Cristalli e vesciche

immagineSufficientemente soddisfatti dell'andamento del gruppo durante la visita alla Gran Sabana, i due austriaci Harald e Lisi e la kenyota Sonia ed io ci siamo lanciati nella seconda avventura organizzabile nella zona: la scalata al "tepuy" Roraima (o Roroima, in lingua indigena).

Tutte le agenzie di Santa Elena propongono per l'assurdo prezzo di 780000 bolivares (circa 285 euri, al cambio attuale) un tour di sei giorni, con camminate di massimo 4 ore, un portatore ogni 2 persone, cibo a volontà e l'indispensabile (le autorità si sono rese conto che sulla cima della montagna cominciavano ad accumularsi troppi residui...) toilette portatile (ovvero: per 6 giorni, c'è un povero indigeno che si scarrozza i vostri escrementi... bel lavoro di m***a, eh?!).

Noi, che siamo poveri e coraggiosi, abbiamo deciso di tentare la via autoorganizzativa, tanto più che non volevamo arrivare fino in cima per poi rimanere solo una giornata. Ergo, nel villaggio di San Francisco, punto di ingresso all'ascesa dalla strada asfaltata, abbiamo contattato tramite un certo Ovelio (ah, 'ste pecore...) una guida ed un portatore locali, e ci siamo accordati per una escursione di 5 giorni con grande camminata (9 ore) il primo giorno e più tempo in vetta. Fatta la spesa nei negozi di Santa Elena (non siamo riusciti a trovare nè la benzina bianca nè gli spaghetti istantanei richiesti dagli austriaci, ma in compenso abbiamo acquistato il locale "kasave" che è pane azzimo fatot con farina di manioca e ottimo da far galleggiare in zuppe e caffelatte), e noleggiata tenda e materassini per me ed Elena, siamo andati fino a San Francisco a passare la notte, lasciando in custodia gli zaini all'italianissimo albergatore Michele.

In San Francisco, dopo aver combattuto (ma non più di tanto) contro i tentativi di Ovelio di arrotondare il conto (alla fine, incluso il cibo comprato, spenderemo circa 250000 bolivares!), sistemiamo gli zaini e ci lanciamo sull'ultima cena, a base di pollo e carne e yuca, mentre su uno schermo gigante gli autoctoni guardano Antonio di Caprio morire tra i flutti che inghiottono il Titanic. Al mattino, incontriamo Ginger (vero nome: Amen... meglio Ginger, lo ammetto!), inglese pazzo che sta cercando di scalare il picco più alto di ogni nazione per finire nel Guinness dei Primati, e che ha deciso che il Roraima è l'opportunità che cercava per la Guyana (non per il Venezuela, esistendo nelle Ande montagne di 5000 m): sulla montagna si trova infatti il punto di incontro di una triplice frontiera, tra i summenzionati Paesi ed il Brasile (anche se lo Stato di Chavez sta reclamando da decenni la parte di Guyana più prossima alla sua non accettata frontiera...), il cosiddetto Punto Triple. Diamo un passaggio a Ginger sul nostro mezzo di trasporto 4x4, e Ginger comparte la spesa (evvai che il prezzo si abbassa di nuovo!), ed arriviamo a Paratepuy, villaggio indigeno da cui si incomincia il cammino. Con Antonio, la guida, ed Enrique, il portatore che è un cugino di Antonio e che non vuole poi portare molto (ma noi lo carichiamo lo stesso!), cominciamo i 25 chilometri che ci porteranno al Campo Base. Elena mostra di essere assolutamente inadatta ad una camminata in montagna, con le gambe che le vanno in gelatina dopo un paio di chilometri, e lo stesso Antonio sembra un pò fuori allenamento, tanto che debbo richiamarlo perché s'attarda troppo e così non va... raggiungiamo ed attraversiamo facilmente un primo fiumiciattolo, il Rio Tek, mentre per il secondo, ingrossato dalle piogge, dobbiamo cercare un guado che ci fa inzuppare fino all'ombelico (a me... figuratevi gli altri!) e rischia di lasciarci in preda alla forte corrente. Ma sopravviviamo, e sotto un continuo alternarsi di pioggerelle e sereno arriviamo alle 7 tendenzialmente distrutti al Campo Base (Harald ed io un pò prima, gli altri al seguito). Cena, scambio di parole con un gruppo ispano-brasiliano, e poi nanna in tenda.
Il mattino seguente il nostro portatore schizza verso la vetta per riservarci il posto nella miglior caverna disponibile, e noi lo seguiamo più lentamente ma riuscendo a salire gli ottocento metri in 4 ore circa, con le ragazze e Antonio che seguono con un'ora di ritardo; con loro, arriva anche Ginger, che non è riuscito a trovare una guida nel villaggio e si è fatto la camminata da solo. La grotta ("hotel dell'Indio") è orientata a occidente, e ci protegge dai venti prevalenti tenendoci un pò più al calduccio; ma si tratta di un riparo effimero, la grotta non è fonda e lo spazio per piantare le tende non è molto. Le ragazze decidono di riposarsi, mentre noi convinciamo Antonio ad ignorare il maltempo ed a portarci per un giretto di un paio d'ore a vedere la Valle dei Cristalli (quarzo, quasi sempre bianco, ovunque non sia stato razziato dai venditori di Santa Elena e dai turisti), le vasche di acqua non troppo fredda soprannominate Jacuzzi e l'Abismo, dove finisce la vetta piatta del tepuy e si vede la parete quasi verticale e la pianura sottostante (o le nuvole, nel nostro caso). Ceniamo alle 18 ed andiamo a letto come le galline, perché la luce naturale se ne va e le candele si spengono con il vento...

Il giorno successivo, noi 3 maschietti con Antonio ci incamminiamo verso il Punto Triple, mentre le ragazze decidono di prendersela comoda e fare la miniescursione nostra del giorno precedente. Il nostro cammino, fatto di buona lena e grazie all'aiuto indispensabile della nostra guida, ci conduce per due ore e mezza tra rocce scolpite dal vento e rese lisce e umide dalla pioggia, altre valli di cristalli, nebbioline e scrosci improvvisi, ruscelli e zone fangose, fino ad una sorta di piramide di cemento da cui alcuni venezuelani troppo nazionalistici hanno tolto la placca indicante la Guyana... Ginger è interdetto, ci sono dei picchi intorno a noi più alti del Punto Triple, lui gioca un pò col suo GPS e scatta foto ma non sa cosa fare; nel mentre, noi facciamo una merenda con uova sode e kasave, alla quale partecipano anche alcuni uccellini dallo strano collo aranciato che sembra di pelliccia per difendersi dal freddo pungente. Ritorniamo per un'altra via, vediamo altre meraviglie naturali come una enorme grotta verticale (pare più un enorme pozzo, alimentato da cascatelle) e ancora cristalli, mentre i nostri piedi sono ormai inzuppati perché non serve a niente portarsi dietro 3 o 4 paia di calzini se gli scarponi stessi sono bagnati... e le vesciche, ovviamente, ci sguazzano!

4 giorno, e cominciamo a scendere: in 3 ore siamo al Campo Base, pranziamo cercando di eliminare altre scorte (avendo licenziato il portatore al secondo giorno, dobbiamo ovviamente caricarci tutto quanto) e poi camminiamo sotto altre piogge e soli ed arcobaleni fino ai fiumiciattoli, che riattraversiamo approfittando del ridotto livello di acqua. Nel Rio Tek, vicino al quale accampiamo, facciamo il bagno finalmente levandoci di dosso un pò di quell'odorino che ci si era appiccicato addosso. Grande cenone, con 3 pasti caldi (prima ci andavamo piano, col fornellino, non sapendo se il combustibile sarebbe bastato), e notte stellata sopra di noi.

Il quinto giorno ritorniamo in 4 ore, partendo sotto una pioggia scrosciante e arrivando con qualche timido raggio di sole, fino a Paratepuy, prendiamo il jeeppone per raggiungere San Francisco, lasciamo il materiale noleggiato e la spazzatura riportata alla base e torniamo a Santa Elena, che ci accoglie con le sue docce calde, i suoi cybercafè e delle enormi pizze che divoriamo alla sera spendendo i soldi pagati da Ginger...

Roraima in 5 giorni e a meno della metà del prezzo? Si può fare!

Ora, tutto sta a vedere quanto ci metterano a risanarsi i miei piedi... un giorno di riposo, e stanotte vado a Ciudad Bolivar.

Commenti

Il giorno 10/05/2006, Massimo ha scritto...
SPLENDIDO...

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inserito il 08/05/2006
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