Inferno - dantesco o brownesco, la differenza c'è
Due testi:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant’ è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.
e
"Va tutto bene" disse la dottoressa. "È lunedì mattina, 18 marzo". "Lunedì". Langdon costrinse la mente dolorante a riavvolgere le immagini fino alle ultime che riusciva a ricordare, fredde e scure: lui che attraversava da solo il campus di Harvard, diretto alla conferenza del sabato pomeriggio. "È successo due giorni fa?". Si sentì afferrare da un panico ancora più raggelante mentre cercava di rammentare qualcosa della conferenza e di ciò che era successo dopo. "Niente". Il ping del monitor si fece più veloce.
Sono uguali? No, per fortuna no. Sono simili? No, purtroppo no. Il primo è, spero l’abbiate riconosciuto, di Dante Alighieri, ed è l’inizio della sua Divina Commedia, Canto dell’Inferno. Il secondo è invece l’inizio dell’ultima opera di Dan Brown, quello del Codice Da Vinci, che si chiama, appunto, "Inferno".
Il buon vecchio Dan, dopo aver con vari libri tentato di ripetere il successone della storia della caccia ai segreti di Leonardo e di Gesù Cristo (ché, quando ti scegli i soggetti per un bestseller, è sempre meglio prendere qualcuno che ha già venduto parecchio di suo), con esiti perlopiù insoddisfacenti, torna alla carica con il suo format di omicidi, misteri, intrighi e storia (più o meno reale).
E il problema è proprio questo: si tratta di un format... Ogni suo libro che ho letto - 4, se non erro; ma a mia parziale discolpa posso dire di non averne comprato nemmeno uno - ha sempre gli stessi elementi e si sviluppa sempre nello stesso modo: un omicidio nelle prime pagine, un evento che scatena tutto, inseguimenti e indovinelli possibilmente in luoghi con scale e corridoi, un personaggio cattivo che sembra IL personaggio cattivo ma poi risulta che l’autore ci ha fatto uno scherzo, e la soluzione finale, possibilmente rocambolesca. La parte interessante è lo sfondo, perché è certo che il signor Brown faccia un bel po’ di ricerca a priori, salvo poi mischiare il tutto con una buona dose di inventiva (non che sia sbagliata di suo, s’intende: lo stesso Dante l’aveva fatto); ma il resto, generalmente, non lo è più, almeno per me (e anche quanto ad inventiva mi sa che spesso è un po’ semplicistica: ricordo che scoprivo le soluzioni agli indovinelli del Codice Da Vinci alcune pagine prima del protagonista, e sono sicuro di non essere l’unico).
Tornando alle differenze tra i due autori, un’altra riguarda lo stile: ripulito, raffinato, forbito quello di Dante, piuttosto goffo e sciatto (a sentire Annamaria Barbato Ricci su L’Indro) quello di Brown. E effettivamente, almeno nell’incipit recuperabile gratuitamente in rete, le inesattezze logiche (non sono completamente d’accordo con quelle linguistiche) ci sono tutte, forse permeando anche il resto dell’opera.
Varrà la pena di leggerlo? Non lo so. Ma penso che, se mi capiterà sotto mano una copia (biblioteca, ebook, quant’altro), lo farò, giusto per conoscere nuovi dettagli sulla città di Firenze (dove è ambientata la storia) e nuove storie da raccontare ai turisti che porto in giro. Ma non per la suspence, né per la verosimiglianza storica: quelle se ne sono andate a Parigi.
...
Giusto per rimanere in tema di inferni: da alcuni giorni sono pressoché allettato (nel senso di "costretto a letto") da un mal di schiena possente, che le pene dell’inferno al confronto non sono niente... Tanti auguri a me di pronta guarigione, quindi!
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inserita il 18/05/2013
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