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Voli di sciamani e vecchie signore tedesche
Nazca.
Questa parola è associata, nella mente di milioni di persone, alle misteriose linee che sono state trovate nel deserto. Linee rette, linee che s'incrociano, linee che disegnano figure che la fantasia popolare (e, a volte, quella degli stessi scienziati e studiosi) ha rinominato a volte in modo bizzarro. Linee tracciate da più culture, delle quali quella Nazca è stata la preponderante, e sulle quali in realtà non esiste la minima informazione sicura. Solo speculazioni.
Attirato dal magnetismo delle linee, sono arrivato in questa cittadina quasi costiera con un bus notturno da Arequipa, ed ho sfruttato subito il trucchetto del "mi siedo al banchetto di un venditore di colazioni" per sfuggire alle decine di importunatori che cercano di venderti qualsiasi tipo di escursione a prezzi notevolmente lievitati (ovviamente, approfittando della tua sonnolenza). Trovato un alloggio, e riposato un poco, sono andato a 22 km dal centro, nel deserto, dove lungo la panamericana la studiosa tedesca Maria Reiche ha costruito a sue spese una torre di osservazione per vedere almeno un paio delle figure che sono state l'oggetto dei suoi studi per una quarantina d'anni (la signora ha ricevuto tutta una serie di riconoscimenti, compresa la nazionalità onoraria peruviana, ed ha ottenuto l'inserimento nella lista dell'Unesco di questo spettacolare sito): l'albero di Warangu e le Mani (o la rana strisciante, come la chiamava Maria). Da una vicina collina, si possono osservare alcune delle linee rette e dei poligoni che in realtà sono molto più abbondanti delle figure "note"; a qualche chilometro, un museo raccoglie parte del lavoro e dei memorabilia di questa fragile vecchietta morta a 95 anni alla fine del secolo scorso (e fino all'ultimo impegnata a studiare le linee, a fare schemi e rilevamenti, e persino a ripulirle con una scopa)...
Ripulire le linee... perché? Beh, le linee sono state tracciate nel deserto, spostando lo strato superficiale di roccie grigiastre e lasciando scoperto la biancogiallastra roccia sedimentaria sottostante; le piogge non le hanno modificate, ma il vento incessante le ha in alcuni punti ricoperte di polvere.
Il giorno seguente, azzecco il biglietto della lotteria: prenoto un volo in un piccolo aereo quadriposto sul deserto, richiedendo quello più economico (pitocco!) ed insistendo per effettuarlo quanto prima possibile (questioni di luce, per le foto!). Arrivo all'aeroporto alle 7 e 20, ma è nuvoloso, e la visibilità non permette decolli. Mi propongono di andare a fare un'escursione, nell'attesa, ma decido che resto ad aspettare e sperare, mentre il capoufficio (di madre italo-croata) mi racconta tutta la sua (interessante) carriera tra aviolinee ed hotel. Dopo due ore, il cielo si sta schiarendo, e mi dicono che potrei aggiungermi (sempre se mi va) ad un gruppo di undici giapponesi che stanno per effettuare il primo volo; il colpo di fortuna è che tale volo normalmente costa 75 dollari, perché comprende il sorvolo di alcune altre figure nella piana di Palpa e degli acquedotti dei Nazca... Ci penso un po', e mi sforzo di accettare :-)
Vederle dall'alto è magnifico, ma è un pò una caccia al tesoro: il pilota, nel terribile rumore del motore, ti indica la mappa del deserto e ti dice il nome della figura che state sorvolando, e tu cerchi di intravederla. A volte è facile, la figura è chiara, ma altre volte sono talmente tante le linee che si incrociano che tu ti chiedi se stai veramente osservando la "scimmia" o se è la tua immaginazione. Ed io, facendo un confronto con quanto visto nell'Australia aborigena, rafforzo la mia idea sulle linee: non piste di atterraggio per ufo, ma una serie di disegni sovrapposti durante i secoli per mandare dei messaggi agli dei e, forse, agli sciamani che in preda alle loro droghe allucinogene dicevano di poter volare e di vedere il mondo dall'alto. Decine sono le teorie su queste tracce, le più comuni sono quella del calendario astronomico o della mappa delle risorse idriche (Nazca è sempre stata una zona con problemi di approvvigionamento, e apparentemente molti dei trapezoidi indicano sorgenti e corsi d'acqua sotterranei, quasi un messaggio inviato a chi "lassù" avrebbe potuto inviare nuove piogge, nuova vita); ne ho sentite varie, ho assistito anche ad un paio di conferenze ed au un video della BBC, ma l'idea che quella sopra cui ho volato sia una grande lavagna più volte riutilizzata non me la toglie nessuno...
Oltre alle linee, i Nazca hanno lasciato altri stupendi esempli della loro cultura: una necropoli purtroppo saccheggiata innumerevoli volte dai tombaroli (i pochi scheletri rimasti sono circondati da tantissime buche e resti di ossa e tessuti sparsi sulla sabbia circostante), acquedotti tanto ben fatti da essere ancora usati a distanza di più di mille anni, ceramiche, tessuti ed altre vestigia dall'enorme valore storico (e che il museo Antonini, fondato da italiani, si sforza di presentare nel modo migliore).
E c'è davvero qualcosa di magico, in questa città: perché l'ultima sera, seduto in un internet cafè, mi trovo improvvisamente a sedermisi di fianco nientepopodimenoché Lorenzo Scaldaferro, compagno scout di Costabissara nonché fratello del Luca che avrebbe potuto diventare mio cognato. È in viaggio in Perù con un gruppo sponsorizzato dalla Nikon, per studiare fotografia, mentre la sua compagna fa un master nel nord del Paese. Quante sono le possibilità di trovarsi qui per due italiani che hanno mangiato lo stesso minestrone durante i campi scout? 1 su un miliardo, direi... dovrei giocarmela davvero al lotto!
Questa parola è associata, nella mente di milioni di persone, alle misteriose linee che sono state trovate nel deserto. Linee rette, linee che s'incrociano, linee che disegnano figure che la fantasia popolare (e, a volte, quella degli stessi scienziati e studiosi) ha rinominato a volte in modo bizzarro. Linee tracciate da più culture, delle quali quella Nazca è stata la preponderante, e sulle quali in realtà non esiste la minima informazione sicura. Solo speculazioni.
Attirato dal magnetismo delle linee, sono arrivato in questa cittadina quasi costiera con un bus notturno da Arequipa, ed ho sfruttato subito il trucchetto del "mi siedo al banchetto di un venditore di colazioni" per sfuggire alle decine di importunatori che cercano di venderti qualsiasi tipo di escursione a prezzi notevolmente lievitati (ovviamente, approfittando della tua sonnolenza). Trovato un alloggio, e riposato un poco, sono andato a 22 km dal centro, nel deserto, dove lungo la panamericana la studiosa tedesca Maria Reiche ha costruito a sue spese una torre di osservazione per vedere almeno un paio delle figure che sono state l'oggetto dei suoi studi per una quarantina d'anni (la signora ha ricevuto tutta una serie di riconoscimenti, compresa la nazionalità onoraria peruviana, ed ha ottenuto l'inserimento nella lista dell'Unesco di questo spettacolare sito): l'albero di Warangu e le Mani (o la rana strisciante, come la chiamava Maria). Da una vicina collina, si possono osservare alcune delle linee rette e dei poligoni che in realtà sono molto più abbondanti delle figure "note"; a qualche chilometro, un museo raccoglie parte del lavoro e dei memorabilia di questa fragile vecchietta morta a 95 anni alla fine del secolo scorso (e fino all'ultimo impegnata a studiare le linee, a fare schemi e rilevamenti, e persino a ripulirle con una scopa)...
Ripulire le linee... perché? Beh, le linee sono state tracciate nel deserto, spostando lo strato superficiale di roccie grigiastre e lasciando scoperto la biancogiallastra roccia sedimentaria sottostante; le piogge non le hanno modificate, ma il vento incessante le ha in alcuni punti ricoperte di polvere.
Il giorno seguente, azzecco il biglietto della lotteria: prenoto un volo in un piccolo aereo quadriposto sul deserto, richiedendo quello più economico (pitocco!) ed insistendo per effettuarlo quanto prima possibile (questioni di luce, per le foto!). Arrivo all'aeroporto alle 7 e 20, ma è nuvoloso, e la visibilità non permette decolli. Mi propongono di andare a fare un'escursione, nell'attesa, ma decido che resto ad aspettare e sperare, mentre il capoufficio (di madre italo-croata) mi racconta tutta la sua (interessante) carriera tra aviolinee ed hotel. Dopo due ore, il cielo si sta schiarendo, e mi dicono che potrei aggiungermi (sempre se mi va) ad un gruppo di undici giapponesi che stanno per effettuare il primo volo; il colpo di fortuna è che tale volo normalmente costa 75 dollari, perché comprende il sorvolo di alcune altre figure nella piana di Palpa e degli acquedotti dei Nazca... Ci penso un po', e mi sforzo di accettare :-)
Vederle dall'alto è magnifico, ma è un pò una caccia al tesoro: il pilota, nel terribile rumore del motore, ti indica la mappa del deserto e ti dice il nome della figura che state sorvolando, e tu cerchi di intravederla. A volte è facile, la figura è chiara, ma altre volte sono talmente tante le linee che si incrociano che tu ti chiedi se stai veramente osservando la "scimmia" o se è la tua immaginazione. Ed io, facendo un confronto con quanto visto nell'Australia aborigena, rafforzo la mia idea sulle linee: non piste di atterraggio per ufo, ma una serie di disegni sovrapposti durante i secoli per mandare dei messaggi agli dei e, forse, agli sciamani che in preda alle loro droghe allucinogene dicevano di poter volare e di vedere il mondo dall'alto. Decine sono le teorie su queste tracce, le più comuni sono quella del calendario astronomico o della mappa delle risorse idriche (Nazca è sempre stata una zona con problemi di approvvigionamento, e apparentemente molti dei trapezoidi indicano sorgenti e corsi d'acqua sotterranei, quasi un messaggio inviato a chi "lassù" avrebbe potuto inviare nuove piogge, nuova vita); ne ho sentite varie, ho assistito anche ad un paio di conferenze ed au un video della BBC, ma l'idea che quella sopra cui ho volato sia una grande lavagna più volte riutilizzata non me la toglie nessuno...
Oltre alle linee, i Nazca hanno lasciato altri stupendi esempli della loro cultura: una necropoli purtroppo saccheggiata innumerevoli volte dai tombaroli (i pochi scheletri rimasti sono circondati da tantissime buche e resti di ossa e tessuti sparsi sulla sabbia circostante), acquedotti tanto ben fatti da essere ancora usati a distanza di più di mille anni, ceramiche, tessuti ed altre vestigia dall'enorme valore storico (e che il museo Antonini, fondato da italiani, si sforza di presentare nel modo migliore).
E c'è davvero qualcosa di magico, in questa città: perché l'ultima sera, seduto in un internet cafè, mi trovo improvvisamente a sedermisi di fianco nientepopodimenoché Lorenzo Scaldaferro, compagno scout di Costabissara nonché fratello del Luca che avrebbe potuto diventare mio cognato. È in viaggio in Perù con un gruppo sponsorizzato dalla Nikon, per studiare fotografia, mentre la sua compagna fa un master nel nord del Paese. Quante sono le possibilità di trovarsi qui per due italiani che hanno mangiato lo stesso minestrone durante i campi scout? 1 su un miliardo, direi... dovrei giocarmela davvero al lotto!
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inserito il 20/06/2005
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