Incisione litica
Prendete una valle, in cui le acque che vi si riversano dai monti circostanti scavano, nella roccia calcarea, sempre più in profondità. Aggiungete un popolo che, arrivando dall'Arabia, ha bisogno di un sito ottimale per farne la propria capitale, dopo che quelle precedenti sono sempre state distrutte dai terremoti che imperversano nella regione; un popolo abile nei commerci, ma anche dell'architettura, nell'ingegneria, nell'incisione. Spolverate con un pizzico di silicati, di minerali ferrosi, di magma, per aggiungere le giuste e variopinte tonalità dei vari strati litici. Mescolate, ed otterrete quella che milioni di votanti hanno decretato come una delle "sette meraviglie del mondo moderno" (su quel concorso, organizzato principalmente a scopo di lucro, ce ne sarebbe da dire per ore... basti pensare che sono stati milioni i brasiliani partecipanti, e guarda caso il Cristo Redentore di Rio è stato uno dei prescelti, lasciando fuori quisquilie come l'Alhambra, i Moai di Rapanui e i templi di Angkor in Cambogia): Petra.
Ci sono molte versioni sull'origine del nome della capitale nabatea: la più diffusa sostiene la derivazione dal greco, ad indicare appunto la pietra che rappresenta il materiale con cui è stata forgiata. Ma forse più interessante è notare che Batra, o Al Batra (gli arabi non conoscono la lettera P, e le vocali non ci sono nella lingua scritta e quindi spesso variano a seconda di chi le usa), significa "incisione", o "incidere" (la mia fonte, il beduino Mosa, non è stata precisissima al riguardo), e in effetti la città è una spettacolare sequenza di templi e tombe che spuntano dalle pareti rocciose della valle, in molti punti purtroppo consumate da vento e acqua e a volte persino rovinate da iconoclasti del passato e deficienti del presente.
Ospitato da Ibrahim, giovane manager di un bell'hotel caratterizzato da pannelli solari sul tetto per scaldare l'acqua e da una pulizia e cortesia impeccabili, in un comodo stanzino sul tetto (mica posso pretendere di avere una suite... eppoi ho due letti, abbondanti coperte per il freddo notturno, e bagno con doccia bollente a due passi), sono arrivato quattro giorni fa ed ho subito raccolto più informazioni possibili per organizzare al meglio questo soggiorno: considerato che il biglietto per tre giorni, indispensabili per visitare l'intero sito senza morire d'infarto o fare indigestione di antichità, costa la bellezza di 60 JOD (70 euri, più o meno... poi non chiedetemi perché accetto ospitalità sui tetti...), non volevo rischiare di sprecarlo in qualche modo.
E il primo giorno, in effetti, mi ha fatto molto temere: nuvoloso il cielo, con un pò dell'immancabile tempesta di sabbia, e raffreddato io, di uno di quei raffreddori che ti servono fazzoletti in ogni tasca e due aspirine alla volta. Pagato il biglietto (e ripresomi dallo shock) varco il cancello e vengo subito preso di mira da milioni di cavallerizzi beduini che mi offrono un passaggio direttamente sul loro equino o su un calesse trainato dallo stesso. Cortesemente rifiuto, e mi incammino per una strada polverosa e già popolata di turisti; della guida gratuita compresa nel salasso d'ingresso e che dovrebbe essere in zona neanche traccia... Arrivo all'inizio del "siq", lo stretto canyon che i nabatei usavano come zona sacra e che i romani, giunti prima come amici e poi come conquistatori, pavimentarono ed usarono come strada d'ingresso, e comincio la discesa. Ai miei lati, pareti che iniziano biancheggianti a causa dell'alta concentrazione di silicati e che, man mano che si prosegue, diventano rosastre e poi sempre più rosseggianti per il ferro, con strisce fantastiche a volte interrotte da nicchie di varie dimensioni, altorilievi di carovane di cammelli, qualche arbusto e le dighe che sono state ricostruite per bloccare le improvvise piene che non troppi anni fa hanno ucciso vari turisti. Un chilometro e mezzo dopo, arrivo ad un punto che molti hanno già visto nel terzo film di Indiana Jones: si svolta una curva, e in fondo al tunnel compaiono i primi, rosacei dettagli del Khasneh, il "tesoro", una facciata bellissima che il tempo e gli uomini non hanno saputo rovinare. Turisti, cammelli, gatti e venditori ambulanti, tutti lì quasi magnetizzati da quella presenza enorme in uno spazio così angusto... Il percorso prosegue lungo la "strada delle facciate", con tanti altri templi e tombe più o meno in buone condizioni, tutti rigorosamente senza un retro: c'è solo la facciata, attraverso le porte si entra in singole stanze spartanissime e squadrate, con le nicchie che contenevano i corpi ignudi dei defunti. Sembra un set cinematografico, uno di quelli che si usavano per i film western, con tutte le case lungo un'unica strada e dietro il nulla, il vuoto... Ma un vuoto colorato, in questo caso, perché le stanze sono scavate nella stessa roccia arcobaleno degli esterni.
Man mano che avanzo, mi sembra di essere tornato a quelle due stanze del Victoria & Albert Museum di Londra in cui sono esposte copie di opere d'arte di ogni dove, tutte assieme: una Colonna Traiana a fianco di un David, una Pietà a fianco di una Monna Lisa e così via... Qui è lo stesso: i nabatei sapevano prendere il meglio da ogni popolo con cui entravano in contatto, quindi anche gli stili architettonici si alternano, a volte persino si mescolano, con un effetto che è curioso e spettacolare assieme. E peccato che nuovi terremoti non abbiano lasciato in piedi che pochissimi edifici, di quelli che avevano costruito; se no, questa città sarebbe davvero incredibile, invece che solo favolosa.
Ma il tempo non aiuta: la luce è davvero pessima, e fa freddo, quindi mi limito a seguire il percorso principale, lasciando le scalate ai giorni successivi. Il teatro da 7000 posti, i resti di un colonnato che seguiva la strada maestra, un ginnasio che archeologi americani hanno scambiato per un tempio (che ci facevano le piscine nel tempio, non sono ancora riusciti a spiegarlo...), ed un tempio (questo, vero) che ha conservato le sue facciate perché le pietre sono state inframezzate da travi di legno, che hanno assorbito le scosse telluriche. Salgo alcuni scalini per vedere un piccolo e trascurato museo, e in lontananza vedo un cappello a cilindro ed uno da cowboy che mi vengono incontro. Miiii, non ci posso credere! Michael e Tom, i due tedeschi pellegrini conosciuti ad Aqaba, sono qui! Mi raccontano che al confine i doganieri siriani non gli hanno concesso il visto (speriamo non mi facciano lo stesso scherzo, tra qualche giorno), quindi sono venuti a Petra dove hanno acquistato due biglietti non completamente usati per 20 JOD. Ci dividiamo, d'accordo di trovarci poi per cena, e io proseguo per un po', ma il mio raffreddore non migliora, e quindi torno in hotel. Dove fa calduccio, e passo del tempo con Ibrahim che si sta organizzando una vacanza in Thailandia ed a cui fornisco un pò di suggerimenti su posti da visitare. Cena coi tedeschi, come deciso.
Il giorno successivo va già meglio: le aspirine hanno fatto effetto, e c'è pure il sole. Riesco dopo varie insistenze ad ottenere la visita guidata gratuita prevista, anche se in realtà mi accodano ad un gruppetto di francesi che loro la guida la stanno pagando (salterà poi fuori che, per un'incredibile coincidenza, questa guida è George, il fratello di Ibrahim). Con il sole i colori delle cose sono tutta un'altra cosa, e le spiegazioni orali si aggiungono a quelle dei numerosi pannelli illustrativi che punteggiano l'intero sito. Assieme ai francesi, al termine della visita guidata salgo gli 800 scalini che portano in cima ad una montagna fino al cosiddetto "monastero", altro tempio ottimamente conservato la cui presenza scenica è aumentata dal grande spazio aperto del pianoro circostante.
Mangio i miei due panini godendomi la vista, acqua fresca a garganella per non disidratarsi e poi un pò di relax osservando dei turisti spagnoli che si mettono a cantare all'interno dello stanzone del tempio per mettere alla prova l'acustica del luogo. Ridisceso, raggiungo le "tombe reali", quattro bellissimi templi che guadagnano tantissimo dalla luce pomeridiana. Li osservo nei minimi dettagli, poi mi sposto per seguire le operazioni di recupero di un turista che a quanto pare è precipitato mentre si arrampicava in qualche punto in cui non doveva... 3 ambulanze, 3 macchine della polizia, un sacco di gente che corre su e giù inerpicandosi come capre con funi e barelle, ma passano più di due ore e mezza prima che lo portino giù (e non si capisce se è morto o vivo, perché l'ambulanza non sembra avere particolare fretta; forse gli elicotteri da queste parti non sanno neppure cosa sono...).
Incontro una coppia di olandesi, che mi danno uno strappo fino all'hotel, perché anche Wadi Mousa ovvero il paese che fa da base per visitare Petra è costruito tutto in salita (o discesa, a seconda di da dove lo si guarda) all'interno di una vallata semicircolare, e con i quali mi accorgo per fare un giro particolare il giorno dopo. Con i due tedeschi invece scendo in città per trovare un ristorante finalmente onesto, dato che qui tutti ti propinano il menu turistico, ma il loro abbigliamento attira l'attenzione di un paio di beduini in macchina che, incuriositi, ci propongono di passare la serata assieme in una loro tradizionale caverna non lontano dalla città (a quanto pare molti beduini della zona, che prima vivevano nelle grotte, si sono trasferiti nelle case messe a disposizione dal governo, conservando però la proprietà della loro precedente abitazione, che ora usano come seconda casa per le scampagnate). Accettiamo, anche se un pò insospettiti, e così andiamo in sei con un gippone armati di cibo, legna per il fuoco e immancabile strumento musicale simil-mandolinico. La serata è simpatica, la musica buona, il cibo anche, ma quando torniamo in città ci chiedono di "partecipare alle spese" con un cifra che non è davvero simbolica: 10 JOD a testa. Ci rifiutiamo, facendo presente che ci hanno invitato loro, e accettiamo di pagare solo la nostra parte di cibo, e non benzina e legna ed altre amenità; non ne sono molto contenti, speravano di aver trovato i polli da spennare, ma noi siamo decisi e alla fine ce la caviamo con 3 JOD (che è comunque meno di quanto avremmo speso al ristorante, ladro pure esso) ed un ricordo un pò sporcato dal loro comportamento.
Ultimo giorno di validità del biglietto, ed il sole è ancora alto, con solo qualche nube di passaggio ogni tanto. Con i due olandesi a passo abbastanza spedito ripercorro la solita strada, e arrivato alle tombe reali comincio a salire una scalinata che ci porta dritti dritti ad uno sperone di roccia che concede una vista particolare del "tesoro", dall'alto. L'orario è perfetto, il sole batte ancora sulla facciata, non c'e quasi nessuno e ci godiamo contenti il successo dell'operazione "sperone solitario". Ridiscendiamo, ed io comincio a salire un'altra scalinata, che mi porta alla "spianata del sacrificio", che offre un'ottima vista sui monti circostanti e pure su alcune parti della città sottostante. È pure il punto giusto per pranzare, e farsi un mezzo pisolino crogiolandosi al sole, con quell'arietta dolce che soffia e concilia il sonno. Scendo poi dalla parte opposta, un cammino che a quanto pare era processionale e che è costellato di altri splendidi templi, di nuovo con colori superlativi. Due gatti mi accolgono vicino ad una cisterna in pietra che, eoni fa, irrigava un giardino di fronte ad una tomba; ma sono sonnacchiosi anche loro, un paio di fusa e poi sono di nuovo stesi all'ultimo sole. Mi godo l'arrivo del tramonto da un'altura che da sulle tombe reali, ma non lo aspetto, ed è una fortuna, perché reincontro l'accompagnatrice del gruppo di francesi con cui scambio un pò di impressioni (conosce bene la Giordania, per averci lavorato da ormai cinque anni, anche se stranamente non parla arabo), e soprattutto perché arrivo in tempo al mio tetto per fotografare delle nubi infuocate dal sole che va a dormire... e credetemi: dopo la tempesta di sabbia del primo mattino, questo è tutto un altro spettacolo...
Ora, riprenderò il cammino verso nord, sperando che il tempo sia mite.
Ci sono molte versioni sull'origine del nome della capitale nabatea: la più diffusa sostiene la derivazione dal greco, ad indicare appunto la pietra che rappresenta il materiale con cui è stata forgiata. Ma forse più interessante è notare che Batra, o Al Batra (gli arabi non conoscono la lettera P, e le vocali non ci sono nella lingua scritta e quindi spesso variano a seconda di chi le usa), significa "incisione", o "incidere" (la mia fonte, il beduino Mosa, non è stata precisissima al riguardo), e in effetti la città è una spettacolare sequenza di templi e tombe che spuntano dalle pareti rocciose della valle, in molti punti purtroppo consumate da vento e acqua e a volte persino rovinate da iconoclasti del passato e deficienti del presente.
Ospitato da Ibrahim, giovane manager di un bell'hotel caratterizzato da pannelli solari sul tetto per scaldare l'acqua e da una pulizia e cortesia impeccabili, in un comodo stanzino sul tetto (mica posso pretendere di avere una suite... eppoi ho due letti, abbondanti coperte per il freddo notturno, e bagno con doccia bollente a due passi), sono arrivato quattro giorni fa ed ho subito raccolto più informazioni possibili per organizzare al meglio questo soggiorno: considerato che il biglietto per tre giorni, indispensabili per visitare l'intero sito senza morire d'infarto o fare indigestione di antichità, costa la bellezza di 60 JOD (70 euri, più o meno... poi non chiedetemi perché accetto ospitalità sui tetti...), non volevo rischiare di sprecarlo in qualche modo.
E il primo giorno, in effetti, mi ha fatto molto temere: nuvoloso il cielo, con un pò dell'immancabile tempesta di sabbia, e raffreddato io, di uno di quei raffreddori che ti servono fazzoletti in ogni tasca e due aspirine alla volta. Pagato il biglietto (e ripresomi dallo shock) varco il cancello e vengo subito preso di mira da milioni di cavallerizzi beduini che mi offrono un passaggio direttamente sul loro equino o su un calesse trainato dallo stesso. Cortesemente rifiuto, e mi incammino per una strada polverosa e già popolata di turisti; della guida gratuita compresa nel salasso d'ingresso e che dovrebbe essere in zona neanche traccia... Arrivo all'inizio del "siq", lo stretto canyon che i nabatei usavano come zona sacra e che i romani, giunti prima come amici e poi come conquistatori, pavimentarono ed usarono come strada d'ingresso, e comincio la discesa. Ai miei lati, pareti che iniziano biancheggianti a causa dell'alta concentrazione di silicati e che, man mano che si prosegue, diventano rosastre e poi sempre più rosseggianti per il ferro, con strisce fantastiche a volte interrotte da nicchie di varie dimensioni, altorilievi di carovane di cammelli, qualche arbusto e le dighe che sono state ricostruite per bloccare le improvvise piene che non troppi anni fa hanno ucciso vari turisti. Un chilometro e mezzo dopo, arrivo ad un punto che molti hanno già visto nel terzo film di Indiana Jones: si svolta una curva, e in fondo al tunnel compaiono i primi, rosacei dettagli del Khasneh, il "tesoro", una facciata bellissima che il tempo e gli uomini non hanno saputo rovinare. Turisti, cammelli, gatti e venditori ambulanti, tutti lì quasi magnetizzati da quella presenza enorme in uno spazio così angusto... Il percorso prosegue lungo la "strada delle facciate", con tanti altri templi e tombe più o meno in buone condizioni, tutti rigorosamente senza un retro: c'è solo la facciata, attraverso le porte si entra in singole stanze spartanissime e squadrate, con le nicchie che contenevano i corpi ignudi dei defunti. Sembra un set cinematografico, uno di quelli che si usavano per i film western, con tutte le case lungo un'unica strada e dietro il nulla, il vuoto... Ma un vuoto colorato, in questo caso, perché le stanze sono scavate nella stessa roccia arcobaleno degli esterni.
Man mano che avanzo, mi sembra di essere tornato a quelle due stanze del Victoria & Albert Museum di Londra in cui sono esposte copie di opere d'arte di ogni dove, tutte assieme: una Colonna Traiana a fianco di un David, una Pietà a fianco di una Monna Lisa e così via... Qui è lo stesso: i nabatei sapevano prendere il meglio da ogni popolo con cui entravano in contatto, quindi anche gli stili architettonici si alternano, a volte persino si mescolano, con un effetto che è curioso e spettacolare assieme. E peccato che nuovi terremoti non abbiano lasciato in piedi che pochissimi edifici, di quelli che avevano costruito; se no, questa città sarebbe davvero incredibile, invece che solo favolosa.
Ma il tempo non aiuta: la luce è davvero pessima, e fa freddo, quindi mi limito a seguire il percorso principale, lasciando le scalate ai giorni successivi. Il teatro da 7000 posti, i resti di un colonnato che seguiva la strada maestra, un ginnasio che archeologi americani hanno scambiato per un tempio (che ci facevano le piscine nel tempio, non sono ancora riusciti a spiegarlo...), ed un tempio (questo, vero) che ha conservato le sue facciate perché le pietre sono state inframezzate da travi di legno, che hanno assorbito le scosse telluriche. Salgo alcuni scalini per vedere un piccolo e trascurato museo, e in lontananza vedo un cappello a cilindro ed uno da cowboy che mi vengono incontro. Miiii, non ci posso credere! Michael e Tom, i due tedeschi pellegrini conosciuti ad Aqaba, sono qui! Mi raccontano che al confine i doganieri siriani non gli hanno concesso il visto (speriamo non mi facciano lo stesso scherzo, tra qualche giorno), quindi sono venuti a Petra dove hanno acquistato due biglietti non completamente usati per 20 JOD. Ci dividiamo, d'accordo di trovarci poi per cena, e io proseguo per un po', ma il mio raffreddore non migliora, e quindi torno in hotel. Dove fa calduccio, e passo del tempo con Ibrahim che si sta organizzando una vacanza in Thailandia ed a cui fornisco un pò di suggerimenti su posti da visitare. Cena coi tedeschi, come deciso.
Il giorno successivo va già meglio: le aspirine hanno fatto effetto, e c'è pure il sole. Riesco dopo varie insistenze ad ottenere la visita guidata gratuita prevista, anche se in realtà mi accodano ad un gruppetto di francesi che loro la guida la stanno pagando (salterà poi fuori che, per un'incredibile coincidenza, questa guida è George, il fratello di Ibrahim). Con il sole i colori delle cose sono tutta un'altra cosa, e le spiegazioni orali si aggiungono a quelle dei numerosi pannelli illustrativi che punteggiano l'intero sito. Assieme ai francesi, al termine della visita guidata salgo gli 800 scalini che portano in cima ad una montagna fino al cosiddetto "monastero", altro tempio ottimamente conservato la cui presenza scenica è aumentata dal grande spazio aperto del pianoro circostante.
Mangio i miei due panini godendomi la vista, acqua fresca a garganella per non disidratarsi e poi un pò di relax osservando dei turisti spagnoli che si mettono a cantare all'interno dello stanzone del tempio per mettere alla prova l'acustica del luogo. Ridisceso, raggiungo le "tombe reali", quattro bellissimi templi che guadagnano tantissimo dalla luce pomeridiana. Li osservo nei minimi dettagli, poi mi sposto per seguire le operazioni di recupero di un turista che a quanto pare è precipitato mentre si arrampicava in qualche punto in cui non doveva... 3 ambulanze, 3 macchine della polizia, un sacco di gente che corre su e giù inerpicandosi come capre con funi e barelle, ma passano più di due ore e mezza prima che lo portino giù (e non si capisce se è morto o vivo, perché l'ambulanza non sembra avere particolare fretta; forse gli elicotteri da queste parti non sanno neppure cosa sono...).
Incontro una coppia di olandesi, che mi danno uno strappo fino all'hotel, perché anche Wadi Mousa ovvero il paese che fa da base per visitare Petra è costruito tutto in salita (o discesa, a seconda di da dove lo si guarda) all'interno di una vallata semicircolare, e con i quali mi accorgo per fare un giro particolare il giorno dopo. Con i due tedeschi invece scendo in città per trovare un ristorante finalmente onesto, dato che qui tutti ti propinano il menu turistico, ma il loro abbigliamento attira l'attenzione di un paio di beduini in macchina che, incuriositi, ci propongono di passare la serata assieme in una loro tradizionale caverna non lontano dalla città (a quanto pare molti beduini della zona, che prima vivevano nelle grotte, si sono trasferiti nelle case messe a disposizione dal governo, conservando però la proprietà della loro precedente abitazione, che ora usano come seconda casa per le scampagnate). Accettiamo, anche se un pò insospettiti, e così andiamo in sei con un gippone armati di cibo, legna per il fuoco e immancabile strumento musicale simil-mandolinico. La serata è simpatica, la musica buona, il cibo anche, ma quando torniamo in città ci chiedono di "partecipare alle spese" con un cifra che non è davvero simbolica: 10 JOD a testa. Ci rifiutiamo, facendo presente che ci hanno invitato loro, e accettiamo di pagare solo la nostra parte di cibo, e non benzina e legna ed altre amenità; non ne sono molto contenti, speravano di aver trovato i polli da spennare, ma noi siamo decisi e alla fine ce la caviamo con 3 JOD (che è comunque meno di quanto avremmo speso al ristorante, ladro pure esso) ed un ricordo un pò sporcato dal loro comportamento.
Ultimo giorno di validità del biglietto, ed il sole è ancora alto, con solo qualche nube di passaggio ogni tanto. Con i due olandesi a passo abbastanza spedito ripercorro la solita strada, e arrivato alle tombe reali comincio a salire una scalinata che ci porta dritti dritti ad uno sperone di roccia che concede una vista particolare del "tesoro", dall'alto. L'orario è perfetto, il sole batte ancora sulla facciata, non c'e quasi nessuno e ci godiamo contenti il successo dell'operazione "sperone solitario". Ridiscendiamo, ed io comincio a salire un'altra scalinata, che mi porta alla "spianata del sacrificio", che offre un'ottima vista sui monti circostanti e pure su alcune parti della città sottostante. È pure il punto giusto per pranzare, e farsi un mezzo pisolino crogiolandosi al sole, con quell'arietta dolce che soffia e concilia il sonno. Scendo poi dalla parte opposta, un cammino che a quanto pare era processionale e che è costellato di altri splendidi templi, di nuovo con colori superlativi. Due gatti mi accolgono vicino ad una cisterna in pietra che, eoni fa, irrigava un giardino di fronte ad una tomba; ma sono sonnacchiosi anche loro, un paio di fusa e poi sono di nuovo stesi all'ultimo sole. Mi godo l'arrivo del tramonto da un'altura che da sulle tombe reali, ma non lo aspetto, ed è una fortuna, perché reincontro l'accompagnatrice del gruppo di francesi con cui scambio un pò di impressioni (conosce bene la Giordania, per averci lavorato da ormai cinque anni, anche se stranamente non parla arabo), e soprattutto perché arrivo in tempo al mio tetto per fotografare delle nubi infuocate dal sole che va a dormire... e credetemi: dopo la tempesta di sabbia del primo mattino, questo è tutto un altro spettacolo...
Ora, riprenderò il cammino verso nord, sperando che il tempo sia mite.
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inserito il 22/02/2011
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