Taca banda
Apparentemente, in Perù esistono alcuni record geografico-geologici difficili da battere. Uno di essi sono i canyon presenti nelle vicinanze (a non più di 6 ore di bus, su trade impervie, il che rende le cose meno distanti di quel che si possa credere), due dei quali i più profondi del nostro pianeta (terre emerse, ovviamente): Cotahuasi e Colca. Colca, in particolare, è meta di centinaia di turisti, per la possibilità di interessanti trekking e perché offre un'ottima opportunità di vedere condor vivi e vegeti (lo spettacolo è certo più interessante di quello offerto dagli esemplari impagliati che si vedono nei musei...).
La richiesta è tanto grande che tutte le agenzie turistiche di Arequipa, e quelle delle città grandi più vicine (da Puno a Nazca, fino a Lima), offrono vari pacchetti più o meno simili per 2 o 3 giorni su e giù per le ripide (il Colca è profondo ben 2 volte il Gran Canyon USA) pareti scavate dal fiume omonimo; costo medio, dai 25 ai 45 dollari USA, a seconda di quel che si richiede (s'applica la legge del "ottieni la qualità per cui paghi").
Io, ovviamente, dopo essermi consultato con i miei ospiti, gestori anche loro di una di queste agenzie, ho fatto di testa mia; la signora Mercado, giustamente, ne ha subito approfittato per chiedermi di indagare sui veri costi (quel che fanno le agenzie di Arequipa è, normalmente, affidare tutto o quasi nelle mani di guide locali, ma a volte sorgono dubbi sulla loro onestà...).
Ergo, tronfio del mio incarico di spia, prenoto il bus delle 2:30 del mattino (!) e parto. Dormicchio a tratti per le sei ore di viaggio, disturbato solo dalla cicciona seduta al mio fianco che insiste per spiare fuori dal finestrino e da un controllore idiota che mi richiede il biglietto due volte dimenticandosi di avermi già visto in precedenza.
Arrivato a Cabanaconde, compro 3 freschi pezzi di pane che mi fanno da colazione insieme a dell'ottimo formaggio (poca varietà, ma molta qualità in quelli locali) ed al mio bottiglione d'acqua; poi, informatomi sul percorso da alcuni contadini, inizio la discesa. Sono 2 ore (normalmente 3) lungo un sentiero che a tratti è comoda mulattiera ed a tratti è insidioso come un nido di serpenti incavolati, ma la vista è mozzafiato: il sole sorge lentamente, e comincia a scaldare, e le nebbioline che offuscano in parte la vista dell'altro versante si diradano e ti fanno pensare che sarebbe un bel momento per imparare a volare. Desisto, peró, e continuo con i piedi per terra. Mi superano solo dei giovani con degli strumenti musicali in spalla, mi spiegano che devono andare a lavorare a Tapay dall'altra parte, per una festa paesana. Arrivo al ponte che attraversa la valle, quasi sfiorando l'acqua del fiume, e mi arrampico leggermente fino ad uno degli "hospedaje" che offrono conforto, cibo e letti ai viaggiatori; la signora Roy è molto cortese, mi invita a godermi il suo giardino anche se non compro nulla, e mi parla della ferrea volontà con cui lei ed il marito cercano di offrire un servizio di qualità a prezzi (onestamente) molto modici. Le prometto che la raccomanderó, e preso da un raptus improvviso decido di cambiare itinerario e di salire verso Tapay per vedere che succede. Reincontro i musici, guidati dal trombettista Victor, e questi mi invitano ad unirmi a loro nella salita. Arriviamo al villaggio, e raggiungiamo la casa dell'uomo che ha assoldato la banda: è un devoto di Sant'Antonio (da Padova, anche se lui lo apprende da me), e da tre anni organizza una piccola festa paesana molto rustica e molto sincera. Mi trattano come uno dei musici, o meglio come l'ospite d'onore (dopo il Santo), e mi offrono boccali di "cicha" (mais fermentato, dal sapore di birra calda) e piatti di zuppa di verdure e pollo. Io non so come ringraziare, e mi offro di fare da fotografo ufficiale... assoldato! La banda suona nel cortile della casa del mentore, e poi si va tutti nella bella piazza davanti alla chiesa dove uomini a cavallo stanno portando fascine di rami secchi per il faló serale. Dopo una piccola pausa per trovare un alloggio per la notte (non voglio approfittare troppo dell'ospitalità locale), torno nella piazza, che si sta già riempiendo dei popolani che tornano dal lavoro nei campi (o, meglio, nelle terrazze, dove coltivano tutto quel che possono, specialmente patate). La "cicha" scorre a fiumi, gira anche il cosiddetto "whisky peruviano" che è null'altro che alcool purissimo (tipo "ouzo" greco), il patron lancia caramelle ai bambini e continua a richiedere la stessa musica ai suonatori (dopo la 4 volta che sento l'inno di Sant'Antonio cominciano a girarmi le sfere, e mi aggiro come un cane sciolto a cercare spunti fotografici); il Santo viene esposto, omaggiato di candele e preghiere, e poi tutti tornano a sedersi ai bordi della piazza e a parlare e, soprattutto, a bere un bicchierino. Nessuno va a cena, la gente continua ad arrivare e le danze si fanno intense; la notte cala, il freddo si fa sentire e solo l'accensione del faló ci permette di non congelarci per benino. Loro vanno avanti fino a notte fonda (quando finisce la legna), ma io sono stanco per la levataccia mattutina (in realtà il termine è errato, nel senso che non sono mai andato a dormire e sono andato in giro fino alle 2 con Ludwig - uno dei figli Mercado - alla ricerca d vita notturna in una Arequipa inconsuetamente calma) ed alle 8 e mezza me ne vado a dormire (turbato solo dagli strepiti di quella che io penso essere una donna completamente ubriaca messa a letto dai suoi parenti nella stanza accanto).
L'alba è fresca, ma trova i miei amici già svegli e con gli strumenti in mano (in effetti, li trovo seguendo le note dell'ormai conosciuto inno): per loro il lavoro continuerà per tutto il giorno. Io ascolto 3 motivetti, mangio un'ennesima zuppa come colazione (ma rifiuto la "cicha", cercando di farlo nel modo meno offensivo possibile), e poi saluto tutti: il cammino prosegue.
Resto in quota per un po', attraversando due paeselli che paiono svuotati di ogni anima viva (evidentemente, molti sono già al lavoro e gli altri ancora dormono), e dopo Malata ricomincio a scendere fino all'Oasi.
L'Oasi è una zona in cui le condizioni climatiche (e, credo, la mano dell'uomo) hanno creato il posto adatto a 3 piccoli hotel fatti di capanne e di piscine di acqua corrente ma riscaldata dal sole. Invaghitomi di due ragazze austriache (e dei prezzi più abbordabili, dopo aver contrattato un po') mi fermo nel Paradiso (gli altri due si chiamano Eden e, appunto, Oasis); purtroppo, le ragazze partono dopo pranzo, quindi io affogo il mio dispiacere nella piscina e poi, quando il sole sparisce dietro i monti, nella lettura degli ultimi capitoli del libro di Garcia Marquez che sto leggendo ("12 cuentos pelegrinos").
Faccio amicizio con Thomas, un tedesco, e con 4 spagnoli di uno dei gruppi guidati. Ceniamo, ci scaldiamo per un pò attorno ad un faló, e poi andiamo a letto presto: intendiamo partire alle 3 del mattino per salire fino a Cabanaconde.
La sveglia non è terribile, e la salita neppure. Anzi, è in parte magica, con le lucette di torce e candele che risalgono in piccoli gruppi il costone. Thomas ed io ci accodiamo al gruppo degli spagnoli, più per compagnia che per necessità (il sentiero è ben marcato, lo usano i muli), e nel finale lasciamo gli stanchi ispanici e raggiungiamo il villaggio (tempo di salita: 2 ore e 45, meglio della media).
Colazioniamo nella piazza, e riusciamo a salire sul bus assaltato dai turisti per raggiungere la Cruz del Condor, un belvedere da cui si possono osservare le evoluzioni di questi grandi uccelli che usano le correnti di aria calda del mattino per alzarsi in volo. Ad un cielo tutto tempestato di condor, leviamo gli occhi (anche per lanciare le nostre imprecazioni per aver dovuto pagare il "biglietto di ingresso alla valle", ben 7 dollaroni!). Alle 9, è tempo di provare a proseguire. Perdo di vista Thomas, salto su un bus sovrappopolato che in due ore e rotti mi porta a Chivay; nel terminale, reincontro il tedesco, evidentemente arrivato con il bus seguente dopo soli 15 minuti, ed insieme dopo aver pranzato andiamo a rilassarci nei bagni termali. Qui, risaltano fuori gli amici spagnoli, e due tedeschi ai quali con destrezza riusciamo a rivendere i nostri biglietti a prezzo scontato (tutto onesto: sul biglietto non c'è nè data di inizio nè di scadenza, ergo finché non si rovinano son sempre validi).
Il bus delle 4 (in realtà, 4 e mezza, perché l'autista doveva finire di fare merenda!) ci porta attraverso scenari stupendi illuminati dal tramonto fino ad Arequipa, dove recupero Ludwig e parlando in 3 lingue differenti andiamo a mangiare al ristorante cino-peruano (ahh, la "chifa"...).
La richiesta è tanto grande che tutte le agenzie turistiche di Arequipa, e quelle delle città grandi più vicine (da Puno a Nazca, fino a Lima), offrono vari pacchetti più o meno simili per 2 o 3 giorni su e giù per le ripide (il Colca è profondo ben 2 volte il Gran Canyon USA) pareti scavate dal fiume omonimo; costo medio, dai 25 ai 45 dollari USA, a seconda di quel che si richiede (s'applica la legge del "ottieni la qualità per cui paghi").
Io, ovviamente, dopo essermi consultato con i miei ospiti, gestori anche loro di una di queste agenzie, ho fatto di testa mia; la signora Mercado, giustamente, ne ha subito approfittato per chiedermi di indagare sui veri costi (quel che fanno le agenzie di Arequipa è, normalmente, affidare tutto o quasi nelle mani di guide locali, ma a volte sorgono dubbi sulla loro onestà...).
Ergo, tronfio del mio incarico di spia, prenoto il bus delle 2:30 del mattino (!) e parto. Dormicchio a tratti per le sei ore di viaggio, disturbato solo dalla cicciona seduta al mio fianco che insiste per spiare fuori dal finestrino e da un controllore idiota che mi richiede il biglietto due volte dimenticandosi di avermi già visto in precedenza.
Arrivato a Cabanaconde, compro 3 freschi pezzi di pane che mi fanno da colazione insieme a dell'ottimo formaggio (poca varietà, ma molta qualità in quelli locali) ed al mio bottiglione d'acqua; poi, informatomi sul percorso da alcuni contadini, inizio la discesa. Sono 2 ore (normalmente 3) lungo un sentiero che a tratti è comoda mulattiera ed a tratti è insidioso come un nido di serpenti incavolati, ma la vista è mozzafiato: il sole sorge lentamente, e comincia a scaldare, e le nebbioline che offuscano in parte la vista dell'altro versante si diradano e ti fanno pensare che sarebbe un bel momento per imparare a volare. Desisto, peró, e continuo con i piedi per terra. Mi superano solo dei giovani con degli strumenti musicali in spalla, mi spiegano che devono andare a lavorare a Tapay dall'altra parte, per una festa paesana. Arrivo al ponte che attraversa la valle, quasi sfiorando l'acqua del fiume, e mi arrampico leggermente fino ad uno degli "hospedaje" che offrono conforto, cibo e letti ai viaggiatori; la signora Roy è molto cortese, mi invita a godermi il suo giardino anche se non compro nulla, e mi parla della ferrea volontà con cui lei ed il marito cercano di offrire un servizio di qualità a prezzi (onestamente) molto modici. Le prometto che la raccomanderó, e preso da un raptus improvviso decido di cambiare itinerario e di salire verso Tapay per vedere che succede. Reincontro i musici, guidati dal trombettista Victor, e questi mi invitano ad unirmi a loro nella salita. Arriviamo al villaggio, e raggiungiamo la casa dell'uomo che ha assoldato la banda: è un devoto di Sant'Antonio (da Padova, anche se lui lo apprende da me), e da tre anni organizza una piccola festa paesana molto rustica e molto sincera. Mi trattano come uno dei musici, o meglio come l'ospite d'onore (dopo il Santo), e mi offrono boccali di "cicha" (mais fermentato, dal sapore di birra calda) e piatti di zuppa di verdure e pollo. Io non so come ringraziare, e mi offro di fare da fotografo ufficiale... assoldato! La banda suona nel cortile della casa del mentore, e poi si va tutti nella bella piazza davanti alla chiesa dove uomini a cavallo stanno portando fascine di rami secchi per il faló serale. Dopo una piccola pausa per trovare un alloggio per la notte (non voglio approfittare troppo dell'ospitalità locale), torno nella piazza, che si sta già riempiendo dei popolani che tornano dal lavoro nei campi (o, meglio, nelle terrazze, dove coltivano tutto quel che possono, specialmente patate). La "cicha" scorre a fiumi, gira anche il cosiddetto "whisky peruviano" che è null'altro che alcool purissimo (tipo "ouzo" greco), il patron lancia caramelle ai bambini e continua a richiedere la stessa musica ai suonatori (dopo la 4 volta che sento l'inno di Sant'Antonio cominciano a girarmi le sfere, e mi aggiro come un cane sciolto a cercare spunti fotografici); il Santo viene esposto, omaggiato di candele e preghiere, e poi tutti tornano a sedersi ai bordi della piazza e a parlare e, soprattutto, a bere un bicchierino. Nessuno va a cena, la gente continua ad arrivare e le danze si fanno intense; la notte cala, il freddo si fa sentire e solo l'accensione del faló ci permette di non congelarci per benino. Loro vanno avanti fino a notte fonda (quando finisce la legna), ma io sono stanco per la levataccia mattutina (in realtà il termine è errato, nel senso che non sono mai andato a dormire e sono andato in giro fino alle 2 con Ludwig - uno dei figli Mercado - alla ricerca d vita notturna in una Arequipa inconsuetamente calma) ed alle 8 e mezza me ne vado a dormire (turbato solo dagli strepiti di quella che io penso essere una donna completamente ubriaca messa a letto dai suoi parenti nella stanza accanto).
L'alba è fresca, ma trova i miei amici già svegli e con gli strumenti in mano (in effetti, li trovo seguendo le note dell'ormai conosciuto inno): per loro il lavoro continuerà per tutto il giorno. Io ascolto 3 motivetti, mangio un'ennesima zuppa come colazione (ma rifiuto la "cicha", cercando di farlo nel modo meno offensivo possibile), e poi saluto tutti: il cammino prosegue.
Resto in quota per un po', attraversando due paeselli che paiono svuotati di ogni anima viva (evidentemente, molti sono già al lavoro e gli altri ancora dormono), e dopo Malata ricomincio a scendere fino all'Oasi.
L'Oasi è una zona in cui le condizioni climatiche (e, credo, la mano dell'uomo) hanno creato il posto adatto a 3 piccoli hotel fatti di capanne e di piscine di acqua corrente ma riscaldata dal sole. Invaghitomi di due ragazze austriache (e dei prezzi più abbordabili, dopo aver contrattato un po') mi fermo nel Paradiso (gli altri due si chiamano Eden e, appunto, Oasis); purtroppo, le ragazze partono dopo pranzo, quindi io affogo il mio dispiacere nella piscina e poi, quando il sole sparisce dietro i monti, nella lettura degli ultimi capitoli del libro di Garcia Marquez che sto leggendo ("12 cuentos pelegrinos").
Faccio amicizio con Thomas, un tedesco, e con 4 spagnoli di uno dei gruppi guidati. Ceniamo, ci scaldiamo per un pò attorno ad un faló, e poi andiamo a letto presto: intendiamo partire alle 3 del mattino per salire fino a Cabanaconde.
La sveglia non è terribile, e la salita neppure. Anzi, è in parte magica, con le lucette di torce e candele che risalgono in piccoli gruppi il costone. Thomas ed io ci accodiamo al gruppo degli spagnoli, più per compagnia che per necessità (il sentiero è ben marcato, lo usano i muli), e nel finale lasciamo gli stanchi ispanici e raggiungiamo il villaggio (tempo di salita: 2 ore e 45, meglio della media).
Colazioniamo nella piazza, e riusciamo a salire sul bus assaltato dai turisti per raggiungere la Cruz del Condor, un belvedere da cui si possono osservare le evoluzioni di questi grandi uccelli che usano le correnti di aria calda del mattino per alzarsi in volo. Ad un cielo tutto tempestato di condor, leviamo gli occhi (anche per lanciare le nostre imprecazioni per aver dovuto pagare il "biglietto di ingresso alla valle", ben 7 dollaroni!). Alle 9, è tempo di provare a proseguire. Perdo di vista Thomas, salto su un bus sovrappopolato che in due ore e rotti mi porta a Chivay; nel terminale, reincontro il tedesco, evidentemente arrivato con il bus seguente dopo soli 15 minuti, ed insieme dopo aver pranzato andiamo a rilassarci nei bagni termali. Qui, risaltano fuori gli amici spagnoli, e due tedeschi ai quali con destrezza riusciamo a rivendere i nostri biglietti a prezzo scontato (tutto onesto: sul biglietto non c'è nè data di inizio nè di scadenza, ergo finché non si rovinano son sempre validi).
Il bus delle 4 (in realtà, 4 e mezza, perché l'autista doveva finire di fare merenda!) ci porta attraverso scenari stupendi illuminati dal tramonto fino ad Arequipa, dove recupero Ludwig e parlando in 3 lingue differenti andiamo a mangiare al ristorante cino-peruano (ahh, la "chifa"...).
Racconti che potrebbero interessarti
Lascia un tuo commento
Informazioni
inserito il 15/06/2005
visualizzato: 3346 volte
commentato: 0 volte
totale racconti: 562
totale visualizzazioni: 1436027
Cerca nel diario
Cerca tra i racconti di viaggio pubblicati nel diario di bordo:
Ultime destinazioni
Racconti più recenti
- Sequoie secolari e vite corte come fiammiferi accesi
- Ponti e isole che compaiono dalla nebbia
- Chi l'ha (il) visto?
- Incontri d'anime grandi e piccole in India
- Hampi, imprevisto del percorso
Racconti più letti
- Storie di corna
- La mafia del fiore rosso
- Pulau Penang, ultima tappa
- I 5 sensi
- In missione per conto di Io
Racconti più commentati
- E dagli col tecnico berico dal cuore spezzato... (15)
- In missione per conto di Io (14)
- Sono zia!!! (12)
- 4 righe da Tumbes (10)
- Aspettando il puma (ed il condor, e il guanaco) (10)
Ultimi commenti
- massielena su Sequoie secolari e vite corte come fiammiferi accesi
- Mariagrazia su Fare le cose in grande
- Mariagrazia su Grandi masse rosse
- Massielena su Fare le cose in grande
- Daniele su Fare le cose in grande
Tag del diario di bordo
Aguas Calientes
Ajanta
Amalfi
Amazzonia
Ambato
Andahuaylillas
Angra dos Reis
Arequipa
Assisi
Asunción
Aurangabad
Baia Mare
Balau Lac
Bassin Bleu
Bassin Zim
Bellagio
Bishkek
Bocas del Toro
Bogotà
Bologna
Bonito
Boquete
Buenos Aires
Buzios
Bwindi
Cajamarca
California
Camaguey
Campeche
Campulung
Cancun
Cannes
canyon del Colca
Cap-Haïtien
Cartagena
Cayo Las Brujas
Cernobbio
Chaa Creek
Chapada Diamantina
Chiapa de Corzo
Chiavari
Chichen Itzà
Chichicastenango
Chiloe
Chivay
Cienfuegos
Città del Guatemala
Città del Messico
Cluj Napoca
Copacabana
Copán
Copán Ruinas
Costa Azzurra
Costiera Amalfitana
Cuenca
Curitiba
Cusco
Dubai
Dukla
Dunhuang
Dushanbe
El Calafate
El Chaltén
El Tajin
Ellora
Entebbe
ExPlus
Fan Mountains
fiume Pacuare
fiume Tambopata
Florianopolis
Foz do Iguaçu
GCC
Gilroy
Goa
Granada
Grand Circle
Guayaquil
Hampi
Huamachuco
Humenne
Igoumenitsa
Iguaçu
Iguazu
Ilha Grande
India
Ingapirca
Interlaken
Isla Colon
Isla del Sol
Isla Mujeres
Istanbul
Jacmel
Jaiyuguan
JLA
Joya de Ceren
Kampala
Kashgar
Khodjent
Kibale
Koch Kor
Kokand
Kumkoy
La Antigua Guatemala
La Havana
La Paz
lago di Como
lago Maggiore
lago Nicaragua
lago Song-Kol
lago Titicaca
lago Yojoa
lake Mburo
Leon
Lima
Livingston
Livorno
Londra
Lublin
Lucca
Macerata
Machu Picchu
Madaba
Madrid
Madurai
Majorda
Managua
Manaus
Mar Nero
Margilon
Mérida
Mesilla
Milano
Momostenango
Monaco
Monte Alban
Mumbai
Murchison Falls
Mutianyu
Mysore
Nashik Road
Nice
Nyjrbator
Oaxaca
Old Goa
Ometepe
Omoa
Osh
Otavalo
Pacaya
Palenque
Panajachel
Panamà
Papantla
Paratì
Patagonia
Pechino
Pelourinho
Península Valdés
Petra
Pisac
Port Au Prince
Portoferraio
Potosì
Poza Rica
Pucon
Puebla
Puerto Madryn
Puerto Maldonado
Puerto Natales
Puerto Piramides
Puerto Varas
Puno
Punta Arenas
Quetzaltenango
Quito
Rang
Raqchi
Ravello
Recanati
Reedley
Rio de Janeiro
Rio Dulce
Riobamba
Roma
Ruse
salar
Salvador da Bahia
Samarcanda
San Agustin
San Blas
San Cristobal de las Casas
San Francisco
San Francisco El Alto
San Ignacio
San José
San Juan
San Marcos La Laguna
San Pedro
San Pedro de Atacama
San Pedro La Laguna
Santa Barbara
Santa Caterina
Santa Clara
Santa Elena de Monteverde
Santa Margherita Ligure
Santiago
Santiago Atitlan
Santiaguito
Sarospatak
Sary Tash
Seno Otway
Sequoia National Park
Shobak
Sighisoara
Sillustani
Siloli
Sololà
Sorrento
Stresa
Sucre
Sud America
Sumidero
Tambo Machay
Targu Mures
Tash Rabat
Taulabé
Tegucigalpa
Tiahuanaco
Tierra del Fuego
Tikal
torre di Burana
Torres del Paine
Transfagarasan
Trinidad
Trujillo
Tucan Travel
Turpan
Urbino
Urumqi
USA
Ushuaia
Uxmal
Uyuni
Vaduz
Vagabondo
Valdivia
Valle de Elqui
Valle di Fergana
Valparaiso
Veliko Tarnovo
Venezia
Viejo Palmar
Vila do Abraão
Viña del Mar
Viñales
Vize
Wild Frontiers
Xian
Yambol
Zamosc
Ziwa Rhino Sanctuary