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Le due sponde del Titicaca
La seconda finestra di uscita da La Paz, domenica scorsa, l'ho attraversata in pullman per raggiungere il lago Titicaca (con in testa il famoso motto ricordatomi dalla pecora Giovanni: "Titicaca Che-Mi-No!"). Mentre mi avvicinavo alla frontiera, mi sono reso conto che il visto che mi avevano messo sul passaporto era per soli 30 giorni, mentre io ero già la 45imo... mmm, che fare? Arrivo all'ufficio emigrazione, e con la mia migliore faccia tosta porgo il passaporto all'ufficiale, al quale la "violazione" non sfugge: "150 bolivianos", mi dice (in realtà mi dice 170, ma io gli faccio notare la sua di "svista"); io glieli porgo, già felice di pagar meno di quanto pensavo, e gli chiedo una ricevuta; questo sembra metterlo in difficoltà, non sa esattamente come spiegarmi che non può farmela perché ha intenzione di intascarsi i soldi, quindi mi rende 50 boliviani e con un sorriso stipuliamo il tacito patto (e poi ditemi che non si possono ottenere sconti in qualunque luogo!).
Rientrati in Bolivia (a causa delle appropriazioni territoriali, i confini qua sono molto incasinati...), prendiamo una lancia che ci porta a Copacabana via lago: la strada è infatti, anche qui, bloccata da massi e campesinos accampati.
Copacabana è quasi vuota, i turisti che arrivano sono pochi e quelli che son riusciti se ne sono andati, ergo è facile trovare buoni offerte per una stanza d'albergo calda e confortevole; i ristoranti, invece, anche a causa della difficoltà degli approvvigionamenti, non si sognano di abbassare i prezzi, ma quelli usuali non sono proprio spaventosi (sempre riferiti alla media locale). Molte case carine tra due colline, su una delle quali gli inca hanno lasciato quello che potrebbe essere un orologio solare, mentre sull'altra i ferventi locali hanno innalzato le croci usate per la Via Crucis. Le barche nel porticciolo sono ferme: i capi del sindacato hanno proibito ogni attività. Anche la base della Marina Militare (ebbene sì: non hanno il mare, ma i marinai ce li hanno lo stesso) sembra oziosa, i coscritti si esercitano con gli strumenti della banda. La cattedrale, che ospita la veneratissima Virgen de la Candelaria, patrona del Paese, è enorme e dotata di un cortile stupendo; il padre francescano che ci fa da guida si sofferma a descirvermi ogni oggetto religioso, compresi i drappi che già son pronti per le prossime cerimonie fino al 2030 (!), e mi racconta come debba imparare, a causa della sua vocazione e delle regole del suo ordine, ben 6 idiomi: Quechua, Aymara, Italiano, Inglese e Tedesco, oltre all'immancabile Latino.
Insieme ad altri ragazzi, martedì camminiamo fino a Yampupata lungo la costa di questo grande lago, e da lì troviamo un crumiro disposto a portarci all'Isola del Sole. Sede di rovine Inca, è stata la culla della cultura Tiahuanaco, prima che il livello del Titicaca si alzasse e sommergesse la prima capitale (suona conosciuta, questa storia?); su di essa, a portata di un trekking leggero che sale fino a 4060 metri (ma partendo da circa 3800, quindi non così arduo), ci sono tutta una serie di rovine, in più o meno buone condizioni, visitabili a patto di non pestare i piedi ai tre villaggi che l'isola (ed i suoi introiti turistici) si spartiscono. Ergo, visitiamo siti nella parte sud (compresa la Escalera e la Fuente de l'Inca), e dormiamo nella zona centrale, in una costruzione che sembra non avere più di 6 mesi di anzianità. Al mattino, raggiungiamo la parte nord, e dopo una rapida visita al museo (ricco di reperti tirati su dalle acque), saliamo (io con una guida, giusto per approfondire gli interessanti argomenti) fino al Tempio del Sole ed alla tavola cerimoniale dove i sacerdoti divinavano il futuro (e a volte anche il presente). Una pietra, che con qualche sforzo di fantasia pare rappresentare un puma, pare sia uno dei tre centri energetici delle Americhe, essendo gli altri due a Chichen Itza in Mexico e vicino a Machu Pichu in Perù.
Un barcaiolo disperato per la mancanza di turisti si offre di portarci fino all'Isola della Luna, dove visitiamo i resti del Palazzo delle Vergini, ragazze estratte a sorte dai villaggi e destinate a vivere per sempre sull'isola tessendo per l'Inca (e gli andava bebe: prima le sacrificavano...), e poi - ad una velocità che rasenta l'immobilità - fino a Copacabana.
Disguidi postali (non riesco a spedire dal locale ufficio postale, come invce mi avevano garantito possibile, il pacco con i regali che mi porto dietro da La Paz) mi fanno decidere di partire alla volta del Perù.
Riattraversata la frontiera, alla quale arriviamo con un'altra lancia (che ci fa fare un trasbordo vicino alla costa per paura di essere presa a sassate... quindi, tecnicamente, siamo arrivati in Perù prima di attraversare la frontiera, per poi ritornare alla chetichella in territorio boliviano lungo la spiaggia), ci imbarchiamo sul primo bus per Puno.
Puno è lievemente bruttina, o almeno così pensano tutti quelli che ci passano sulla via tra Cusco e Arequipa. Ma è un buon punto di partenza per visitare alcune isole sul Titicaca, comprese le "isole galleggianti": l'etnia degli Uros da secoli costruisce le proprie capanne su zatteroni di torba e canne ("totora"), fissandole con lunghi pali nella basse acque di questa zona. Un'escursione di due giorni mi porta (insieme con due nuovi amici italiani, Samantha e Pier) a visitare due di queste isole, e poi sull'isolotto di Amantani dove veniamo ospitati da una famiglia (appositamente prezzolata... non pensata che facciano qualcosa gratis, qui!) che ci nutre a suon di zuppe e riso con verdure, e ci fa partecipare alla serata di festa indossando indumenti tipici (io e Pier, un poncho con berrettino di lana; Sami una cosa fatta di camicie e gonne che ricorda tanto... beh, una contadina locale, ovviamente...). Visitiamo anche le rovine sul cocuzzolo dell'isola, e poi dormiamo su dei letti duretti ma non scomodi, e soprattutto caldi (beh, più caldi di quelli di Puno, dove la sera la temperatura va sotto zero e io con felpa e giacca a vento rabbrividisco). Al mattino, dopo una colazione in cui speriamo invano di assaggiare la torta che avevamo portato in regalo (bastardi!), ripartiamo per una nuova isola, dove osserviamo la vita locale che cerca di sopravvivere alle (o grazie alle) orde di turisti.
Giornata lunga... domani altre escursioni, un incontro con la locale rappresentante SERVAS (dopo tutto, sono una sorta di ambasciatore, no?!), e poi - forse - Arequipa...
Rientrati in Bolivia (a causa delle appropriazioni territoriali, i confini qua sono molto incasinati...), prendiamo una lancia che ci porta a Copacabana via lago: la strada è infatti, anche qui, bloccata da massi e campesinos accampati.
Copacabana è quasi vuota, i turisti che arrivano sono pochi e quelli che son riusciti se ne sono andati, ergo è facile trovare buoni offerte per una stanza d'albergo calda e confortevole; i ristoranti, invece, anche a causa della difficoltà degli approvvigionamenti, non si sognano di abbassare i prezzi, ma quelli usuali non sono proprio spaventosi (sempre riferiti alla media locale). Molte case carine tra due colline, su una delle quali gli inca hanno lasciato quello che potrebbe essere un orologio solare, mentre sull'altra i ferventi locali hanno innalzato le croci usate per la Via Crucis. Le barche nel porticciolo sono ferme: i capi del sindacato hanno proibito ogni attività. Anche la base della Marina Militare (ebbene sì: non hanno il mare, ma i marinai ce li hanno lo stesso) sembra oziosa, i coscritti si esercitano con gli strumenti della banda. La cattedrale, che ospita la veneratissima Virgen de la Candelaria, patrona del Paese, è enorme e dotata di un cortile stupendo; il padre francescano che ci fa da guida si sofferma a descirvermi ogni oggetto religioso, compresi i drappi che già son pronti per le prossime cerimonie fino al 2030 (!), e mi racconta come debba imparare, a causa della sua vocazione e delle regole del suo ordine, ben 6 idiomi: Quechua, Aymara, Italiano, Inglese e Tedesco, oltre all'immancabile Latino.
Insieme ad altri ragazzi, martedì camminiamo fino a Yampupata lungo la costa di questo grande lago, e da lì troviamo un crumiro disposto a portarci all'Isola del Sole. Sede di rovine Inca, è stata la culla della cultura Tiahuanaco, prima che il livello del Titicaca si alzasse e sommergesse la prima capitale (suona conosciuta, questa storia?); su di essa, a portata di un trekking leggero che sale fino a 4060 metri (ma partendo da circa 3800, quindi non così arduo), ci sono tutta una serie di rovine, in più o meno buone condizioni, visitabili a patto di non pestare i piedi ai tre villaggi che l'isola (ed i suoi introiti turistici) si spartiscono. Ergo, visitiamo siti nella parte sud (compresa la Escalera e la Fuente de l'Inca), e dormiamo nella zona centrale, in una costruzione che sembra non avere più di 6 mesi di anzianità. Al mattino, raggiungiamo la parte nord, e dopo una rapida visita al museo (ricco di reperti tirati su dalle acque), saliamo (io con una guida, giusto per approfondire gli interessanti argomenti) fino al Tempio del Sole ed alla tavola cerimoniale dove i sacerdoti divinavano il futuro (e a volte anche il presente). Una pietra, che con qualche sforzo di fantasia pare rappresentare un puma, pare sia uno dei tre centri energetici delle Americhe, essendo gli altri due a Chichen Itza in Mexico e vicino a Machu Pichu in Perù.
Un barcaiolo disperato per la mancanza di turisti si offre di portarci fino all'Isola della Luna, dove visitiamo i resti del Palazzo delle Vergini, ragazze estratte a sorte dai villaggi e destinate a vivere per sempre sull'isola tessendo per l'Inca (e gli andava bebe: prima le sacrificavano...), e poi - ad una velocità che rasenta l'immobilità - fino a Copacabana.
Disguidi postali (non riesco a spedire dal locale ufficio postale, come invce mi avevano garantito possibile, il pacco con i regali che mi porto dietro da La Paz) mi fanno decidere di partire alla volta del Perù.
Riattraversata la frontiera, alla quale arriviamo con un'altra lancia (che ci fa fare un trasbordo vicino alla costa per paura di essere presa a sassate... quindi, tecnicamente, siamo arrivati in Perù prima di attraversare la frontiera, per poi ritornare alla chetichella in territorio boliviano lungo la spiaggia), ci imbarchiamo sul primo bus per Puno.
Puno è lievemente bruttina, o almeno così pensano tutti quelli che ci passano sulla via tra Cusco e Arequipa. Ma è un buon punto di partenza per visitare alcune isole sul Titicaca, comprese le "isole galleggianti": l'etnia degli Uros da secoli costruisce le proprie capanne su zatteroni di torba e canne ("totora"), fissandole con lunghi pali nella basse acque di questa zona. Un'escursione di due giorni mi porta (insieme con due nuovi amici italiani, Samantha e Pier) a visitare due di queste isole, e poi sull'isolotto di Amantani dove veniamo ospitati da una famiglia (appositamente prezzolata... non pensata che facciano qualcosa gratis, qui!) che ci nutre a suon di zuppe e riso con verdure, e ci fa partecipare alla serata di festa indossando indumenti tipici (io e Pier, un poncho con berrettino di lana; Sami una cosa fatta di camicie e gonne che ricorda tanto... beh, una contadina locale, ovviamente...). Visitiamo anche le rovine sul cocuzzolo dell'isola, e poi dormiamo su dei letti duretti ma non scomodi, e soprattutto caldi (beh, più caldi di quelli di Puno, dove la sera la temperatura va sotto zero e io con felpa e giacca a vento rabbrividisco). Al mattino, dopo una colazione in cui speriamo invano di assaggiare la torta che avevamo portato in regalo (bastardi!), ripartiamo per una nuova isola, dove osserviamo la vita locale che cerca di sopravvivere alle (o grazie alle) orde di turisti.
Giornata lunga... domani altre escursioni, un incontro con la locale rappresentante SERVAS (dopo tutto, sono una sorta di ambasciatore, no?!), e poi - forse - Arequipa...
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inserito il 06/06/2005
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