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I leoni di Rarotonga
Douglas (Adams) è stato un buon compagno, ma poco dopo essere arrivato a Rarotonga l'ho terminato e scambiato con due nuovi libri (il primo dei quali, "Lo strano caso del cane di notte", l'ho purtroppo finito in due giorni)... e servono, credetemi!
L'isola, di per sé, non è nè troppo piccola nè troppo grande: ieri, in bici, ci ho messo un giorno intero per girarla... in effetti, andavo piano (dopo tutto, si tratta di una trentina di chilometri), e mi fermavo ovunque... quando, qualche giorno fa, insieme con un tipo dell'ostello in cui stavo e con altri due che abbiamo incontrato per strada, ho scarpinato lungo il sentiero che taglia a metà (da nord a sud) l'isola, passando alla base della guglia rocciosa detta "L'ago", nel punto più alto bastava voltarsi di 180 gradi e si poteva vedere la costa da tutte e due le parti, con la spuma delle onde che si infrangono sulla barriera che protegge la laguna (qualche decina di metri) interna.
Lungo la strada, si incontrano moltitudini di chiese (ce ne devono essere all'incirca una per ogni abitante) e, soprattutto, di tombe: a causa delle complicate tradizioni che riguardano i diritti ereditari, qui molti hanno un pezzetto di terra da una parte ed uno a qualche chilometro di distanza, così tendono a sotterrare i loro morti nel giardino di casa (dopo tutto, la terra è degli antenati, quindi è logico che in essa vi riposino!). E poi tante tende, tra la riva del mare e la strada che gira tutto attorno all'isola: sono di tutti gli isolani che, per le feste natalizie, han deciso di voler fare una vacanza economica a due passi dall'acqua, stufi delle solite piantagioni di banane, papaya (o "pawpaw", come la chiamano gli inglesi ?!) e noni (frutto dal gusto incerto - a metà tra il vino ed il formaggio -, e dalle proprietà apparentemente taumaturgiche - pare possa eliminare persino alcuni tumori, oltre ai calli). E le immancabili noci di cocco, che vengono usate da tutti in tutti i modi, persino per ricoprire i seni delle ballerine che dimenano i sederi ricoperti di piume al ritmo frenetico di tamburi suonati in modo magistrale (tranquille, tranquille, ci sono pure i ballerini maschi a dimenarsi...).
Da uno dei due autobus (uno che gira in senso orario, l'altro in senso antiorario) che ti portano in giro per l'isola, dai finestrini spalancati per il caldo, vedi la gente (corpulenta come i loro cugini - o, meglio, discendenti - maori della Nuova Zelanda) che un pò ti saluta e pò si fa gli affari suoi, perché tu alla fine sei un turista e loro, con i soldi mandati a casa da chi lavora oltremare, non hanno proprio proprio bisogno di te ed un pò ti sopportano; l'unico momento in cui sono fieri di mostrarsi a te è durante la messa, quando cantano canzoni indecifrabili cercando di sconfiggere gli altri gruppi in una gara senza vincitori nè vinti (solo il gusto di partecipare... ah, DeCoubertain sarebbe deliziato...)... perché l'isolano, per sua natura, è tranquillo, e tende il più possibile ad imitare quei leoni marini che, oziosamente, stanno sulla spiaggia a sbadigliare e a farsi baciare dal sole... ignavi, o sommamente saggi?
L'isola, di per sé, non è nè troppo piccola nè troppo grande: ieri, in bici, ci ho messo un giorno intero per girarla... in effetti, andavo piano (dopo tutto, si tratta di una trentina di chilometri), e mi fermavo ovunque... quando, qualche giorno fa, insieme con un tipo dell'ostello in cui stavo e con altri due che abbiamo incontrato per strada, ho scarpinato lungo il sentiero che taglia a metà (da nord a sud) l'isola, passando alla base della guglia rocciosa detta "L'ago", nel punto più alto bastava voltarsi di 180 gradi e si poteva vedere la costa da tutte e due le parti, con la spuma delle onde che si infrangono sulla barriera che protegge la laguna (qualche decina di metri) interna.
Lungo la strada, si incontrano moltitudini di chiese (ce ne devono essere all'incirca una per ogni abitante) e, soprattutto, di tombe: a causa delle complicate tradizioni che riguardano i diritti ereditari, qui molti hanno un pezzetto di terra da una parte ed uno a qualche chilometro di distanza, così tendono a sotterrare i loro morti nel giardino di casa (dopo tutto, la terra è degli antenati, quindi è logico che in essa vi riposino!). E poi tante tende, tra la riva del mare e la strada che gira tutto attorno all'isola: sono di tutti gli isolani che, per le feste natalizie, han deciso di voler fare una vacanza economica a due passi dall'acqua, stufi delle solite piantagioni di banane, papaya (o "pawpaw", come la chiamano gli inglesi ?!) e noni (frutto dal gusto incerto - a metà tra il vino ed il formaggio -, e dalle proprietà apparentemente taumaturgiche - pare possa eliminare persino alcuni tumori, oltre ai calli). E le immancabili noci di cocco, che vengono usate da tutti in tutti i modi, persino per ricoprire i seni delle ballerine che dimenano i sederi ricoperti di piume al ritmo frenetico di tamburi suonati in modo magistrale (tranquille, tranquille, ci sono pure i ballerini maschi a dimenarsi...).
Da uno dei due autobus (uno che gira in senso orario, l'altro in senso antiorario) che ti portano in giro per l'isola, dai finestrini spalancati per il caldo, vedi la gente (corpulenta come i loro cugini - o, meglio, discendenti - maori della Nuova Zelanda) che un pò ti saluta e pò si fa gli affari suoi, perché tu alla fine sei un turista e loro, con i soldi mandati a casa da chi lavora oltremare, non hanno proprio proprio bisogno di te ed un pò ti sopportano; l'unico momento in cui sono fieri di mostrarsi a te è durante la messa, quando cantano canzoni indecifrabili cercando di sconfiggere gli altri gruppi in una gara senza vincitori nè vinti (solo il gusto di partecipare... ah, DeCoubertain sarebbe deliziato...)... perché l'isolano, per sua natura, è tranquillo, e tende il più possibile ad imitare quei leoni marini che, oziosamente, stanno sulla spiaggia a sbadigliare e a farsi baciare dal sole... ignavi, o sommamente saggi?
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inserito il 31/12/2004
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