danno una nota di colore al monotono giallo-sabbia. Il problema è che, essendo quasi tutto territorio aperto, senza neppure un minimo biglietto d'ingresso da pagare, c'e di tutto: appassionati di fotografia, bambini che giocano a pallone, sciamannati che s'aggirano in moto vendendo cianfrusaglie o solo facendosi vedere, ragazzine che ballano nei templi, famigliole che fanno pic-nic, beduini su cammelli, cani di beduini che ce l'hanno con i cammelli (e con tutti gli altri), ecc. ecc. Una bolgia, specialmente lungo il colonnato principale, e anche in questo caso solo le cuffiette dell'iPod mi danno un minimo di respiro. Cammino per ore, per raggiungere le tombe a torre e quelle scavate nelle profondità del suolo, e sbircio nei giardini privati del palmeto dalle mura di mattoni fatti con il fango. Solo al tramonto torno in città, e scopro un internet-cafe a prezzi modici ed un ristorantino in cui mi affido al cuoco per la scelta dei cibi (niente di complicato, sia chiaro, ma io ed il mio stomaco usciamo soddisfatti, e ci ripromettiamo di tornare l'indomani). La serata termina con un paio di film in tv, perché le mie gambe si rifiutano di andare ancora in giro.
Il sabato passa invece molto tranquillo: dormo fino a tardi, faccio abbondante colazione, mi guardo Braveheart in tv mentre sarkozy ed i suoi degni compari decidono cosa farne della Libia, poi mi decido ad uscire anche se fuori è parecchio nuvoloso. Individuo e raggiungo la stazione dei bus, per verificare gli orari per domani, e poi mi allontano - a piedi - dalla città per provare a trovare altre case di fango a forma di alveare, che ho avvistato mentre arrivavamo con il pullman. Niente da fare, però: le uniche sono artificialmente costruite per un hotel. Torno perciò in centro, ed eccomi qui a scrivere... Stasera, se le nuvole se ne vanno, farò un salto a vedere le rovine al chiar di luna, che dovrebbe apparire straordinariamente grande almeno stando a quanto scrivono i giornali in internet... Vedremo!
Le cose si fanno una volta, mi hanno insegnato, quindi mi sono incamminato lungo la strada, utilizzando il pollice opponibile nel chiaro gesto di chi desidera un passaggio. Man mano che avanzavo, le case si diradavano, ma lo stesso gruppetti di bambini mi raggiungevano al grido di "hello, hello" per sfoggiare il poco inglese che conoscevano davanti ai compagni e, ovviamente, salutare lo straniero (nulla di male, ovviamente, se non fosse che a volte diventando insistenti al punto che se non li caghi quanto vorrebbero ti cominciano ad insultare; e, poi, c'è sempre la possibilità che comincino a chiederti soldi/caramelle/penne, e se io potessi prendere tutti quei turisti che li corrompono gli infilerei le loro penne su per il didietro). Passavano mezzi di ogni tipo, ma nessuno si fermava, dovendo proseguire per poco o essendo già carichi. Finalmente, un camioncino che trasportava tondini di ferro - qui costruiscono come pazzi, ci sono case iniziate per ogni dove - mi ha caricato, e trasportato fino all'ingresso delle rovine.
In realtà, l'ingresso vero e proprio non l'ho trovato, e quindi sono entrato da un varco nelle mura (suppongo ci fosse pure una biglietteria da qualche parte...), e lo spettacolo che mi son trovato davanti era effettivamente quello descrittomi da Massimiliano a Wadi Rum, e che mi aveva spinto a inserire questo posto nel mio itinerario: una distesa vastissima di sabbia e rovine, interamente circondata dalle mura, ed in mezzo i resti di un paio di basiliche più altre cose... quando si parlerà in futuro di "cattedrali nel deserto", di certo questo posto sarà il primo che mi verrà in mente. E c'è pure poca gente: colgo voci francesi, poi italiane, la maggior parte appartengono ad un paio di gruppi che vedo a qualche distanza (il posto è vasto, dopo tutto). Insomma, santa pace, finalmente, senza venditori di cartoline e ninnoli.
Mi apposto sulla strada che punta nel deserto, aspettando. Si ferma un autobus turistico, di uno dei gruppi che stavano dentro alle rovine, e divengo gradito ospite del Gruppo Archeologico di Latina... ebbene sì: connazionali, per giunta nel giorno della festa per l'unità d'Italia... ottimo modo di celebrare, specie per me! Vanno a Palmyra, e stanno facendo una versione ridotta e velocizzata del mio viaggio, con una guida archeologa siriana ed un'accompagnatrice italiana. Rispondo alle loro incuriosite domande, ma soprattutto mi godo in silenzio il tappeto giallo di sabbia che si snoda ai bordi del ristretto nastro d'asfalto che il nostro autista sta seguendo. E la sorpresa che la guida ha organizzato, ovvero una visita lampo ad una fortezza nel deserto di un qualche califfo, davvero bella ma che noi ci limitiamo a fotografare.
Accolti dai palmeti che le rendono onore, arriviamo nell'enorme oasi di Palmyra (pronunciato Palmera, come la nota marca di tonno in scatola), nota ai locali come Tadmor (è il nome che dovete pronunciare, se non volete che vi guardino con la faccia di uno che si sta chiedendo da quale pianeta provieni) quando manca ancora un'oretta al tramonto. Saluto e ringrazio i miei salvatori, e vado a cercarmi un posto dove passare qualche notte. Cosa non difficile, se si ama farsi spennare: qui sembrano tutti organizzati, ristoranti compresi, per prelevare quanto più denaro possono dai turisti, stranieri ma anche siriani, che accorrono a frotte, specie dal giovedì sera al sabato (ricordo che il giorno festivo qui è il venerdì, e non la domenica come da noi). Alla fine ne trovo uno di onesto, il Palace, che a dispetto del suo nome non è niente di incredibile ma che è gestito da un ragazzino molto simpatico e informativo, e decido di fermarmi per tre notti: sono ancora in anticipo sulla tabella di marcia, il che mi permetterà di tornare a Marmusa per fermarmi un po'. Anche per il mangiare, basta applicare la regola di Venezia, ed allontanarsi un pò dal centro, e subito si trova cibo a prezzi normali... La sera però vado a dormire presto, la levataccia di stamattina si fa sentire.
Il venerdì, con un sole solo parzialmente velato da nuvole, lo dedico interamente ad aggirarmi per le rovine di Palmyra, città che le carovane commerciali e l'esenzione dalle tasse concessa dai Romani hanno fatto grande, fino al punto in cui la regina Zenobia ne dichiarò l'indipendenza e cercò di farla diventare capitale di uno stato che si estendeva fino all'Egitto (ovviamente, i Romani non la presero bene, e ben presto le fecero pagare l'impudenza, distruggendo la città e portando lei in catene a Roma). Quello che gli archeologi sono già riusciti a tirar fuori dalla sabbia, e continuano a tirar fuori, è entusiasmante, probabilmente anche grazie alla coreografia di palme ulivi e melograni che danno una nota di colore al monotono giallo-sabbia. Il problema è che, essendo quasi tutto territorio aperto, senza neppure un minimo biglietto d'ingresso da pagare, c'e di tutto: appassionati di fotografia, bambini che giocano a pallone, sciamannati che s'aggirano in moto vendendo cianfrusaglie o solo facendosi vedere, ragazzine che ballano nei templi, famigliole che fanno pic-nic, beduini su cammelli, cani di beduini che ce l'hanno con i cammelli (e con tutti gli altri), ecc. ecc. Una bolgia, specialmente lungo il colonnato principale, e anche in questo caso solo le cuffiette dell'iPod mi danno un minimo di respiro. Cammino per ore, per raggiungere le tombe a torre e quelle scavate nelle profondità del suolo, e sbircio nei giardini privati del palmeto dalle mura di mattoni fatti con il fango. Solo al tramonto torno in città, e scopro un internet-cafe a prezzi modici ed un ristorantino in cui mi affido al cuoco per la scelta dei cibi (niente di complicato, sia chiaro, ma io ed il mio stomaco usciamo soddisfatti, e ci ripromettiamo di tornare l'indomani). La serata termina con un paio di film in tv, perché le mie gambe si rifiutano di andare ancora in giro.
Il sabato passa invece molto tranquillo: dormo fino a tardi, faccio abbondante colazione, mi guardo Braveheart in tv mentre sarkozy ed i suoi degni compari decidono cosa farne della Libia, poi mi decido ad uscire anche se fuori è parecchio nuvoloso. Individuo e raggiungo la stazione dei bus, per verificare gli orari per domani, e poi mi allontano - a piedi - dalla città per provare a trovare altre case di fango a forma di alveare, che ho avvistato mentre arrivavamo con il pullman. Niente da fare, però: le uniche sono artificialmente costruite per un hotel. Torno perciò in centro, ed eccomi qui a scrivere... Stasera, se le nuvole se ne vanno, farò un salto a vedere le rovine al chiar di luna, che dovrebbe apparire straordinariamente grande almeno stando a quanto scrivono i giornali in internet... Vedremo!
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inserito il 19/03/2011
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