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Rocce rosse al centro della terra
Insieme con Dominika e Petra, arrivate sul loro insetto scoppiettante con un leggero ritardo che avrebbe dovuto mettermi una pulce nell'orecchio (ma, ovviamente, non l'ha fatto), facciamo una sosta al supermercato per stipare quanto più cibo possibile nel bagagliaio (con grande preoccupazione delle ragazze, a dire il vero più per i costi... non mi conoscono, evidentemente!), e poi partiamo alla volta di King's Canyon. Sono centinaia di chilometri (credo 5 o 6.. centinaia, intendo), e anche saltando - con mio grande disappunto - la visita al Meteorite Park a causa della loro paura di rovinare le ruote della macchina su una strada sterrata, arriviamo poco prima del tramonto nel campeggio dove alloggeremo. Petra monta la tenda, Dom ed io
andiamo per legna; cena sul barbecue del campeggio, poi fuoco di bivacco per riscaldare le ossa, e infine notte separata: loro due in tenda, io in macchina.
La mattina successiva abbiamo fatto i 35 chilometri che ci separano dal Canyon, e ci siamo lanciati nella camminata superba che ci ha portato a camminare sui due crinali della larga frattura; il fatto di trovare, là in alto, tracce dell'enorme preistorico mare che aveva sommerso il centro del continente, è finito in secondo piano rispetto allo spettacolo offerto dalle scoscese pendici sulle quali ci pregiavamo di camminare. Le rocce, stratificatesi e consumate durante gli eoni dal continuo picchiettare degli elementi, formano stupende cupole che sembrano un paesaggio lunare dopo un riuscito tentativo di popolamento. Terminato il giro, riposiamo un pò al parcheggio aspettando le 3, quando prendiamo parte ad un giro guidato da una ranger all'interno del canyon; è affascinate imparare il significato delle singole piante che vivono in questo specifico biotopo, e che al di fuori di esso non esisterebbero proprio. Con una tirata di poco più di due ore, raggiungiamo Curtain Springs, dove montiamo la tenda nel campeggio gratuito; le mie doti culinarie (e, probabilmente, il desiderio di avere un altro paio di polmoni a scaldare l'igloo) mi guadagnano un posto all'interno, questa notte.
E, finalmente, eccolo: ci svegliamo alle 4:30 per coprire l'ultimo centinaio di chilometri che ci separano da Ayers Rock, il famoso roccione rosso che spunta dal nulla. Come, dal nulla, sono spuntate le centinaia di turisti che, come noi, attendono che la luce dell'alba lo colori. Fa freddo, chi può si riscalda con un pò di caffè bollente, e - se vi devo dire la verità - il risultato non è pari alle aspettative... le ragazze mi lasciano alla base, e fanno una volata al resort dove passeremo la notte per farsi una doccia. Io ci penso un pò su, interrogo la mia gamba col suo muscolo ancora dolorante, e poi decido: salgo (ne parlo in un'altra notizia). Scendo in tempo per agganciare la visita guidata alla base, dove incontro le due tedesche, un loro amico e le sue due coviaggiatrici israeliane; ci parlano di siti vietati ai non iniziati, e delle leggende affascinanti che ammantano di antiche memorie questo luogo magico. La guida torna indietro, e noi continuiamo a
camminare intorno ad Uluru, lungo i suoi 9 km di perimetro di base. Sabbia, eucalipti e uccelli colorati e chiassosi ci fanno da contorno. Durante la pausa pranzo, le ragazze ed io abbiamo un battibecco, prima avvisaglia di un dissidio di fondo sul modo di gestire il nostro tempo; per rilassare gli animi, andiamo a visitare il centro informativo, pieno di notizie sulla storia di Uluru e degli aborigeni che l'hanno reclamato con successo dagli occupanti occidentali. Il tramonto, atteso nell'apposito luogo designato dalle autorità del parco, è altrettanto poco entusiasmante, anche a causa dell'assenza di nuvole nel cielo (che, solitamente, raccoglierebbero parte del rosso colore solare). Tornati al resort, nel campeggio, e fatta un pò di spesa, ci concediamo un lussurioso barbeque e poi una bella chiacchierata - intermezzata dai falliti tentativi di Petra e Stephan di catturare alcuni dei coniglietti selvatici che fanno capolino tra le tende.
È sabato, una delle due ragazze israeliane non si muove per motivi religiosi, gli altri due si aggregano a noi e raggiungiamo le Olgas (o Kata-Tjuta), una serie di una trentina di monti a cupola vagamente simili ad Uluru (e formatisi nello stesso modo). È tardi, però (sono le 12), quindi io opto per una camminata corta all'interno di uno dei canyon, mentre gli altri si lanciano in quella lunga (sotto questo sole? siete un pò spostati, giovani!); dopo un'ora, mi incammino per raggiungere la macchina, pranzo e poi comincio anch'io a seguire il percorso di 7 km; lo ammetto, si rivela molto più interessante dell'altro, con continui mutamenti di prospettiva che ti fanno vedere alcuni dei più bei cupolotti. Tornato fuori, trovo due delle ragazze che son passate a prendermi ed insieme andiamo alla zona di osservazione del tramonto; questa volta, le nuvole ci aiutano, e i giochi di luci ed ombre sono molto belli (anche se, ancora, mancano le tonalità del rosso). Torniamo al resort, docciamo e ceniamo, poi ci lanciamo per tornare a Curtain Springs (il resort costicchia, meglio risparmiare un pò di soldi... e di strada per il giorno dopo).
andiamo per legna; cena sul barbecue del campeggio, poi fuoco di bivacco per riscaldare le ossa, e infine notte separata: loro due in tenda, io in macchina.
La mattina successiva abbiamo fatto i 35 chilometri che ci separano dal Canyon, e ci siamo lanciati nella camminata superba che ci ha portato a camminare sui due crinali della larga frattura; il fatto di trovare, là in alto, tracce dell'enorme preistorico mare che aveva sommerso il centro del continente, è finito in secondo piano rispetto allo spettacolo offerto dalle scoscese pendici sulle quali ci pregiavamo di camminare. Le rocce, stratificatesi e consumate durante gli eoni dal continuo picchiettare degli elementi, formano stupende cupole che sembrano un paesaggio lunare dopo un riuscito tentativo di popolamento. Terminato il giro, riposiamo un pò al parcheggio aspettando le 3, quando prendiamo parte ad un giro guidato da una ranger all'interno del canyon; è affascinate imparare il significato delle singole piante che vivono in questo specifico biotopo, e che al di fuori di esso non esisterebbero proprio. Con una tirata di poco più di due ore, raggiungiamo Curtain Springs, dove montiamo la tenda nel campeggio gratuito; le mie doti culinarie (e, probabilmente, il desiderio di avere un altro paio di polmoni a scaldare l'igloo) mi guadagnano un posto all'interno, questa notte.
E, finalmente, eccolo: ci svegliamo alle 4:30 per coprire l'ultimo centinaio di chilometri che ci separano da Ayers Rock, il famoso roccione rosso che spunta dal nulla. Come, dal nulla, sono spuntate le centinaia di turisti che, come noi, attendono che la luce dell'alba lo colori. Fa freddo, chi può si riscalda con un pò di caffè bollente, e - se vi devo dire la verità - il risultato non è pari alle aspettative... le ragazze mi lasciano alla base, e fanno una volata al resort dove passeremo la notte per farsi una doccia. Io ci penso un pò su, interrogo la mia gamba col suo muscolo ancora dolorante, e poi decido: salgo (ne parlo in un'altra notizia). Scendo in tempo per agganciare la visita guidata alla base, dove incontro le due tedesche, un loro amico e le sue due coviaggiatrici israeliane; ci parlano di siti vietati ai non iniziati, e delle leggende affascinanti che ammantano di antiche memorie questo luogo magico. La guida torna indietro, e noi continuiamo a
camminare intorno ad Uluru, lungo i suoi 9 km di perimetro di base. Sabbia, eucalipti e uccelli colorati e chiassosi ci fanno da contorno. Durante la pausa pranzo, le ragazze ed io abbiamo un battibecco, prima avvisaglia di un dissidio di fondo sul modo di gestire il nostro tempo; per rilassare gli animi, andiamo a visitare il centro informativo, pieno di notizie sulla storia di Uluru e degli aborigeni che l'hanno reclamato con successo dagli occupanti occidentali. Il tramonto, atteso nell'apposito luogo designato dalle autorità del parco, è altrettanto poco entusiasmante, anche a causa dell'assenza di nuvole nel cielo (che, solitamente, raccoglierebbero parte del rosso colore solare). Tornati al resort, nel campeggio, e fatta un pò di spesa, ci concediamo un lussurioso barbeque e poi una bella chiacchierata - intermezzata dai falliti tentativi di Petra e Stephan di catturare alcuni dei coniglietti selvatici che fanno capolino tra le tende.
È sabato, una delle due ragazze israeliane non si muove per motivi religiosi, gli altri due si aggregano a noi e raggiungiamo le Olgas (o Kata-Tjuta), una serie di una trentina di monti a cupola vagamente simili ad Uluru (e formatisi nello stesso modo). È tardi, però (sono le 12), quindi io opto per una camminata corta all'interno di uno dei canyon, mentre gli altri si lanciano in quella lunga (sotto questo sole? siete un pò spostati, giovani!); dopo un'ora, mi incammino per raggiungere la macchina, pranzo e poi comincio anch'io a seguire il percorso di 7 km; lo ammetto, si rivela molto più interessante dell'altro, con continui mutamenti di prospettiva che ti fanno vedere alcuni dei più bei cupolotti. Tornato fuori, trovo due delle ragazze che son passate a prendermi ed insieme andiamo alla zona di osservazione del tramonto; questa volta, le nuvole ci aiutano, e i giochi di luci ed ombre sono molto belli (anche se, ancora, mancano le tonalità del rosso). Torniamo al resort, docciamo e ceniamo, poi ci lanciamo per tornare a Curtain Springs (il resort costicchia, meglio risparmiare un pò di soldi... e di strada per il giorno dopo).
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inserito il 07/08/2004
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