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Un che di veneziano sorbendo il tererè
La società paraguayana è intrisa in tutti gli aspetti della cultura Guaranì, quella dei precedenti (all'invasione spagnola) abitanti di questa terra e che rimangono, in alcune tribù, quasi allo stato originario. Ma se la loro grandezza si è persa, non così il loro modo di pensare, di vivere: sto leggendo un libro al riguardo, ma me ne accorgo senza problemi semplicemente passeggiando per le strade o parlando con la gente. Sono, per esempio, molto pronti alla condivisione, ma allo stesso tempo timidi verso gli estranei; di mentalità più legata ad un modo di vivere spartano, come quello di una tribù, che moderno, pare non si trovino completamente a loro agio in una società che dopo molte dittature è giunta finalmente (!) al livello di una sana democrazia burocraticamente corrotta.
Asuncion, la capitale, ne è la testimonianza: quasi niente di interessante per il turista, la gente che tende a sparire ben presto dalle strade (sto parlando del mattino, non della notte!) per il calore insopportabile, tutto o quasi chiude per le 19-20, e le guardie del palazzo di Governo (o, meglio, gli 007 in dopio petto nero) sono imbecillamente scortesi con chiunque non conoscano... poche eccezioni, anche se di valore: come Ricardo Flecha, cantante che incontro nella Casa della Cultura, e che mi racconta del loro progetto di rivalutare il Guaranì come lingua (è, tra l'altro, materia obbligatoria a scuola) producendo dischi con canzoni di cantanti sudamericani famosi tradotte nella lingua india (e cantate dagli stessi autori, il che è rimarchevole!), e della voglia di fare uscire dalla "Riserva" una cultura che sentono propria...
... come quella tradizione inviolabile del "tererè", il sorbire acqua fredda con un infuso di erbe medicinali in compagnia (farlo da soli è da stralunati, dicono) che è simile alla cerimonia argentina del mate ma che li rende particolarmente buffi quando li vedi andare in giro per le strade inclinati da un lato perché sorreggono termos plastici da due litri e più di acqua gelata (il primo che gli inventa una tanica da spalla fa i miliardi, qui!)... il tererè serve per passare (anzi, per perdere) il tempo, assieme ad altri, senza affanni e senza recriminazioni... ma a che serve il tempo se non a goderselo, pensano i paraguayani (ed io, difficilmente, gli do torto)...
E la loro lingua è così buffa: piena di vocali e consonanti sapientemente amalgamate, tanto che a volte l'ordine delle lettere in una parola viene modificato per renderla più scorrevole all'udito, sembra molto il dialetto veneziano (e quando parlano in spagnolo, la cosa si fa più marcata: sembrano un qualsiasi mestricolo o chioggiotto che abbia appena terminato un corso accelerato della lingua di Cervantes!)... son buffi, e spesso mi vien da ridere e mi affretto a spiegarli la ragione affinché non si alterino (una delle prime regole: mai offendere troppo un paraguayano, son capaci di gesti inconsulti e rapidissimi).
Da Asuncion vado a visitare Itauguà, dove vengono fatti a mano i famosi tessuti "Ñanduti" (o tela di ragno); mi dicono che la tradizione si sta un pò perdendo, che le giovani non vogliono apprendere l'arte interessate più nella produzione rapida che vende facilmente ai turisti, ma mentre una signora mi illustra il lento ed attento processo di realizzazione di una tovaglia non posso fare a meno di pensare che cose così non spariscono mai del tutto, che rimangono sempre gli aficionados a custodirle.
E proseguo per San Bernardino, località turistica per eccellenza, in riva al lago più grande del Paese (sarà anche l'unico?). Mi stupisce la carenza di ricettività alberghiera, ma pare che qui quasi tutti abbiano la loro casetta e quindi di hotel non gliene importa poi molto. Alloggio in un campeggio a 2 km dal centro, economico ma la strada avanti e indietro mi fa rimpiangere di non avere le rotelle sotto i sandali. Mi godo il lago (ma perché la gente preferisce la piscina, quando ce l'ha a portata di mano?), guardando oziosamente stile ippopotamo accaldato le evoluzioni dei centauri in sella alle loro moto d'acqua, e m'aggiro per la cittadina che al venerdì pare fantasma ma al sabato si anima: un pò per le discoteche, un pò per l'atteso concerto dei Bacilos (alcune canzoni le trovate nella sezione Download della mia parte del sito) che apparentemente sarà l'ultimo prima dello scioglimento e che, sebbene cominciato con un'oretta di ritardo per motivi tecnici, ci tiene con occhi e orecchie avvinti al palcoscenico ben oltre la mezzanotte.
E la domenica si riparte, destinazione Yataity Norte, oscuro luogo dove guazzano gli esperantisti locali...
Asuncion, la capitale, ne è la testimonianza: quasi niente di interessante per il turista, la gente che tende a sparire ben presto dalle strade (sto parlando del mattino, non della notte!) per il calore insopportabile, tutto o quasi chiude per le 19-20, e le guardie del palazzo di Governo (o, meglio, gli 007 in dopio petto nero) sono imbecillamente scortesi con chiunque non conoscano... poche eccezioni, anche se di valore: come Ricardo Flecha, cantante che incontro nella Casa della Cultura, e che mi racconta del loro progetto di rivalutare il Guaranì come lingua (è, tra l'altro, materia obbligatoria a scuola) producendo dischi con canzoni di cantanti sudamericani famosi tradotte nella lingua india (e cantate dagli stessi autori, il che è rimarchevole!), e della voglia di fare uscire dalla "Riserva" una cultura che sentono propria...
... come quella tradizione inviolabile del "tererè", il sorbire acqua fredda con un infuso di erbe medicinali in compagnia (farlo da soli è da stralunati, dicono) che è simile alla cerimonia argentina del mate ma che li rende particolarmente buffi quando li vedi andare in giro per le strade inclinati da un lato perché sorreggono termos plastici da due litri e più di acqua gelata (il primo che gli inventa una tanica da spalla fa i miliardi, qui!)... il tererè serve per passare (anzi, per perdere) il tempo, assieme ad altri, senza affanni e senza recriminazioni... ma a che serve il tempo se non a goderselo, pensano i paraguayani (ed io, difficilmente, gli do torto)...
E la loro lingua è così buffa: piena di vocali e consonanti sapientemente amalgamate, tanto che a volte l'ordine delle lettere in una parola viene modificato per renderla più scorrevole all'udito, sembra molto il dialetto veneziano (e quando parlano in spagnolo, la cosa si fa più marcata: sembrano un qualsiasi mestricolo o chioggiotto che abbia appena terminato un corso accelerato della lingua di Cervantes!)... son buffi, e spesso mi vien da ridere e mi affretto a spiegarli la ragione affinché non si alterino (una delle prime regole: mai offendere troppo un paraguayano, son capaci di gesti inconsulti e rapidissimi).
Da Asuncion vado a visitare Itauguà, dove vengono fatti a mano i famosi tessuti "Ñanduti" (o tela di ragno); mi dicono che la tradizione si sta un pò perdendo, che le giovani non vogliono apprendere l'arte interessate più nella produzione rapida che vende facilmente ai turisti, ma mentre una signora mi illustra il lento ed attento processo di realizzazione di una tovaglia non posso fare a meno di pensare che cose così non spariscono mai del tutto, che rimangono sempre gli aficionados a custodirle.
E proseguo per San Bernardino, località turistica per eccellenza, in riva al lago più grande del Paese (sarà anche l'unico?). Mi stupisce la carenza di ricettività alberghiera, ma pare che qui quasi tutti abbiano la loro casetta e quindi di hotel non gliene importa poi molto. Alloggio in un campeggio a 2 km dal centro, economico ma la strada avanti e indietro mi fa rimpiangere di non avere le rotelle sotto i sandali. Mi godo il lago (ma perché la gente preferisce la piscina, quando ce l'ha a portata di mano?), guardando oziosamente stile ippopotamo accaldato le evoluzioni dei centauri in sella alle loro moto d'acqua, e m'aggiro per la cittadina che al venerdì pare fantasma ma al sabato si anima: un pò per le discoteche, un pò per l'atteso concerto dei Bacilos (alcune canzoni le trovate nella sezione Download della mia parte del sito) che apparentemente sarà l'ultimo prima dello scioglimento e che, sebbene cominciato con un'oretta di ritardo per motivi tecnici, ci tiene con occhi e orecchie avvinti al palcoscenico ben oltre la mezzanotte.
E la domenica si riparte, destinazione Yataity Norte, oscuro luogo dove guazzano gli esperantisti locali...
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Commenti
Il giorno 20/01/2006, Lidia ha scritto...
Il giorno 20/01/2006, Daniele ha scritto...
Non è che il gesto sia rapidissimo in sé stesso, è il paraguayano che come faglia tettonica arriva ad un momento in cui lo stress è tanto che esplode di botto, senza pensare... e spesso senza poi potersi spiegare esattamente cosa è successo... ora provo ad insultarne qualcuno, e poi vedo di raccontarti se rimango vivo :-)
Il giorno 21/01/2006, Jorge Tarducci ha scritto...
Il giorno 24/01/2006, Roberto da Buenos Aires ha scritto...
Il giorno 25/01/2006, Chiara ha scritto...
Parli di invenzioni banali che possono rendere ricchi, beh, allora facci un pensiero a come studiare la Camelbag (la usano anche i ciclisti, è uno zaino con cannuccia) per i Paraguaiani.
Pensa che un italiano, Salvo Dandone, ha creato le zollette monodose per salare la pasta e dopo averle esportate in mezzo mondo (con un giro d'affari che ha superato i 500 mila euro nel 2005)punta sui single italiani. Per dettagli, pag. 239 di Panorama del 10/11/05
Pensa che un italiano, Salvo Dandone, ha creato le zollette monodose per salare la pasta e dopo averle esportate in mezzo mondo (con un giro d'affari che ha superato i 500 mila euro nel 2005)punta sui single italiani. Per dettagli, pag. 239 di Panorama del 10/11/05
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inserito il 16/01/2006
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