Da Ennio a Carmen
"Solo" quattro ore di bus dividono Veracruz da Catemaco (le virgolette si riferiscono al fatto che i chilometri saranno sì e no 200... le costanti universali, come il rapporto spazio/tempo, sembrano avere in Messico dei valori completamente diversi da quelli esistenti nel resto del Creato), e quando arrivo vado verso la sponda del lago per cui la città è famosa (una delle ragioni: l'altra sono gli stregoni!) ma non vi trovo né hotel alla mia portata né turisti (la seconda cosa cambia un pò i miei piani, non volendo io pagare per il noleggio di un'intera barchetta per visitare lo specchio d'acqua e le sue isolette, su cui so essere presenti scimmie ed altri animali). Torno al centro, e l'ufficio informazioni si dimostra ancora una volta meno utile del mio fiuto: trovo un hotel giusto sullo zocalo, contratto un prezzo di 180 pesos per camera doppia con acqua calda e ventilatore e, soprattutto, internet agratis, e poi ottengo dalla tipa alla reception un pò di dritte su cose alternative da fare. Seguendo le sue indicazioni ed il suggerimento dell'amico Jorge di Veracruz, salto quasi subito su una combi per Eypantla, circa 12 km indietro, dove ci sono delle cascate molto belle. Vi arrivo quando il sole si appresta a sparire dietro il costato della valle, e quindi mi precipito giù per i 144 scalini che scendono fino alla base, dove è tutto uno spruzzi e sprazzi. Mentre alcuni locali, seduti ai tavolini di un bar, mangiano e guardano di lontano, io mi infilo nelle orecchie le cuffie, attacco la colonna sonora di Mission e mi siedo sulla riva, la faccia e la lente della fotocamera bagnate dalle gocce nebulizzate, e mi pare di vedere il gesuita legato alla croce che cade nel vortice di schiuma (avrei voluto fare lo stesso quando ero stato ad Iguazù, ma allora il mio fido iPod non era ancora con me). Resto imbambolato per un po', seguendo i vari fili dei miei pensieri sospesi, e pensando che qui hanno girato Mato Grosso e Apocalipto (quest'ultimo aspetta ancora nell'hard disk, pronto ad essere visto durante un trasbordo lungo) sono contento che ora non ci siano troupe cinematografiche a rompere le scatole.
Ritorno, e vado a mangiare un buon menu di comida corrida, con la sua bella zuppetta e la sua carnina e i suoi fagioli e il suo riso, il tutto annaffiato da un bicchierone di "agua di jamaica", un infuso fresco di fiori di ibisco che è la cosa più deliziosamente dolce che ho provato fino ad ora in questo paese. Non sazio, esagero, aggiungendo un bel piatto di banane fritte ricoperte di crema e formaggio... mmm... Mi aggiro per la città, ma c'è poco da fare, e scopro che gli stregoni in realtà son saltati fuori dopo che un tizio aveva organizzato qui un ritrovo nazionale (ergo, la "tradizione" ha le gambe corte) e che le isole delle scimmie sono inaccessibili, al massimo ti avvicini e gli tiri le noccioline dalla barca... lascio perdere, e mi attacco al computer per organizzare i giorni successivi, poi esco e mi faccio un gelatone sempre in piazza, e a nanna presto ché l'indomani si parte all'alba.
La biglietteria delle corriere e il sito internet della stessa compagnia sono discorsi sui tempi di percorrenza, quindi per non rischiare prendo un collettivo alle 7 fino ad Acaycan (2 ore), da qui un bus per Villahermosa (5 ore) e, dopo una breve pausa ristoro al mercato locale, il primo bus per Ciudad del Carmen (altre 3 ore).
"Che ci vieni a fare in questa città petroliera e petrolifera?", mi aveva scritto Daniel quando gli avevo chiesto ospitalità; ed io avevo risposto che già il fatto che lui non le facesse pubblicità rendeva il tutto interessante (lui, più che il luogo). Dalla stazione dei bus prendo un taxi per arrivare a casa sua, in periferia, ed in quel momento arrivano anche lui ed altri due ospiti, Gaston e Yenni, che stanno cominciando un viaggio in bicicletta e autostop che li porterà (sperano! io gli faccio molti auguri, ma non ci scommetterei sopra) da Mérida fino a Buenos Aires in 8 mesi. Daniel aveva dimenticato il telefono a casa, uscendo, quindi non ha visto tutti i miei messaggi e chiamate; per farsi perdonare, prepara un buon cuscus e ci mettiamo tutti e quattro a chiacchierare. Vive in uno di quei quartieri/prigione, come li chiamo io, tutti circondati di muri alti e fili elettrici e con la guardia privata all'ingresso, in una casa messagli a disposizione dalla compagnia petrolifera per la quale sta facendo delle ricerche; una casa grande, tanto che ha ben 4 camere da letto, ognuna dotata di bagno privato... possiamo scegliere, grande!
Al mattino lui va al lavoro presto, io aspetto un pò i due giovani ma quelli non si alzano mai ed all'alba delle 10 salgo sulla bicicletta prestatami dal mio anfitrione e pedalo pedalo pedalo fino al parque central (che in realtà è quasi dietro l'angolo) dove sfrutto per una mezz'oretta la connessione wi-fi gratuita; poi, raggiungo il centro. Ciudad del Carmen non è il posto in cui vorreste passare la vita, probabilmente, e neppure io se è per questo, ma è comunque una città dignitosa, in cui l'amministrazione comunale se non altri si dimostra interessata a spendere un pò per abbellire il centro; ecco quindi le chiesette reimbiancate di fresco, il parco dello zocalo ben curato, un lungo mare molto pulito lungo cui varie persone fanno jogging. E, poi, una scoperta eccezziunale veramente: il mercato del pesce. Non per il pesce venduto in sé, ma per il frullare d'ali di decine di uccelli acquatici di tutti i tipi in attesa di uno spuntino: pellicani, aironi, garze e garzette, gabbiani, qualche fregata e persino un falco, nel cielo. Tolgo il freno alla macchina fotografica, che sembra impazzire di gioia, sotto lo sguardo dei venditori che, dietro i loro banchi, gridano l'equivalente di "pesce fresco, pescebbuono!".
Mangio, tanto per cambiare, al mercato (non del pesce, sia chiaro), mentre due tentativi di incontrarsi con la coppietta si scontrano con la loro incapacità di arrivare agli orari che loro stessi decidono (la scusa: sono rimasti in piazza più a lungo per suonare i loro strumenti e guadagnare qualche soldo); ed allora me ne vado alla spiaggia nord, a godermi il vuoto assoluto su una distesa dorata. Alle 17 abbiamo appuntamento con Daniel in casa sua, per andare poi ad un altra spiaggia tutti assieme; tardiamo 10 minuti, e lui nel frattempo è uscito a correre. Quando torna, dobbiamo prima passare dalla sua gelateria preferita, e poi al supermercato e, insomma, ora di andare alla spiaggia è buio e tira pure vento, e quindi optiamo per un picnic sotto le stelle. Gaston spara domande a raffica, saltando di palo in frasca, e Daniel ed io ci divertiamo a provare a rispondergli cercando di essere sempre almeno in un punto in disaccordo per rinvigorire la discussione (ma niente, Gaston è già saltato ad altro argomento): riusciamo a parlare di ricette tradizionali, di filosofia, di estinzione dei dinosauri, di dio e di religione, di astronomia ed astrologia, di vita extraterrestre, di musica, di biciclette e di non so quante altre cose, e tutto mentre mangiamo... Meglio dormirci sopra, va! Ché, tanto per cambiare, mi sono lasciato convincere a fare l'autostop per andare a Campeche, "ché è facile e vedrai che ti tirano su subito", ma chissà perché sento puzza di bruciato e quindi meglio che parta presto...
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inserito il 19/01/2012
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