Solidi con quattro lati triangolari
Ho incontrato un'incredibile quantità di persone che dicono di non volere andare a vedere le piramidi, pur essendo al Cairo. Fa un pò strano, a pensarci; e non tanto perché sono l'ultima delle cosiddette "7 meraviglie del mondo" rimasta in piedi, o perché sono un elemento caratterizzante la civiltà dell'antico Egitto, ma perché... è difficile se non impossibile far finta che non esistano: le loro immagini sono ovunque, sulle bancherelle e nei negozi, sui manifesti e persino nella metropolitana...
Come al solito, però, ho deciso di fare le cose per gradi (o gradoni, visto l'argomento). Prima, visita a quell'indescrivibile caos di reperti archeologici che è il Museo del Cairo. Come nelle scene finali del primo film di Indiana Jones, si entra in un edificio pieno di statue, sarcofagi, teche accatastati per ogni dove, con centinaia di umani che gli sciamano attorno seguendo spesso una guida con la bandierina ben levata in alto. Due piani, di cui il primo è dedicato alla presentazione (stavo per dire descrizione, ma l'assenza quasi completa di testi esplicativi mi ha fatto cambiare idea) dei vari periodi della civiltà egizia, mentre il secondo è più suddiviso tematicamente anche se tutti quanti ci vanno principalmente per vedere la sala delle mummie e il tesoro di Tutankhamon; due piani essenzialmente polverosi, a volte male illuminati, ma forse il tutto è fatto intenzionalmente per far sentire ogni visitatore un novello archeologo; due piani strainteressanti, però, dove io ho passato più di quattro ore per scoprire segni, disegni, forme e sostanza. Il tesoro dorato del giovane faraone è abbacinante nel suo lusso, e fa solo ipotizzare cosa potessero essere gli altri mai trovati di regnanti ancora più ricchi e potenti; ma le statue di Akenhaton, o quelle di Ramses non sono da meno, e valgono la congestione alle vie respiratorie e la sordità temporanea causata dall'urlare delle guide turistiche e dalle onnipresenti richieste di mancia per qualsiasi cosa (alla toilette non ti danno la carta igienica, se non sganci la svanzica!).
Lunedì invece ho contrattato con un autista di taxi un itinerario che mi avrebbe portato a vedere i siti piramidali secondari, solo perché si trovano fuori dal Cairo. A Saqqara ho visto le prime piramidi, frutto delle geniali invenzioni dell'architetto Himotep, che costruì anche i primi esempi di colonnati e di archi (dato però che a quel tempo non riponevano molta fiducia negli architetti, gli spazi tra le colonne e gli archi erano riempiti con dei muri, per impedire che il tutto crollasse... l'unica accortezza che gli riservavano era di dipingerli in colore diverso, per dare almeno l'impressione che si trattasse di spazi vuoti...); e la visita di alcune tombe mi ha fatto finalmente vedere i geroglifici in situ, e non più staccati come al museo il giorno precedente. A Dashur ho trovato piramidi più... piramidali, nel senso che invece di essere composte da alcuni gradoni sovrapposti hanno i lati dalla forma più continua, anche se in pochissimi punti si vede ancora il rivestimento calcareo che le rendeva completamente lisce (o si è rovinato, o è stato asportato per costruire case; qualcosa che a Roma conoscono bene, visto che i fori del Colosseo hanno la stessa origine). In una sono potuto pure entrare, ed è stata una vera avventura nel mondo della claustrofobia: si scende per un lungo tunnel, poi ci si trova in sale molto strette e dalla volta altissima, con un'aria che sa di sudore ed ammoniaca perché non mettono in azione la pompa esterna che pure c'è, completa di tubi.
Infine, Menfis: un giardinetto con qualche statua, stele ed una bella sfinge è quanto rimane dell'antica capitale dell'impero egizio, oltre ad una gigantesca statua di Ramses II che giace distesa per la gioia dei turisti giapponesi che ci si mettono in posa accanto e non gli par vero di non sentirsi troppo piccolini, per una volta... se solo si rendessero conto che le loro teste sono grandi come il naso, di quella statua...
Un periplo lungo un giorno, insieme al mio autista Kemel che mi ha raccontato, in inglese e quel pò di italiano che aveva studiato dai padri giuseppini, un sacco di cose sulla cultura, sul modo di vivere, sulle idee degli egiziani moderni (come molti che non lavorano direttamente nel settore, non è poi così interessato a quello che accadeva 4000 anni fa).
Infine, Giza. Anzi, "el Giza". È bastato prendere la metropolitana, e poi un minibus (anzi, due: il primo mi ha scaricato davanti all'"hotel" Piramyd, avendo equivocato la mia intenzione) per raggiungere il sito archeologico più noto di questo paese. Mentre guardavo la strada, ho voltato alla mia sinistra lo sguardo e eccole là, magnificamente gigantesche, ormai così vicine alla città che nei secoli si è allargata sempre più e che arriva a lambirle. Code ovunque, così come ovunque sono coloro che ti chiedono una moneta: chi per essere sceso con te all'interno di una tomba ("ma chi te lo ha chiesto?", vorresti dirgli), chi per un giro in cammello (da cui tutti ti mettono in guardia: pare che ti facciano salire per 10 lire egiziane, ma che per scendere poi ti chiedano 50 dollari o anche più), chi per fare la foto col cammello in posa davanti alla sagoma triangolare di una delle piramidi. Mentre le musiche dell'album omonimo di Alan Parsons Project mi suonano nelle orecchie, così che posso far finta di non aver sentito le continue proposte che mi vengono fatte, cammino sulla sabbia e sulle rocce, cercando con lo sguardo tutte quelle caratteristiche che ormai conosco a memoria: la parte asportata dalla piramide di Micerino in 8 mesi di lavoro da parte del figlio di Saladino, la parte ancora liscia della sommità della piramide di Chefren, la Barca Solare ricomposta con un sapiente restauro... e poi lei, la Sfinge, che sembra guardare verso la città e tenerla a bada, perché non si avvicini troppo. Cammino sulla sabbia, vi lascio le mie orme che presto saranno cancellate dal vento o da altre persone, mentre quelle enormi montagne di pietra continueranno a restare lì, immote, e dalla loro sommità "quaranta secoli di storia ci guardano".
La sera, come spesso accade, ci si trova con nuovi e vecchi conoscenti, questa volta in un bar molto famoso in pieno centro città, dove arrivano spagnoli, colombiani, francesi, gli amici egiziani di Nagui, Nada altra amica conosciuta tramite CS e poi altri ancora... Da lì andiamo a fare una camminata nel Cairo islamico, illuminato quasi a giorno e ormai privo di turisti, e Nada ci fa da guida raccontandoci aneddoti su tutti i principali monumenti. Ma all'una la stanchezza prende il sopravvento, ed io torno a casa di Nagui mentre gli altri proseguono per un locale nella zona di Giza dove poter vedere uno spettacolo di danza del ventre.
Come al solito, però, ho deciso di fare le cose per gradi (o gradoni, visto l'argomento). Prima, visita a quell'indescrivibile caos di reperti archeologici che è il Museo del Cairo. Come nelle scene finali del primo film di Indiana Jones, si entra in un edificio pieno di statue, sarcofagi, teche accatastati per ogni dove, con centinaia di umani che gli sciamano attorno seguendo spesso una guida con la bandierina ben levata in alto. Due piani, di cui il primo è dedicato alla presentazione (stavo per dire descrizione, ma l'assenza quasi completa di testi esplicativi mi ha fatto cambiare idea) dei vari periodi della civiltà egizia, mentre il secondo è più suddiviso tematicamente anche se tutti quanti ci vanno principalmente per vedere la sala delle mummie e il tesoro di Tutankhamon; due piani essenzialmente polverosi, a volte male illuminati, ma forse il tutto è fatto intenzionalmente per far sentire ogni visitatore un novello archeologo; due piani strainteressanti, però, dove io ho passato più di quattro ore per scoprire segni, disegni, forme e sostanza. Il tesoro dorato del giovane faraone è abbacinante nel suo lusso, e fa solo ipotizzare cosa potessero essere gli altri mai trovati di regnanti ancora più ricchi e potenti; ma le statue di Akenhaton, o quelle di Ramses non sono da meno, e valgono la congestione alle vie respiratorie e la sordità temporanea causata dall'urlare delle guide turistiche e dalle onnipresenti richieste di mancia per qualsiasi cosa (alla toilette non ti danno la carta igienica, se non sganci la svanzica!).
Lunedì invece ho contrattato con un autista di taxi un itinerario che mi avrebbe portato a vedere i siti piramidali secondari, solo perché si trovano fuori dal Cairo. A Saqqara ho visto le prime piramidi, frutto delle geniali invenzioni dell'architetto Himotep, che costruì anche i primi esempi di colonnati e di archi (dato però che a quel tempo non riponevano molta fiducia negli architetti, gli spazi tra le colonne e gli archi erano riempiti con dei muri, per impedire che il tutto crollasse... l'unica accortezza che gli riservavano era di dipingerli in colore diverso, per dare almeno l'impressione che si trattasse di spazi vuoti...); e la visita di alcune tombe mi ha fatto finalmente vedere i geroglifici in situ, e non più staccati come al museo il giorno precedente. A Dashur ho trovato piramidi più... piramidali, nel senso che invece di essere composte da alcuni gradoni sovrapposti hanno i lati dalla forma più continua, anche se in pochissimi punti si vede ancora il rivestimento calcareo che le rendeva completamente lisce (o si è rovinato, o è stato asportato per costruire case; qualcosa che a Roma conoscono bene, visto che i fori del Colosseo hanno la stessa origine). In una sono potuto pure entrare, ed è stata una vera avventura nel mondo della claustrofobia: si scende per un lungo tunnel, poi ci si trova in sale molto strette e dalla volta altissima, con un'aria che sa di sudore ed ammoniaca perché non mettono in azione la pompa esterna che pure c'è, completa di tubi.
Infine, Menfis: un giardinetto con qualche statua, stele ed una bella sfinge è quanto rimane dell'antica capitale dell'impero egizio, oltre ad una gigantesca statua di Ramses II che giace distesa per la gioia dei turisti giapponesi che ci si mettono in posa accanto e non gli par vero di non sentirsi troppo piccolini, per una volta... se solo si rendessero conto che le loro teste sono grandi come il naso, di quella statua...
Un periplo lungo un giorno, insieme al mio autista Kemel che mi ha raccontato, in inglese e quel pò di italiano che aveva studiato dai padri giuseppini, un sacco di cose sulla cultura, sul modo di vivere, sulle idee degli egiziani moderni (come molti che non lavorano direttamente nel settore, non è poi così interessato a quello che accadeva 4000 anni fa).
Infine, Giza. Anzi, "el Giza". È bastato prendere la metropolitana, e poi un minibus (anzi, due: il primo mi ha scaricato davanti all'"hotel" Piramyd, avendo equivocato la mia intenzione) per raggiungere il sito archeologico più noto di questo paese. Mentre guardavo la strada, ho voltato alla mia sinistra lo sguardo e eccole là, magnificamente gigantesche, ormai così vicine alla città che nei secoli si è allargata sempre più e che arriva a lambirle. Code ovunque, così come ovunque sono coloro che ti chiedono una moneta: chi per essere sceso con te all'interno di una tomba ("ma chi te lo ha chiesto?", vorresti dirgli), chi per un giro in cammello (da cui tutti ti mettono in guardia: pare che ti facciano salire per 10 lire egiziane, ma che per scendere poi ti chiedano 50 dollari o anche più), chi per fare la foto col cammello in posa davanti alla sagoma triangolare di una delle piramidi. Mentre le musiche dell'album omonimo di Alan Parsons Project mi suonano nelle orecchie, così che posso far finta di non aver sentito le continue proposte che mi vengono fatte, cammino sulla sabbia e sulle rocce, cercando con lo sguardo tutte quelle caratteristiche che ormai conosco a memoria: la parte asportata dalla piramide di Micerino in 8 mesi di lavoro da parte del figlio di Saladino, la parte ancora liscia della sommità della piramide di Chefren, la Barca Solare ricomposta con un sapiente restauro... e poi lei, la Sfinge, che sembra guardare verso la città e tenerla a bada, perché non si avvicini troppo. Cammino sulla sabbia, vi lascio le mie orme che presto saranno cancellate dal vento o da altre persone, mentre quelle enormi montagne di pietra continueranno a restare lì, immote, e dalla loro sommità "quaranta secoli di storia ci guardano".
La sera, come spesso accade, ci si trova con nuovi e vecchi conoscenti, questa volta in un bar molto famoso in pieno centro città, dove arrivano spagnoli, colombiani, francesi, gli amici egiziani di Nagui, Nada altra amica conosciuta tramite CS e poi altri ancora... Da lì andiamo a fare una camminata nel Cairo islamico, illuminato quasi a giorno e ormai privo di turisti, e Nada ci fa da guida raccontandoci aneddoti su tutti i principali monumenti. Ma all'una la stanchezza prende il sopravvento, ed io torno a casa di Nagui mentre gli altri proseguono per un locale nella zona di Giza dove poter vedere uno spettacolo di danza del ventre.
Nota bene:
il mio autista per il tour fuori-Cairo si chiama Kemel, e puo' essere contattato al numero 0102344438
il mio autista per il tour fuori-Cairo si chiama Kemel, e puo' essere contattato al numero 0102344438
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Commenti
Il giorno 13/01/2011, Massielena ha scritto...
Interessante notare come in Egitto, cosa tra l'altro risaputa, le mance sembra siano parte integrante della cultura turistica della popolazione; infatti anche nelle proposte di gite in Egitto delle agenzie di viaggi, nella quota si legge la fatidica frase: "mance comprese". Ora, sapendo che Daniele è un tipo moooolto restio ad elargire soldi inutilmente, vorrei capire quali sono i criteri che usa per elargire il compenso a chi lo richiede e soprattutto, se non lo si elargisce, se si è soggetti a dispetti o vessazioni.
Il giorno 19/01/2011, Daniele ha scritto...
Le mance, che chiamano "backshish", qui te le chiedono tutti: stasera, per esempio, ero seduto a vedere uno spettacolo in una piazza di Luxor ed una signora mi ha chiesto se potevo fare una foto al suo bambino; ho tirato fuori la macchina fotografica, e lei mi ha detto che ovviamente avrei dovuto pagarle 5 lire egiziane (circa 50 eurocent), al che le ho risposto che era lei che voleva la foto, mica io (il bambino era pure bruttino)... solo allora ha deciso che la foto la voleva lo stesso, ma senza farmi pagare.
Questo per dire che qui, con la scusa che la gente guadagna poco, tutti cercano di arrotondare con una mancetta. A volte per dei servizi che dovrebbero essere forniti (tipo la carta igienica nelle toilette del Museo Egizio), a volte per delle scorciatoie (tipo cambiare di posto a sedere in treno), il piu' delle volte per delle ragioni comprensibili forse solo alle divinita' del pantheon faraonico...
Questo per dire che qui, con la scusa che la gente guadagna poco, tutti cercano di arrotondare con una mancetta. A volte per dei servizi che dovrebbero essere forniti (tipo la carta igienica nelle toilette del Museo Egizio), a volte per delle scorciatoie (tipo cambiare di posto a sedere in treno), il piu' delle volte per delle ragioni comprensibili forse solo alle divinita' del pantheon faraonico...
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inserito il 12/01/2011
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