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C'é una nuova luce alla fine del sentiero
Molto spesso si parla di luoghi che non esistono, come Avalon ed Atlantide. A volte, peró, capita si cerchi di non parlare di luoghi che esistono, nella falsa illusione che il silenzio li faccia dimenticare.
É, questa, la sorte di Ayacucho.
Da quando, negli anni 80, un professore di filosofia instilló in molti giovani locali l'idea che attraverso la lotta armata si sarebbe potuto (e dovuto) combattere le ingiustizie sociali, la regione peruviana che sta tra Cusco e Lima , tra la costa e la selva, è stata il teatro della piì tragica guerra civile che l'America del Sud abbia conosciuto. Sendero Luminoso, questo il nome della formazione maoista ribelle, ha iniziato aiutando le popolazioni locali, spesso derubando carichi di merci per distribuirli in una sorta di Robinhoodato latino; ma si è presto trasformata nella loro nemesi, attaccando le comunità e uccidendo a sangue freddo tutti coloro che tentavano (o avrebbero potuto tentare) di opporsi. Lo Stato reagì duramente, anche se all'inizio molto disorganizzatamente: rappresaglie, eliminazione di sospetti, interrogatori indistinguibili dalle torture... una lotta che in pochi anni ha portato via le vite di (pare) 60000 persone, distribuendo le colpe quasi a metà tra le due parti... soprattutto, una guerra che ha distrutto vite, ha tolto speranze, ha in molti casi reso inutili i sogni di molti. Il resto del Perù, quasi per paura di voler affrontare le proprie paure, se non per una forma di razzismo strisciante che permane in questa società multietnica, ha voltato la faccia dall'altra parte, e stenta ancora a crederci.
Una situazione identica a quella vissuta dalla Cambogia, anche se in dimensioni ridotte e, per fortuna, senza l'incubo delle mine antiuomo disseminate ovunque.
Una situazione a cui, alcuni, dopo aver resistito cercano di porre rimedio. Come Fausto, tessitore di 30 anni che nel giro di due giorni è diventato mio amico, accogliendomi prima in casa sua e poi nella sua cerchia di amici artigiani. Fausto, orfano di padre, ha appreso fin da piccolo l'arte della preparazione di tappeti, un'arte che nella zona è un vanto per raffinatezza di tecnica e professionalità; ora ha un laboratorio con molti telai, dove compone opere su commissione o di sua ispirazione (in queste ultime, cerca di raccontare le storie del passato e del presente), e dove soprattutto offre la possibilità a qualsiasi giovane voglia imparare di farlo, di fare pratica, di cominciare a guadagnarsi un soldo onesto.
Silvestre, suo amico e collega, costruisce "Retablos", casse di legno con all'interno moltitudini di statuine per rappresentare eventi religiosi o di altra natura. Il suo capolavoro, fin'ora, è una costruzione a più piani, che rappresenta il "dolore della madre andina", causato dalle continue lotte di fratello contro fratello. Lui si è salvato in quegli anni perché aveva un lavoro, perché non si è fatto irretire da false promesse, perché si è dato da fare per far avverare il suo sogno. E perché, mi dice, ha avuto fortuna. Ora, con Fausto e gli altri, vuole offrire un'opportunità a chi fortuna ne ha avuta di meno, o non ne ha avuta affatto: stanno cercando di riunirsi in una associazione, per poter proteggere il loro lavoro e per creare qualcosa che serva anche alla comunità.
Una luce, stanno accendendo. Piccola quanto si voglia, ma una luce di speranza, dopo quella che ha portato molto dolore. A loro, a questi amici che il caso mi ha fatto incontrare, auguro molta fortuna; per loro, per i loro figli (il figlio maggiore di Fausto e Mercedes si chiama "Diosdado", ovvero "Donato da Dio") e per la loro piccola grande comunità. E, forse, anche per quel Perù che volta la testa dall'altra parte.
É, questa, la sorte di Ayacucho.
Da quando, negli anni 80, un professore di filosofia instilló in molti giovani locali l'idea che attraverso la lotta armata si sarebbe potuto (e dovuto) combattere le ingiustizie sociali, la regione peruviana che sta tra Cusco e Lima , tra la costa e la selva, è stata il teatro della piì tragica guerra civile che l'America del Sud abbia conosciuto. Sendero Luminoso, questo il nome della formazione maoista ribelle, ha iniziato aiutando le popolazioni locali, spesso derubando carichi di merci per distribuirli in una sorta di Robinhoodato latino; ma si è presto trasformata nella loro nemesi, attaccando le comunità e uccidendo a sangue freddo tutti coloro che tentavano (o avrebbero potuto tentare) di opporsi. Lo Stato reagì duramente, anche se all'inizio molto disorganizzatamente: rappresaglie, eliminazione di sospetti, interrogatori indistinguibili dalle torture... una lotta che in pochi anni ha portato via le vite di (pare) 60000 persone, distribuendo le colpe quasi a metà tra le due parti... soprattutto, una guerra che ha distrutto vite, ha tolto speranze, ha in molti casi reso inutili i sogni di molti. Il resto del Perù, quasi per paura di voler affrontare le proprie paure, se non per una forma di razzismo strisciante che permane in questa società multietnica, ha voltato la faccia dall'altra parte, e stenta ancora a crederci.
Una situazione identica a quella vissuta dalla Cambogia, anche se in dimensioni ridotte e, per fortuna, senza l'incubo delle mine antiuomo disseminate ovunque.
Una situazione a cui, alcuni, dopo aver resistito cercano di porre rimedio. Come Fausto, tessitore di 30 anni che nel giro di due giorni è diventato mio amico, accogliendomi prima in casa sua e poi nella sua cerchia di amici artigiani. Fausto, orfano di padre, ha appreso fin da piccolo l'arte della preparazione di tappeti, un'arte che nella zona è un vanto per raffinatezza di tecnica e professionalità; ora ha un laboratorio con molti telai, dove compone opere su commissione o di sua ispirazione (in queste ultime, cerca di raccontare le storie del passato e del presente), e dove soprattutto offre la possibilità a qualsiasi giovane voglia imparare di farlo, di fare pratica, di cominciare a guadagnarsi un soldo onesto.
Silvestre, suo amico e collega, costruisce "Retablos", casse di legno con all'interno moltitudini di statuine per rappresentare eventi religiosi o di altra natura. Il suo capolavoro, fin'ora, è una costruzione a più piani, che rappresenta il "dolore della madre andina", causato dalle continue lotte di fratello contro fratello. Lui si è salvato in quegli anni perché aveva un lavoro, perché non si è fatto irretire da false promesse, perché si è dato da fare per far avverare il suo sogno. E perché, mi dice, ha avuto fortuna. Ora, con Fausto e gli altri, vuole offrire un'opportunità a chi fortuna ne ha avuta di meno, o non ne ha avuta affatto: stanno cercando di riunirsi in una associazione, per poter proteggere il loro lavoro e per creare qualcosa che serva anche alla comunità.
Una luce, stanno accendendo. Piccola quanto si voglia, ma una luce di speranza, dopo quella che ha portato molto dolore. A loro, a questi amici che il caso mi ha fatto incontrare, auguro molta fortuna; per loro, per i loro figli (il figlio maggiore di Fausto e Mercedes si chiama "Diosdado", ovvero "Donato da Dio") e per la loro piccola grande comunità. E, forse, anche per quel Perù che volta la testa dall'altra parte.
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inserito il 07/07/2005
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