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Ebbrezza d'altura, con un pizzico di sale
Ora sono in Bolivia. Ci sono giunto da San Pedro de Atacama (Cile), lungo una delle rotte considerate più belle di questa parte di terraferma: il percorso che passa attraverso il Salar (deserto salato) di Uyuni.
Da San Pedro, alcune agenzie (quasi tutte farabutte, come quella che ho ovviamente scelto io) organizzano una 3 giorni in fuoristrada su quelli che definire sentieri sarebbe fargli un omaggio: strade sterrate, ripide, a volte solo accennate. Ti portano fino al confine boliviano, dove la legge locale proibisce ai gestori cileni di passare, e ti caricano su un mezzo dall'altra parte della frontiera. L'autista boliviano, poi, si incarica di portarti sano e salvo fino a destinazione.
Ora, non fatevi l'idea che sia una cosa da non farsi; perché, davvero, ne vale la pena (anche se poi, come è toccato a noi, devi litigare per 4 ore e mezza all'arrivo per farti rifondere una parte della quota per inadempienze contrattuali, tipo il superamento del numero massimo garantito di passeggeri, le scarse provviste idriche potabili, etc. etc.).
Decine di jeep, sollevando nubi di polvere, passano a fianco del vulcano Licancabur, alla lagune Verde, agli sbuffi bollenti dei geyser del Sol de Mañana, fin giù alla laguna Colorada, dove tutti passano la notte gelida in abitazioni spartane ma dove le centinaia di fenicotteri rosaceo-biancastri e i colori della laguna stessa sono uno spettacolo che ti gusti fino a quando calano la notte ed il freddo. Ed il giorno dopo si parte di nuovo, altri vulcani fumanti, deserti, fino ad arrivare alle soglie del Salar vero e proprio, una distesa bianca bianca che pare ghiaccio ma più corrugato. La nostra fortuna è che ora l'acqua accumulatasi con la stagione delle piogge si è quasi prosciugata ma non del tutto, e così possiamo vedere la spianata nelle sue due versioni: umida e secca. La notte la passiamo in un "hotel de sal", costruito quasi interamente (letti compresi, ma per fortuna non il materasso!) dell'abbondante minerale, un luogo tranquillo e pacifico notevolmente migliore rispetto al giorno precedente (seppure ancora molto essenziale; ma chi ha bisogno del lusso, quando hai due paia di coperte per tenere lontani quei gradi sotto zero?!).
L'alba è incredibile, rossi ed arancioni inseguono i gialli all'orizzonte; noi salpiamo alla loro rincorsa, ci specchiamo nei riflessi delle parti ancora sotto qualche centimetro d'acqua, e poi arriviamo all'"isola" Incahuasi, una montagnola di discrete dimensioni dove i cactus hanno nidificato come fossero funghi (e si parla di cactus giganti e longevi, alcuni di oltre 1000 anni!).
Corriamo sulla distesa pallida, cercando le deboli tracce di rotte sicure. Superiamo un altro "hotel de sal", e arriviamo al punto dove famiglie intere passano le giornate caricando su camion il sale pazientemente raggruppato. Schiviamo i venditori di souvenir di Colchani, e pranziamo per l'ultima volta mentre una mandria di lama ci passa accanto curiosa. Una puntata al cimitero dei treni, con relitti di varie decadi fa, ci permette di sfogare la parte bambina che c'è in ognuno di noi...
L'arrivo ad Uyuni, come detto, ci vede stanchi e battaglieri nell'officina di viaggi corrispondente a quella ladra cilena (Estrella del Sur, giusto perché si sappia in giro!). Poi, alcuni proseguono, mentre due tedeschi ed io ci fermiamo per vedere questo villaggetto.
Una nota sull'altura, ed una sulla temperatura: durante il viaggio, si sale e scende tranquillamente sopra i 4000 m.s.l.m., e la cosa causa frequenti problemi di emicrania (se non vomito) a molti dei viaggiatori (a noi, per fortuna, no... evidentemente, ci siamo acclimatati meglio); la cosa che scende più rapida dell'altitudine è la temperatura: stamattina, mentre il sole stava facendo capolino sopra i tetti, io facevo il bucato, e la roba stesa dopo quindici minuti aveva le gocce d'acqua trasformate in ghiaccioli!!!
Cri... cri... cri... cribbio, che freddo!
Da San Pedro, alcune agenzie (quasi tutte farabutte, come quella che ho ovviamente scelto io) organizzano una 3 giorni in fuoristrada su quelli che definire sentieri sarebbe fargli un omaggio: strade sterrate, ripide, a volte solo accennate. Ti portano fino al confine boliviano, dove la legge locale proibisce ai gestori cileni di passare, e ti caricano su un mezzo dall'altra parte della frontiera. L'autista boliviano, poi, si incarica di portarti sano e salvo fino a destinazione.
Ora, non fatevi l'idea che sia una cosa da non farsi; perché, davvero, ne vale la pena (anche se poi, come è toccato a noi, devi litigare per 4 ore e mezza all'arrivo per farti rifondere una parte della quota per inadempienze contrattuali, tipo il superamento del numero massimo garantito di passeggeri, le scarse provviste idriche potabili, etc. etc.).
Decine di jeep, sollevando nubi di polvere, passano a fianco del vulcano Licancabur, alla lagune Verde, agli sbuffi bollenti dei geyser del Sol de Mañana, fin giù alla laguna Colorada, dove tutti passano la notte gelida in abitazioni spartane ma dove le centinaia di fenicotteri rosaceo-biancastri e i colori della laguna stessa sono uno spettacolo che ti gusti fino a quando calano la notte ed il freddo. Ed il giorno dopo si parte di nuovo, altri vulcani fumanti, deserti, fino ad arrivare alle soglie del Salar vero e proprio, una distesa bianca bianca che pare ghiaccio ma più corrugato. La nostra fortuna è che ora l'acqua accumulatasi con la stagione delle piogge si è quasi prosciugata ma non del tutto, e così possiamo vedere la spianata nelle sue due versioni: umida e secca. La notte la passiamo in un "hotel de sal", costruito quasi interamente (letti compresi, ma per fortuna non il materasso!) dell'abbondante minerale, un luogo tranquillo e pacifico notevolmente migliore rispetto al giorno precedente (seppure ancora molto essenziale; ma chi ha bisogno del lusso, quando hai due paia di coperte per tenere lontani quei gradi sotto zero?!).
L'alba è incredibile, rossi ed arancioni inseguono i gialli all'orizzonte; noi salpiamo alla loro rincorsa, ci specchiamo nei riflessi delle parti ancora sotto qualche centimetro d'acqua, e poi arriviamo all'"isola" Incahuasi, una montagnola di discrete dimensioni dove i cactus hanno nidificato come fossero funghi (e si parla di cactus giganti e longevi, alcuni di oltre 1000 anni!).
Corriamo sulla distesa pallida, cercando le deboli tracce di rotte sicure. Superiamo un altro "hotel de sal", e arriviamo al punto dove famiglie intere passano le giornate caricando su camion il sale pazientemente raggruppato. Schiviamo i venditori di souvenir di Colchani, e pranziamo per l'ultima volta mentre una mandria di lama ci passa accanto curiosa. Una puntata al cimitero dei treni, con relitti di varie decadi fa, ci permette di sfogare la parte bambina che c'è in ognuno di noi...
L'arrivo ad Uyuni, come detto, ci vede stanchi e battaglieri nell'officina di viaggi corrispondente a quella ladra cilena (Estrella del Sur, giusto perché si sappia in giro!). Poi, alcuni proseguono, mentre due tedeschi ed io ci fermiamo per vedere questo villaggetto.
Una nota sull'altura, ed una sulla temperatura: durante il viaggio, si sale e scende tranquillamente sopra i 4000 m.s.l.m., e la cosa causa frequenti problemi di emicrania (se non vomito) a molti dei viaggiatori (a noi, per fortuna, no... evidentemente, ci siamo acclimatati meglio); la cosa che scende più rapida dell'altitudine è la temperatura: stamattina, mentre il sole stava facendo capolino sopra i tetti, io facevo il bucato, e la roba stesa dopo quindici minuti aveva le gocce d'acqua trasformate in ghiaccioli!!!
Cri... cri... cri... cribbio, che freddo!
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inserito il 15/04/2005
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