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El Tajin, in volo sopra il petrolio

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Manca poco, ormai, alla mia partenza. Ma, tra un’aggiunta e una sostituzione, sono riuscito a ricavarmi un paio di giorni, quindi ne approfitto per raggiungere Papantla, verso il Golfo del Messico, e più precisamente la località di Poza Rica, che ha evidentemente ricavato il suo nome dall’abbondanza di giacimenti petroliferi che vi sono stati trovati: già mentre arrivo alla città, direttamente dalla capitale (alla fine era molto più economico, e quasi della stessa durata, un viaggio da San Cristobal passando per Città del Messico piuttosto che raggiungere Veracruz e, da lì, portarsi poi a Poza Rica attraverso Jalapa, anche se così ho perso l’occasione di vedere dove nasce il famoso peperoncino jalapeno), vedo le fiamme di varie torri innalzarsi nell’aria non tersa del primo pomeriggio; Pemex da anni lavora da queste parti, e anzi molti pozzi si sono già esauriti, o comunque hanno raggiunto il punto in cui l’estrazione non è più così semplice.

Pepe, maestro di scuola secondaria in una comunità indigena nei pressi di Poza Rica, mi viene a prendere alla stazione dei bus, e assieme passiamo a trovare un altro couchsurfer, Juan, che si era anch’egli offerto di ospitarmi; assieme concordiamo di approfittare della cortesia di Pepe e provare l’esperienza del Temazcal che ha in giardino: una capanna fatta di uno scheletro di legno, nella quale viene crato vapore per mezzo di pietre riscaldate, e sulla quale viene stesa una copertura all’interno della quale resta intrappolato tale vapore... una sorta di sauna, anche se la "capanna sudatoria" serve secondo le culture che la utilizzano a purificare, purgando, non solo o non tanto il corpo ma lo spirito di chi partecipa alla cerimonia. Arrivati a casa sua, dopo che ho messo giù lo zaino cominciamo a preparare quel che serve: ripuliamo un po’ il giardino dalle erbacce, poi ricomponiamo il forno di pietre all’interno del quale cominciamo a bruciare della legna, nel frattempo chiacchierano e bevendo del buon succo di frutta; una volta che le pietre si sono arroventate per benino, togliamo le braci in modo che non si creino gas nocivi e copriamo tutta la capanna con dei teli e delle coperte, senza lasciare aperture. Arrivato Juan ci togliamo i vestiti (beh, quasi tutti), e entriamo sotto la cappa, recitando una breve formula che indica il nostro desiderio di purificazione. Dentro fa caldo, ma non troppo, e comunque si tratta di un caldo secco, dato che viene spruzzata solo pochissima acqua sulle rocce calde. Sediamo su delle rozze panchine (almeno fino a quando una di esse non decide di cedere sotto i pesi mio e di Juan, e io non mi scortico mezza coscia sinistra - senza conseguenze troppo dannose, per fortuna, anche se per un paio di minuti, nel buio più assoluto, cerco di determinare col solo ausilio del tatto se mi sono aperto la femorale e morirò dissanguato o meno), all’inizio parlando, poi in silenzio, per alcune decine di minuti; poi, a turno, pensiamo ad un problema che abbiamo e ad una sua possibile soluzione, poi gettiamo dell’acqua e delle erbe sulle pietre, ed usciamo. Io sono l’ultimo ad uscire, e fuori trovo gli altri due che si sono già docciati e che stanno bevendo birra e fumandosi una canna... non sono proprio sicuro che siano i migliori modi di purificarsi, quindi solamente mi lavo e poi li raggiungo. Per cena decidiamo che preparerò una pasta, gli ingredienti ci sono tutti ma, quando metto l’acqua sul fornello, ci accorgiamo che è terminato il gas nella bombola; Pepe e Juan partono per andare a farla riempire (a quanto dicono, il servizio è attivo fino a tarda notte), tornando dopo una buona ora non avendo trovato subito un negozio aperto (ci credo: sono le 10 di sera, voi stareste a riempire bombole del gas a quell’ora?). Finalmente mangiamo, poi decidiamo che Juan non è in grado di guidare la sua moto fino a casa e quindi gli cedo il divano e mi accomodo su una stuoia per terra, e finalmente ci addormentiamo.

Al mattino, mentre Pepe va a insegnare ai suoi alunni, io raggiungo prima con uno strappo in moto da parte di Juan e poi con due passaggi in bus il sito archeologico di El Tajin, famoso per le sue costruzioni ma anche per i voladores, che infatti danno spettacolo arrampicandosi e poi gettandosi da un altissimo palo all’esterno del centro visitatori, mentre il tamburino con il suo flauto accompagna la loro danza rituale. Il sito, dentro, è molto curato e ben organizzato; un ricco museo mette in mostra alcuni dei ritrovamenti più importanti, sostituiti all’aperto da copie ben fatte, ma il pezzo forte sono sicuramente le grandi strutture in ottime condizioni, come la piramide dalle 365 nicchie o i due campi da gioco delle pelota, lungo le cui mura una serie di rilievi descrivono vari momenti della cerimonia e della ritualità che accompagnava tali competizioni. La gente è poca, il cielo dapprima completamente terso comincia lentamente a rannuvolarsi, ed io faccio un primo giro a velocità sostenuta per fare foto in favore di luce e, poi, con calma rivedo tutto, soffermandomi a gustare alcuni particolari e la calma che li circonda... dopo Tikal, in Guatemala, pensavo di aver fatto il pieno di siti archeologici, specie perché era stata una specie di delusione (no, forse la parola è troppo forte, ma sicuramente non era stato all’altezza delle aspettative, complici forse anche le condizioni meteorologiche non proprio favorevoli); ma El Tajin mi è piaciuto molto, e anche se non lo inserisco nella lista dei primi 3 (Monte Alban, Palenque e Uxmal, in ordine cronologico di visita) si piazza comunque molto bene in classifica.

Tornato un po’ tardi in città, scopro che Pepe non è comunque ancora partito per il mare, dove vuole andare a pescare con il suo amico Manuel, quindi mi aggrego nella speranza di poter fare il bagno. Dopo un viaggio di un’oretta tra campagne e boschi, arriviamo in riva al golfo, ma il mare è molto mosso; decido quindi di stendermi in spiaggia a dormire sotto il sole, mentre i due temerari provano a catturare qualche preda. Alla fine, il bilancio è in mio favore: un paio d’ore di buon riposo, contro un solo pesce pescato... Mentre il sole tramonta, riprendiamo l’auto e torniamo verso Poza Rica, fermandoci però in un’altra località vicino alla foce di un fiume per dare a Manuel la possibilità di fare un altro tentativo - frustrato anche questo - e poi per mangiare sull’uscio di una signora che, attrezzata con fornelli e padelle, cuoce vari piattini a base di tortilla e empanada.

Ritornati, accompagnamo a casa Manuel ed il suo pesce, e poi Pepe ed io andiamo a dormire. Al mattino mi riaccompagna con il suo macinino rosso alla stazione dei bus, in tempo per perdere quello che volevo prendere (!), ma alla fin fine chi mi corre dietro (se non il tempo)? Aspetto quindi quello successivo, e mi metto in viaggio ancora una volta per Città del Messico...


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inserito il 09/03/2012
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