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Sapore di sale, sapore di mare
Lasciata la capitale, faccio rotta per il Brasile, fermandomi in due località sulla costa: Piriapolis e Cabo Polonio.
La prima è una località che vive un pò all'ombra della rinomata internazionalmente Punta del Este, a soli 30 km. Non ha però niente da invidiarle, almeno per quel mi riguarda: le spiagge sono belle e pulite, c'è un numero sufficiente di ristoranti, e la non abbondanza di turisti non può farmi che piacere. L'acqua sta diventando salata: la vicinanza dell'Oceano Atlantico, fino ad ora tenuto a bada dalla corrente del Rio della Plata, si fa sentire sempre più, e con essa cambia la fauna marina... leoni marini e pinguini non sono degli estranei, ed io visito un centro di recupero e salvataggio per animali dove faccio conoscenza con Richard ed i suoi amici a 2 e 4 zampe (il re dello show è un pinguino imperatore, alto circa mezzo metro, che sembra volersi impicciare di tutto ciò che accade nei dintorni e si aggira a passo ondeggiante e pensieroso lungo il tavolato insabbiato del ristorantino annesso, come un cameriere in miniatura che non bada alla clientela.
Piriapolis prende il nome da un tale signor Piria, che dopo anni di studi di alchimia e cose simili decise di costruire un luogo che fosse bioenergeticamente utile all'animo umano. Non so cosa direbbe di quello che c'è ora, specialmente dei prezzi che più ci si allontana da Montevideo e più sembrano lievitare, ma forse non si lamenterebbe troppo, e scenderebbe al porto a comprare un pò di pesce fritto fritto appena preparato dai pescatori.
Io vi incontro Darwin, ragazzo uruguagio che ha lavorato per un anno e mezzo in Italia, dopo aver giocato per un pò nel Mantova (giovanili o professioniste, chi lo sa?); facciamo amicizia, gli piace parlare italiano, e assieme con i suoi amici passiamo una serata divertente in uno dei pochi locali aperti durante la settimana.
Dopo due giorni, riparto, e afferrando un paio di bus per il rotto della cuffia arrivo a Cabo Polonio.
Trattasi di ex-villaggio di pescatori, trasformatosi in qualcosa di più adatto al turismo, e che però rimane isolato dalle enormi dune di sabbia che costituiscono la peculiarità della zona; per raggiugerlo, si salta in groppa ad enormi camion dalle ruote giganti e dal cassone posteriore dotato di intelaiature d'acciaio e scomode panche di legno. Vago per due ore senza trovare alloggio (mancano corrente e telefono, non si può prenotare anteriormente), ma in compenso ritrovo Paco, il messicano conosciuto ad Iquitos e incontrato per caso per le strade di Buenos Aires qualche settimana fa: lui sta partendo, ma passiamo un paio d'ore (dopo che ho trovato una camera) sostanzialmente a parlare di quanta sfortuna abbiamo a continuare ad incontrarci...
Visita al faro (con osservazione del tramonto e contemporanea accensione della grande lampada), camminata mattutina sulle dune per qualche chilometro, visita alla piccola colonia di leoni marini scacciati dall'isola dove i maschi più grandi si stanno sollazzando con i loro harem, e poi relax in spiaggia o, alla luce di una candela, nell'amaca dell'alloggio: queste sono le cose che si possono fare a Cabo Polonio, e per fortuna che a rompere la monotonia ci pensa l'arrivo di un gruppo di 200 gauchos a cavallo (mi dicono che è una tradizione annuale, ma in realtà nessuno sa bene perché lo fanno).
E, poi, c'è il totocasa: apparentemente, tutte le costruzioni di Cabo Polonio (che prende il nome da uno dei tanti vascelli naufragati nelle acque circostanti) sono abusive, inquantoché una legge dello Stato proibisce l'edificazione a meno di 200 metri dalla linea dell'alta marea... le tireranno giù, come promettono? O anche questa volta non accadrà nulla? E quali demoliranno per prime?
Non ho abbastanza tempo per attendere la soluzione di questo mistero, il mio bus parte, e in un paio d'ore arrivo a Chuy, località di frontiera col Brasile; e sono di nuovo in terra (ex) portoghese.
La prima è una località che vive un pò all'ombra della rinomata internazionalmente Punta del Este, a soli 30 km. Non ha però niente da invidiarle, almeno per quel mi riguarda: le spiagge sono belle e pulite, c'è un numero sufficiente di ristoranti, e la non abbondanza di turisti non può farmi che piacere. L'acqua sta diventando salata: la vicinanza dell'Oceano Atlantico, fino ad ora tenuto a bada dalla corrente del Rio della Plata, si fa sentire sempre più, e con essa cambia la fauna marina... leoni marini e pinguini non sono degli estranei, ed io visito un centro di recupero e salvataggio per animali dove faccio conoscenza con Richard ed i suoi amici a 2 e 4 zampe (il re dello show è un pinguino imperatore, alto circa mezzo metro, che sembra volersi impicciare di tutto ciò che accade nei dintorni e si aggira a passo ondeggiante e pensieroso lungo il tavolato insabbiato del ristorantino annesso, come un cameriere in miniatura che non bada alla clientela.
Piriapolis prende il nome da un tale signor Piria, che dopo anni di studi di alchimia e cose simili decise di costruire un luogo che fosse bioenergeticamente utile all'animo umano. Non so cosa direbbe di quello che c'è ora, specialmente dei prezzi che più ci si allontana da Montevideo e più sembrano lievitare, ma forse non si lamenterebbe troppo, e scenderebbe al porto a comprare un pò di pesce fritto fritto appena preparato dai pescatori.
Io vi incontro Darwin, ragazzo uruguagio che ha lavorato per un anno e mezzo in Italia, dopo aver giocato per un pò nel Mantova (giovanili o professioniste, chi lo sa?); facciamo amicizia, gli piace parlare italiano, e assieme con i suoi amici passiamo una serata divertente in uno dei pochi locali aperti durante la settimana.
Dopo due giorni, riparto, e afferrando un paio di bus per il rotto della cuffia arrivo a Cabo Polonio.
Trattasi di ex-villaggio di pescatori, trasformatosi in qualcosa di più adatto al turismo, e che però rimane isolato dalle enormi dune di sabbia che costituiscono la peculiarità della zona; per raggiugerlo, si salta in groppa ad enormi camion dalle ruote giganti e dal cassone posteriore dotato di intelaiature d'acciaio e scomode panche di legno. Vago per due ore senza trovare alloggio (mancano corrente e telefono, non si può prenotare anteriormente), ma in compenso ritrovo Paco, il messicano conosciuto ad Iquitos e incontrato per caso per le strade di Buenos Aires qualche settimana fa: lui sta partendo, ma passiamo un paio d'ore (dopo che ho trovato una camera) sostanzialmente a parlare di quanta sfortuna abbiamo a continuare ad incontrarci...
Visita al faro (con osservazione del tramonto e contemporanea accensione della grande lampada), camminata mattutina sulle dune per qualche chilometro, visita alla piccola colonia di leoni marini scacciati dall'isola dove i maschi più grandi si stanno sollazzando con i loro harem, e poi relax in spiaggia o, alla luce di una candela, nell'amaca dell'alloggio: queste sono le cose che si possono fare a Cabo Polonio, e per fortuna che a rompere la monotonia ci pensa l'arrivo di un gruppo di 200 gauchos a cavallo (mi dicono che è una tradizione annuale, ma in realtà nessuno sa bene perché lo fanno).
E, poi, c'è il totocasa: apparentemente, tutte le costruzioni di Cabo Polonio (che prende il nome da uno dei tanti vascelli naufragati nelle acque circostanti) sono abusive, inquantoché una legge dello Stato proibisce l'edificazione a meno di 200 metri dalla linea dell'alta marea... le tireranno giù, come promettono? O anche questa volta non accadrà nulla? E quali demoliranno per prime?
Non ho abbastanza tempo per attendere la soluzione di questo mistero, il mio bus parte, e in un paio d'ore arrivo a Chuy, località di frontiera col Brasile; e sono di nuovo in terra (ex) portoghese.
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inserito il 19/02/2006
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