E se avesse ragione Aldous?
Il buon Aldous Huxley, di cui ovviamente tutti sapete molto più di me e quindi è inutile che ne stia a scriverne, pare che un bel giorno abbia dichiarato che "Lake Como, it seems to me, touches on the limit of permissibly picturesque, but Atitlán is Como with additional embellishments of several immense volcanoes. It really is too much of a good thing." (giusto per fare un piacere ai non anglofoni: "Il lago di Como, mi pare, raggiunge il limite della permissibile pittorialità, ma Atitlàn è Como con l’abbellimento aggiuntivo di vari immensi vulcani. E’ davvero eccessivamente bello"). Per verificare se aveva ragione, dalla bolla di Antigua mi sono diretto a Panajachel, non con qualche problemino di cambio, essendo impossibile trovare nel primo pomeriggio un mezzo diretto.
Prima, però, ho fatto una sosta a Sololà, villaggetto che credevo meglio e il cui mercato del martedì anche credevo meglio (ma si sa, chi scrive le guide turistiche spesso si esalta ed esalta ancor più quello che invece, spesso, è solo normale); una pensioncina assai triste - ma a quanto pare non c’era molta scelta - mi ha accolto, non proprio con tutti i crismi, dato che mancava l’acqua per metà delle ore e il bagno era una turca dietro due porte a battente tipo saloon del far west, e il supermercato dietro l’angolo e le bancherelle della piazza mi hanno alimentato, mentre la radio diffondeva suoni di marimba... Il mercato, dicevo, non è niente di particolare, ma essendo già lì al mattino presto ho evitato i turisti (pochi) che sarebbero arrivati più tardi, godendomi un po’ di sana vita locale (e la vista che si gode del lago da un campo tre strade più in basso della chiesa sicuramente vale qualcosa).
Panajachel, dicevo: centro nevralgico, nodo di trasporti per quasi tutti quelli che vogliono visitare il lago, tanto è vero che ci sono molti turisti che vi si fermano e trascorrono le giornate in andate e ritorni verso i vari villaggetti. Vari, sì, perché ce n’è a bizzeffe, tutti con il nome di qualche apostolo cristiano, tanto da far pensare che su queste acque più che in motoscafo qualcuno di famoso ci abbia camminato: San Marco, San Giacomo, San Pietro, San Paolo, San Giovanni e così via.
Un bus rapido percorre gli 8 chilometri di discesa da Sololà, e mi lascia a fianco della strada pedonale principale, tutta fiancheggiata da ristorantini e negozietti di souvenir. Cerco una pensione, e trovo un belga... sì, il belga di Campeche e San Ignacio, quello con il piede malandato! E’ riuscito ad arrivare fin qui anche lui, parlottiamo un po’ e poi decidiamo di lasciare tutto al caso di nuovo, se ci si incontra bene e se no è stato divertente e bizzarro lo stesso. Prendo alloggio in una camera di una casetta di fronte all’Hospedaje Jere (che cito solo perché sono stati tanto gentili da consigliarmi il posto, più economico ma di buona qualità), poi vado fino alla riva del lago a passeggiare e reperire informazioni utili per i prossimi giorni. C’è qualcuno sdraiato sui prati del parco sul lungolago, ma molti dei locali sono vuoti, nonostante la loro posizione su palafitte sia ottima per godere il panorama; forse è bassa stagione, o forse sono tutti impegnati nei negozietti di souvenir o nelle escursioni in motoscafo... Faccio il cammino inverso, e salgo fino alla piazza principale, con la sua immancabile chiesa bianca e dei bambini che vi giocano a pallone davanti. In realtà non c’è molto da vedere, quindi ritorno a godermi il tramonto dalla riva, con sullo sfondo i tre vulcani principali della zona: Atitlàn, San Pedro e Tolimàn.
Ad un banchetto lungo la strada mangio un delizioso piatto di carne ai ferri con contorno di riso, fagioli, guacamole e porri, poi vado a godermi il meritato riposo visto che in giro (a dispetto della quantità di locali in cui si strimpella musica) c’è ben poca vita.
Il mattino ha l’oro in bocca, io m’alzo presto e vado fino a Santa Caterina, dove a quanto pare ci sono delle belle pozze di acqua termale. Purtroppo, l’innalzamento del livello del lago (che, non avendo un emissario scarica solo attraverso alcuni canali sotterranei) dovuto alle piogge degli ultimi anni ha ridotto le "belle pozze" a pochi metri quadri neppure tanto fondi, quindi il massimo che riesco a fare è un caldo pediluvio. Però, il villaggio è carino e, tranne quando approda uno dei tanti tour in barca, tranquillo, con le mamme che fanno la coda davanti alla scuola aspettando i loro bambini e il poliziotto di zona che fa passare il tempo mangiando panini e parlando con la venditrice degli stessi. Torno a Pana (altro diminutivo!), faccio lo zaino in fretta e furia e vado al molo a prendere la "lancha" per Santiago Atitlan. Il prezzo del passaggio è maggiorato per i turisti, ma è cosa praticamente ufficiale e non v’è modo di scamparla, quindi pago i miei due euri e mezzo per una corsa che dura circa quaranta minuti sulle acque che cominciano ad incresparsi a causa del Xocomil, il vento del pomeriggio.
Al piccolo molo di Santiago l’innalzamento del livello del lago è ancora più evidente, con un parco pubblico ora frequentato solo da pesci ed una serie di case che evidentemente erano state costruite troppo vicino alla riva e che ora ospitano barche... che vi galleggiano dentro! Trovo un hotel non segnalato (almeno, sulla mia vecchia guida), in cui la tipa della ferramenta accanto mi da una camera molto carina all’ultimo piano, balcone vista vulcano, letto grande e pure la tv (e internet a scrocco da qualcuno nei pressi). Che c’entra la ferramenta accanto?, vi starete chiedendo... non lo capisco bene neppure io, all’inizio penso che facciano le veci della receptionist quando questa va a mangiare, ma in tutto il tempo che resto lì alla reception non vedo mai nessuno, quindi suppongo che i veri proprietari siano quelli della ferramenta... boh, un mistero in più che lascio volentieri a Giacobbo, io mi aggiro per il pueblo finché non trovo la casa di Maximon, il pupazzo dedicato a San Simone che i locali amano agghindare e a cui offrono soldi, sigarette e bottigle di superalcolici bruciando candele a profusione e facendosi guidare da un tipo strambo con gli occhiali scuri in preghiere che paiono più recite scolastiche (ma in dialetto locale, quindi non ne capisco un’acca), mentre dietro il tavolo su cui i due tipi che accudiscono l’enorme burattino appoggiano i doni portati un altro confratello dei "custodi" russa della grossa...
Nella piazza della chiesa, nel frattempo, frotte di fedeli accorrono, nei loro vestiti migliori: è il mercoledì delle ceneri, e durante la funzione c’è talmente tanta gente che molti restano fuori, ad ascoltare dagli altoparlanti; forse, c’è pure la signora che venne ritratta alcuni decenni orsono sulla moneta da 25 centavos, con il suo bel cappello tradizionale a ciambella calato sulla crapa.
Per la cena c’è più scelta, le bancherelle sono molte di più che a Pana, quindi posso optare per un piatto di salsicce (ma non di maiale, purtroppo!) tanto per cambiare dal solito pollo o carne alla brace, e poi per un buon gelato ricoperto di cioccolata e graniglia, che lo fanno proprio al momento: la venditrice estrae il gelato alla vaniglia dal frigo, lo immerge in un contenitore con la cioccolata fusa e poi in un altro con i pezzetti di croccante... "abbondante, per favore!"
Altra mattina, ed altro spostamento: una lancia gira attorno più lentamente al vulcano San Pedro, depositandomi al molto dell’omonima cittadina, meta privilegiata da saccopelisti e gringo alla ricerca di un’altra bolla. Per me è solo una buona base per visitare altri villaggetti, quindi dopo aver visitato una decina di ostelli vari ne scelgo uno nella zona più comoda (negozi, imbarcadero, ecc.) senza star lì a pensare troppo a quale ha il giardino più bello. Ci sono un sacco di attività, a volerle fare, e anche cose bizzarre da mangiare; io comincio con un piatto di falafel e hummus, giusto per ricordarmi dov’ero l’anno scorso di questi giorni, e poi noleggio un kayak per fare un giretto intorno alla costa... ma il pomeriggio è ormai inoltrato, e il vento comincia a soffiare anche nelle baia più riparata, quindi verso le cinque rientro, e mi vado a sentire una interessante conferenza sul significato dei venti giorni del calendario maya tenuta da un tipo che a quanto pare sta studiando con uno sciamano a Momostenango. Per cena, gado gado con pollo, un piatto tipico indonesiano, giusto per rimanere in Asia dopo il pranzo, nel locale con il servizio credo più lento di tutto il Guatemala (Tintin, meritano di essere citati!), e poi via in camera a inviare curriculum a nuove imprese turistiche.
Il venerdì faccio un’escursione a San Marcos, che in motoscafo si raggiunge in venti minuti circa; ma c’è ben poco da vedere, è un luogo pieno di ritiri spirituali e scuole di yoga dove, se non ti fermi per almeno due settimane, non vale neppure la pena che tu ti metta a fare il saluto al sole. Zainetto in spalla, quindi, e m’incammino lungo la costa, attraversando alcuni altri villaggetti fino ad arrivare, quasi all’ingresso di San Juan, ad una spiaggia dall’acqua sufficientemente limpida per invitarmi a fare il bagno; sosta meritata, anche perché fa ben caldo, il sole batte bene e io ho lasciato il cappello di paglia in ostello (ci sono già troppi gringo, da queste parti, per aggiungerne un altro, ho pensato). Quando arrivo a San Juan, l’intenzione è quella di visitare un ristorantino dove hanno molti tipi di formaggio, ma lo trovo chiuso, un po’ come quasi tutti i negozietti... sarà mica che qui fanno la siesta, finalmente? Mancano due chilometri a San Pedro, li percorro e vado a mangiare al mercato, ché lì sai sempre che trovi qualcosa... Nel pomeriggio ponzo, perché sono ben stanco, poi vado a cenare in un localino irlandese (!), dove mi preparano una deliziosissimissima zuppa di patate e cipolle e formaggio (le patate sono una specie di mousse, estremamente schiumosa... chiedo la ricetta, ma lo chef geloso si rifiuta di condividerla) e poi un piatto di pollo al curry al sapor di mango. La serata si conclude in un locale vicino, dove un canadese dalla pelle scura ed i capelli rasta canta cover di vecchie canzoni, riarrangiate in maniera quantomeno interessante, mentre la maggior parte dei presenti è troppo occupata con le proprie birre per accorgersene... Ah, le bolle...
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inserito il 25/02/2012
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