Il caimano di Bonito
Ci sono luoghi che sembrano attrarre alcune categorie di persone. Per le giovani tedesche, quel luogo è Rimini, o almeno lo è stato per molti anni, nel tempo dei sandali con calzini, quando i bagnini erano ancora prestanti e non avevano le curve di Pamela Anderson. Per molti inglesi, sono le isole Baleari, possibilmente con una rumorosa discoteca o, almeno, un balcone da cui lanciarsi, ubriachi, cercando di centrare la piscina sottostante. Per gli italiani debitamente facoltosi, Cortina d'Ampezzo e le sue feste innevate sono irrinunciabili.
Per i brasiliani, due sono le mete: una località sulle Ande argentine, Bariloche, così appetita dagli abitanti del più grande paese sudamericano che i locali hanno spesso ipotizzato di rinominarla Braziloche, e un posto all'interno del territorio nazionale, così lontano dalle bianche spiagge atlantiche che bisogna essere ben informati per trovarlo; ma talmente caro ai brasiliani da chiamarlo Bonito, "buono".
Fondamentalmente, si tratta della classica località dove tutto accade intorno alla strada principale, tipo quelle città del Far West tanto amate da Sergio Leone: negozi, ristoranti, locande, hotel, agenzie viaggi, gelaterie a peso (dove paghi un tanto al kilo, ed esci satollo ma deforme), altri negozi (soprattutto di scarpe e bikini), altre agenzie... insomma, avete capito l'antifona.
In città, a parte un'orrenda fontana con due pesci giganti guizzanti, posta a "decorare" la piazza principale, non c'è null'altro. Perché la cosa bizzarra è che tutte le cose turisticamente interessanti si trovano intorno a Bonito, a svariati chilometri, collegate alla cittadina da strade pessimamente asfaltate (quando l'asfalto c'è: ché, in molti casi, sono solo lunghi tratti di terreno rosso argilloso, tipico di tutta questa parte di Brasile).
C'è da dire che le attrazioni turistiche non mancano, e che sono qualcosa di davvero speciale; i locali lo sanno, di essere seduti su una miniera d'oro, e quindi i prezzi della zona sono tra i più cari del paese. E questo è, essenzialmente, il motivo per cui io, a suo tempo, quando ancora vagavo libero e giuovane per queste lande, zaino in spalla e voglia di vedere il mondo, avevo saltato a pié pari questa destinazione.
Anni dopo, grazie ad un tour Trogon di Journey Latin America, ho finalmente avuto la possibilità di passarci, e devo dire che non ne sono rimasto deluso. Ci siamo rimasti due notti, dopo aver trascorso vari giorni nel Pantanal, a caccia (fotografica) di animali, e prima di ritornare a Rio de Janeiro, per un'ultima visita al litorale di Copacabana, ed un'ultima caipirinha; ma, grazie alla buona organizzazione dell'agenzia, siamo riusciti a goderci alcune delle cose migliori.
Cominciando al mattino, con un viaggio di 40 minuti circa che ci ha portati all'ingresso della Gruta Azul, una voragine rocciosa al cui fondo si trova un lago sotterraneo che la luce, filtrata dalle particelle sospese nell'aria, colora di 50 e più sfumature di blu. Una lunga e, a tratti, leggermente scivolosa scalinata ci ha permesso di scendere circondati da stalattiti e bizzarre formazioni rocciose, mentre una guida spiegava come, quando e perché si era formata la grotta - in portoghese, ovviamente, ché qui di turisti stranieri pare ne vedano pochi; per fortuna le mie vaste (!) conoscenze linguistiche comprendono pure elementi di geologia, così son riuscito a tradurre abbastanza per i miei viaggiatori inglesi. Caschetto in testa, e mano sulla ringhiera, mentre si scende si nota il progressivo mutare della luce, e l'abbassamento della temperatura, gradito cambio dal caldo umido che ci circondava in superficie. Quando poi si arriva al fondo, beh, lo spettacolo è davvero delizioso; peccato solo non avere una fotocamera decente, ché il mio cellulare è molto bravo a fare foto quanto di luce ce n'è in abbondanza, e le fa pure bene, ma quando tutto si fa più scuro il "rumore di fondo" è troppo... oh beh, mi han fatto gli occhi per queste occasioni, quella volta...
2 ore dura la visita, poi ritorniamo lentamente - ché tutti quegli scalini fatti all'andata sono ancora là ad aspettarci, al ritorno - alla superficie, alla foresta, al caldo, al sole. Uno sguardo al negozietto dei souvenir, uno più approfondito ai bagni, e poi ripartiamo per Bonito, dove ci cambiamo e, fatta una breve sosta, procediamo in direzione opposta verso una località chiamata Rio Branca.
Qui, un grande e ben organizzato centro visitatori ci accoglie e ci spiega quel che ci aspetta: una esperienza di galleggiamento. Ma non in aria, alla David Copperfield, bensì in acqua, con tanto di muta e maschera e boccaglio, in quello che da molti è chiamato, a ragione, un acquario naturale.
Purtroppo, il mio gruppo si è un po' sfaldato: una signora è rimasta a Bonito, avendo un forte raffreddore, e un'altra non ama nuotare, e quindi lei ed il marito han deciso di approfittare dell'occasione per scattare qualche altro migliaio di foto a tutti gli uccelli che riescono ad avvistare. Rimaniamo John ed io, e dopo il pranzo a buffet indossiamo le mute da sub (tenute slacciate, alla cintura, dato che dovremo camminarci dentro per un paio di chilometri e qui, credetemi, si suda!) e le calzature in neoprene e saliamo, assieme agli altri due e ad una famiglia di spagnoli, sul pickup che ci porta all'ingresso della riserva naturale. Da lì, come detto, camminiamo per una ventina di minuti fino ad una piccola laguna dall'acqua talmente limpida che puoi contare i sassi sul fondo: è il posto in cui faremo delle prove di galleggiamento, per assicurarci che capiamo semplici concetti come "non nuotare!", "non battere i piedi!", "non toccare il fondo con i piedi!" eccetera. Ché, lo ripeto, questa è una riserva naturale, e l'idea è di non rompere i maroni più del necessario agli animali che si trovano in acqua.
John non è a suo agio con la muta, entra in acqua ma dopo un paio di minuti dice di voler uscire; lo aiuto, mi accerto che stia bene, il suo è solo un po' di panico, ma preferisco non insistere, già lo conosco, e poi gli altri due lo accolgono volentieri nel loro gruppetto di esploratori (per cui ho organizzato la possibilità di camminare un po' lungo i sentieri intorno); quando tutto è ok, decido di riprendere l'escursione, mi stendo orizzontale nell'acqua, aggiusto il boccaglio e...
Vengo proiettato all'interno di un acquario, nel vero senso della parola: decine di pesci, di varie forme e colori e dimensioni, mi circondano e si fanno la loro vita, assolutamente non interessati a quel che faccio io. Io, invece, vorrei conoscere tutto di loro. Fluttuo, galleggio, nel modo che ho imparato con i corsi di sommozzatore, muovendo poco le braccia solo per direzionarmi, giacché la lieve corrente ci spinge dolcemente nella giusta direzione. L'acqua è trasparente, sembra non esistere, e nell'alveo del piccolo fiume radici di alberi fanno da cornice ai nostri continui incontri con le creature che vi vivono.
D'un tratto, la guida richiama la nostra attenzione su quello che sembra l'ennesimo tronco sommerso. Ci avviciniamo, e notiamo i denti: un caimano, lungo un paio di metri almeno, con la bocca spalancata in attesa di prede, è immobile sul fondo. Bellissimo, ci avviciniamo per osservarlo meglio, fiduciosi che la guida non ci abbia mentito sulla sua scarsa pericolosità. E' un attimo, ed in un turbinio di foglie e fango scappa via, disturbato dal nostro ronzargli attorno. Restiamo lì per qualche secondo, finché il sangue non ci si scongela, fingendo di fare i coraggiosi; ma è un bene che il colore delle tute di neoprene sia scuro, credetemi!
Usciamo dal fiume in un paio di punti, riprendendolo poco più a valle, a causa di rapide dove è meglio non passare; e facciamo capriole in un punto in cui sorgenti sotterranee creano bolle con il letto di sabbia che le ricopre. Poi, arriviamo al fiume principale, dove il nostro si getta, e troviamo un'altra acqua, torbida e più fredda, che invita solo a rilassarsi e farsi trascinare dalla corrente, non essendo possibile vedere alcunché. Sott'acqua, perché invece sopra la superficie ci capita di scorgere la testa di una lontra, che fa la spola tra una sponda e l'altra.
Ritrovo il mio gruppo al punto di arrivo; hanno potuto esplorare un po' anche se la maggior quantità di animali che hanno trovato erano zanzare (e non sono affatto contenti della cosa!). Risaliamo sul pickup, e torniamo al centro visitatori, da cui - dopo una pausa gelato/caffé - ripartiamo verso Bonito; lungo il tragitto, però, ancora una sorpresa: il nostro autista avvista un formichiere nel campo al lato della strada, e scendiamo per vederlo meglio, riuscendo ad avvicinarci un po' prima che ci fiuti e scappi verso il sole che, tramontando, chiude una giornata davvero "bonita".
Racconti che potrebbero interessarti
Lascia un tuo commento
Informazioni
inserito il 07/10/2015
visualizzato: 2086 volte
commentato: 0 volte
totale racconti: 562
totale visualizzazioni: 1436058
Cerca nel diario
Cerca tra i racconti di viaggio pubblicati nel diario di bordo:
Ultime destinazioni
Racconti più recenti
- Sequoie secolari e vite corte come fiammiferi accesi
- Ponti e isole che compaiono dalla nebbia
- Chi l'ha (il) visto?
- Incontri d'anime grandi e piccole in India
- Hampi, imprevisto del percorso
Racconti più letti
- Storie di corna
- La mafia del fiore rosso
- Pulau Penang, ultima tappa
- I 5 sensi
- In missione per conto di Io
Racconti più commentati
- E dagli col tecnico berico dal cuore spezzato... (15)
- In missione per conto di Io (14)
- Sono zia!!! (12)
- 4 righe da Tumbes (10)
- Aspettando il puma (ed il condor, e il guanaco) (10)
Ultimi commenti
- massielena su Sequoie secolari e vite corte come fiammiferi accesi
- Mariagrazia su Fare le cose in grande
- Mariagrazia su Grandi masse rosse
- Massielena su Fare le cose in grande
- Daniele su Fare le cose in grande